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Se ne parla poco, eppure è addirittura la terza causa di morte in Italia, dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie, provocando oltre il 10% dei decessi, ed è addirittura la principale fonte di invalidità.

Se ne parla poco, eppure è addirittura la terza causa di morte in Italia, dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie, provocando oltre il 10% dei decessi, ed è addirittura la principale fonte di invalidità. L’ictus arriva così, e quando arriva è inaspettato quando deleterio. Tuttavia non tutto è dovuto al fato, e soprattutto non è che non si possa far nulla per prevenirlo. Questo vale soprattutto oggi, quando una ricerca ha scovato un enzima chiave nel suo innesco, e si tratta per giunta una ricerca italiana.

Lo studio ha meritato la pubblicazione sull’“Atherosclerosis Thrombosis Vascular Biology”, la rivista scientifica ufficiale dell'American Heart Association, ed è stato condotto da alcuni ricercatori dell’Università La Sapienza, sotto il coordinamento di Francesco Violi, direttore della Prima Clinica Medica del Policlinico Umberto I. In particolare, hanno individuato un enzima, il “Nox2”, che sarebbe responsabile dell’ostruzione della carotide, principale via d’accesso del sangue al cervello, che è la causa primaria del verificarsi dell’ictus. 

“Era un enzima noto per l’utilità nella difesa dalle infezioni, tanto da esser presente nei leucociti dove svolge un’azione battericida, ma studi recenti hanno dimostrato che è presente anche nelle arterie”, spiega il professor Violi, ed è su questo che si è calcata la mano. Sono stati quindi studiati per cinque anni in vari centri italiani alcuni pazienti affetti da granulomatosa cronica, che consiste proprio in un deficit ereditario di tale enzima, una patologia rara quanto in apparenza estranea all’arteriosclerosi. Ebbene, si è così constatato che tale condizione invece si accompagna, rispetto ai soggetti sani, sia a una maggior dilatazione delle arterie sia a uno spessore inferiore della carotide.

Insomma il nocciolo del problema sembra essere ora identificato, tanto che viene ora annunciato l’imminente brevetto di un metodo per misurare la presenza di quell’enzima nel sangue, utilizzabile tanto per i soggetti ritenuti a rischio che per la popolazione generale. Di più, sono già state sperimentate negli animali alcune molecole capaci di inibire l’enzima e, correlativamente, la placca arteriosclerotica. Il test verrà presto effettuato sull’uomo, ma le premesse sembrano decisamente incoraggianti.

La scoperta non consiste naturalmente nell’“eliminazione dell’ictus”, ma nell’identificazione preventiva di uno dei principali fattori di rischio. E non è roba da poco, considerando appunto l’ampiezza del problema: circa 200mila casi ogni anno solo nel nostro paese, un’incidenza addirittura del 6,5% tra le persone sopra i 65 anni. Il senso è che si può arrivare prima, e una strada per arrivarci sembra ora tracciata.

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