"Andate avanti, perché il mondo ha bisogno di scienza e ragione". Il portale della Fondazione Umberto Veronesi lo ricorda così, guardando appunto avanti, e insieme rievocando quell’iniezione di forza che c’è dietro. Perché dietro a quella frase così semplice non ci sono solo le conquiste scientifiche e le migliaia di persone salvate da un gigante della medicina contemporanea. C’è un universo ideale, un moto etico, una specie di giuramento di Ippocrate aggiornato ai nostri tempi di conflitti e di difficoltà economiche.
“Un visionario che ha saputo intuire nuovi orizzonti per la medicina, additando sempre l’uomo, la persona umana, come paradigma e misura di ogni progresso scientifico ”, ricorda il presidente di Assogenerici, Enrique Häusermann, tanto che l’oncologo milanese fu “tra i primi fautori del lungo cammino di affermazione del farmaco generico in Italia”. Nelle parole dello stesso Veronesi, sul libro che cinque anni fa raccontava il primo decennio di farmaci equivalenti in Italia, “ la sanità della nostra epoca, con la continua e tumultuosa introduzione di alte tecnologie e di farmaci dalla ricerca costosissima, rischia di essere sempre in deficit. Per questo ogni possibilità di risparmio è strategica per continuare a corrispondere a tutti le cure essenziali ”.
Umberto Veronesi avrebbe compiuto 91 anni nei prossimi giorni. Al culmine, ma già al cuore della sua ineguagliabile carriera, ha associato il suo impegno medico con mobilitazioni civiche, alimentando negli anni ’60 la costruzione dell’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro, poi la Scuola Europea di Oncologia, e ancora l’Istituto Europeo di Oncologia – di cui è stato direttore scientifico – nonché la sua stessa Fondazione. A margine, è stato anche ministro e senatore. In tutto questo non ha mai evitato di esporsi nel dibattito pubblico anche sui temi più controversi (dal nucleare agli inceneritori, dal “non-diritto” allo sciopero dei medici all’eutanasia), aprendo dibattiti e ricevendo legittime obiezioni. Come tutti quelli che appunto si espongono, a sostegno dei proprio ideali.
Quegli ideali sono in fondo l’architrave della sua attività medica. Già negli anni ’60 concepì la “quadrantectomia”, tra lo scetticismo dei colleghi, limitando l’invasività dell’intervento di rimozione del tumore al seno rispetto alla mastectomia, ossia all’asportazione totale. Poi arrivò anche al “nipple sparing”, ossia a una tecnica di radioterapia intra-operatoria capace, già durante l’intervento, di sollevare la paziente dal successivo calvario di problemi fisici e psicologici. Dietro a tutto questo e altro c’è competenza, razionalità, ricerca, ma anche filosofia. Nella sua formula, la “ricerca del minimo intervento efficace”, rispetto al “massimo trattamento tollerabile dal paziente''.
Una rivoluzione “chirurgica” che scaturisce da una rivoluzione culturale. Quella di chi crede anzitutto nella logica “pacifista” di interventi “non-violenti”, e sa che “ la scienza ha smentito l'antico e insensato pregiudizio che vuole l'uomo aggressivo per natura. Genetisti, antropologi, biologi, psicologi, etologi e neuroscienziati hanno negato le presunte radici biologiche della violenza organizzata nell'uomo ”. In altre parole, “la violenza è quasi sempre reazione ad altra violenza e dunque è quasi sempre evitabile”. La violenza come la malattia, dunque, e la pace (con interventi tutt’al più “chirurgici”, non invasivi) come unica cura razionalmente plausibile, e se proprio succede che non lo è si va al male minore, si agisce contro il dolore. Veronesi era un medico, e quindi un uomo di pace. “Un visionario”, nel ricordo di Häusermann Lo testimoniano ogni giorno i suoi tanti colleghi in prima linea tra guerre e profughi. Il mestiere è quello. Sapere che molto si può fare, con concretezza e razionalità. E farlo.