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Le donne “sono fatte diversamente”, hanno esigenze specifiche di cura, mentre la ricerca, sin dalle sperimentazioni, è ancora largamente centrata sulla biologia maschile. Non va bene, tanto che l’istanza di una “medicina di genere” – qui più volte trattata – non ha più nulla di “ideologico”, bensì è oramai una conclamata priorità perfino in sede istituzionale.

Se ne può discutere, fuori da ogni retorica, e se n’è discusso parecchio, tanto che non mancano le donne che dissentivano. Ma che l’8 marzo scorso sia stata una giornata “di lotta” più che “di festa”, sulla scia del movimento globale “Ni una menos” e degli scioperi messi in atto anche in Italia (e anche nella Sanità), è un fatto reale e consegnato alla storia, che per giunta ha collocato i temi della salute in prima linea. Le donne “sono fatte diversamente”, hanno esigenze specifiche di cura, mentre la ricerca, sin dalle sperimentazioni, è ancora largamente centrata sulla biologia maschile. Non va bene, tanto che l’istanza di una “medicina di genere” – qui più volte trattata – non ha più nulla di “ideologico”, bensì è oramai una conclamata priorità perfino in sede istituzionale.

“Quando andai in Europa la prima volta per parlare di medicina di genere, mi dissero che costava troppo. Invece bisogna riconoscere che questo non è un fattore politico ma scientifico. Un tema italiano che abbiamo portato al semestre europeo e ora porteremo al prossimo G7 dei ministri della Salute in programma a Milano a novembre”, ha detto Beatrice Lorenzin, rivendicando inoltre “l’inserimento dell’endometriosi nei Livelli Essenziali di Assistenza, che in Italia colpisce 300mila donne”. Ministra che, a margine, ha celebrato la giornata rendendo omaggio, tra le altre, ai familiari di una compianta predecessora, Tina Anselmi, “madre” di una delle più importanti riforme della storia repubblicana italiana, quella che appunto istituì nel ’78 il Servizio Sanitario Nazionale.

E c’è un altro aspetto ricordato dalla stessa Ministra della Salute: le donne vivono di più – con uno scarto peraltro ridotto in tempi recenti, fatto di per sé eloquente - ma questo significa anche che soffrono di più, hanno bisogno di essere curate di più, e non di meno. Il che ha ricadute anche sui farmaci. “Ne usano il 10% in più rispetto agli uomini”, documenta la presidente del Comitato Prezzi e Rimborsi dell’Agenzia Italiana del Farmaco Paola Testori Coggi.

Ulteriore e sinistra concomitanza, guadagnano mediamente meno dei maschi. “Spesso non si curano perché non possono permetterselo”, ricorda allora Francesca Merzagora, presidente dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna (Onda), tema che rilancia l’urgenza del ricorso ai farmaci generici, meno costosi a parità di efficacia e sicurezza terapeutica. Lo stesso Onda ha lanciato il progetto dei “bollini rosa”, per premiare le strutture che praticano realmente la sanità di genere, ottenendo già il patrocinio di 20 società scientifiche e la costruzione di una rete di 248 ospedali nazionali.

E poi ci sono le campagne “social”, i convegni, gli appelli. Ma tra le tante parole di una celebrazione conclusa, c’è da ricordarsi che l’importanza sta naturalmente nei fatti. E che, passato l’8 marzo, è in arrivo un’altra ricorrenza di rilievo, il 22 aprile, consacrata dal Ministero della Salute proprio alla Salute della Donna, non a caso fissata nella data di nascita di una grande scienziata, Rita Levi Montalcini. “Il divario da colmare è ancora profondo”, ammise nella Giornata dell’anno scorso il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

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