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“Andare dal medico”: è anche la lingua a ricordarci un pregiudizio di genere che, in questa come in altre professioni, ai fatti non ha più ragion d’essere. La “rivoluzione culturale” c'è indubbiamente stata, ma adesso siamo per giunta prossimi al sorpasso.

“Andare dal medico”: è anche la lingua a ricordarci un pregiudizio di genere che, in questa come in altre professioni, ai fatti non ha più ragion d’essere. La “rivoluzione culturale” c'è indubbiamente stata, ma adesso siamo per giunta prossimi al sorpasso, alla luce di alcuni numeri sugli addetti ai lavori e perfino di qualche indagine sulle loro capacità professionali. L'ultima, particolarmente significativa, è pubblicata sul Journal of American Medicine Asssociation, e documenterebbe “performance” migliori nei camici bianchi appartenenti al gentil sesso.

Gli studiosi dell'Harvard Medical School hanno riesaminato le cartelle cliniche di circa un milione e mezzo di pazienti trattati nel quadriennio tra il 2011 e il 2014, con risultati oggettivamente eloquenti. In generale, sono state riscontrate diagnosi mediamente più corrette da parte delle dottoresse, che rappresentano poco meno di un terzo della categoria negli Stati Uniti.

Ma le cifre più significative riguardano gli esiti terapeutici. I pazienti curati da donne hanno riscontrato un tasso di ricadute, con ri-ospedalizzazione entro il mese, ridotto del 5%. Il calo è del 4% sulla mortalità in tale lasso, ed è una differenza che viene conteggiata in cifre assolute sui 32mila decessi in meno nell'arco di un anno.

I dati sono interpretati dai ricercatori in relazione all'apparente maggior attenzione femminile agli aspetti psicologici e di prevenzione, oltre che a un maggior tempo dedicato alle visite. Ma c'è anche un'indicazione implicita, quella sulla fondata domanda di una “medicina di genere”, qui più volte segnalata, in relazione alle specifiche esigenze sanitarie dell'universo femminile, dalla ricerca alla terapia. E su questo, è facile intuire una sensibilità supplementare nel caso in cui il medico sia appunto una donna.

A tutto ciò fa riscontro un netto recupero femminile nel personale, anche in Italia. Le dottoresse sono già in maggioranza nella popolazione dei professionisti tra i 25 e i 50 anni, e si stima che lo diventeranno sulla totalità della categoria entro vent'anni. Lo sono già in alcune specializzazioni, come la pediatria e la neuropsichiatria infantile, anche se restano nettamente minoritarie in altre, come la chirurgia e la cardiologia. Tutto bene, dunque? No, purtroppo. I ruoli apicali restano largamente un quasi-monopolio dei maschi, che occupano ad esempio i vertici di 100 dei 106 Ordini dei medici italiani. Di più, da una recente indagine della sezione Giovani dell'associazione Anaao-Assomed, emerge che oltre la metà delle dottoresse lamenta una penalizzazione di carriera se diventano madri, e quasi la metà denuncia qualche discriminazione, nonostante la bravura ad esse generalmente riconosciuta.

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