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“I grassi fanno male”, dicono, e molti media la raccontano proprio così. Sembra, insomma, la “scoperta dell’acqua calda” e, se a documentarla sono gli americani, può a maggior ragione suscitare ilarità, viste le devianze alimentari di molti di loro, con i relativi effetti.

“I grassi fanno male”, dicono, e molti media la raccontano proprio così. Sembra, insomma, la “scoperta dell’acqua calda” e, se a documentarla sono gli americani, può a maggior ragione suscitare ilarità, viste le devianze alimentari di molti di loro, con i relativi effetti. Nondimeno, la ricerca è seria ed estesa, tanto che arriva dalla prestigiosa Università di Harvard, fornendo qualche dettaglio non scontato sulle correzioni di rotta da prendere per una salutare prassi a tavola e oltre.

Come si legge sul British Medical Journal, l’indagine ha preso in esame ben 115mila persone, per due terzi donne, tutti operatori sanitari, seguendoli mediamente per oltre 25 anni, al fine di valutare l’effetto degli acidi grassi saturi sui rischi cardiovascolari, quali l’infarto miocardico e l’ischemia coronarica. Tutti erano privi di problemi rilevanti e cronici di salute e l’analisi è stata condotta “isolando” statisticamente i fattori comportamentali (quali il consumo o l’alcol), che potevano influirne gli esiti.

E questi sono eclatanti, mai come prima. Si stima che una riduzione solo dell’1% del consumo di grassi saturi faccia crollare l’esposizione alle malattie coronariche addirittura dell’8%. I “grassi saturi” sono presenti nella quasi totalità dei tessuti animali, in alcuni vegetali (come l’olio di cocco e di palma) oltre che, estesamente (e deleteriamente, per il loro isolamento dal prodotto naturale di base), in burro, margarina, merendine e altri prodotti industriali. I più innocui “insaturi” si ritrovano invece, e anzitutto, negli altri oli vegetali, cereali e legumi.

Tuttavia, a leggere l’indagine stessa, l’imperativo che segue non è semplicemente quello di “abolire” tali grassi. Il tema è più complesso, e suggerisce risposte più variegate e consapevoli. “Qui viene superata la vecchia idea di sostituire i grassi saturi con un unico nutriente, per esempio i carboidrati”, spiega al Corriere della Sera Stefano Erzegovesi, responsabile del Centro dei disturbi alimentari dell’Ospedale San Raffaele di Milano. Meglio invece rimpiazzarli con diversi tipi di alimenti. Il problema non è tanto “trovare il principale colpevole”, quanto differenziare per bene, limitando il consumo dei cibi più insidiosi a non più di una volta o due la settimana.

Accertato il danno, la prevenzione è dunque una sfida di ragionevolezza, non necessariamente di sacrifici drastici. Ognuno di noi ha esigenze diverse, in base anche al clima (i grassi risultano necessari specie a chi vive in temperature molto fredde), all’età (i bimbi, per crescere, hanno bisogno di molto latte, seppur depositario di grassi saturi) e anche al tipo di alimento (il parmigiano li contiene, ma è anche ricco di calcio e fosforo). E questo riguarda perfino il delicato nodo della carne rossa. “Non tutte sono uguali – spiega Erzegovesi - la carne degli animali liberi al pascolo (a differenza di quelli cresciuti in allevamenti intensivi) contiene, oltre ai grassi saturi, anche acidi grassi insaturi, ennesima dimostrazione che la natura è più intelligente dei calcoli umani”. La “dieta” è un tema importante, ma non serve, quindi, ricorrere a tabù e rigori imprescindibili. Più importante, bene dar retta un po’ di più alla natura, alla nostra e anche a quella che mangiamo.

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