Sarebbe regolato da una coppia di enzimi il meccanismo attraverso il quale il nostro organismo accumula energie sotto forma di grasso che poi il nostro corpo può avere a disposizione in tempi meno fecondi. A scoprirlo Simona Pedrotti, del gruppo di ricerca guidato da Davide Gabellini all’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, che hanno risultati della loro ricerca sulla rivista Science Advances.
Si tratta di un sistema che si è sviluppato nel corso di milioni di anni di evoluzione dei mammiferi e della nostra specie ma che, a causa delle mutate condizioni in cui viviamo oggi è causa di un eccesso di formazione di grasso, e dunque ha un ruolo determinante nello sviluppo dell’obesità. Il meccanismo riguarda infatti tutte e due i tipi di grassi prodotti dall’organismo: il grasso bianco e il grasso bruno, entrambi hanno un ruolo chiave nei processi metabolici. Il più noto è il grasso bianco – al quale ci riferiamo tipicamente quando parliamo di grasso. Funziona come un deposito di energia e aumenta se assumiamo più calorie di quelle che bruciamo. Quando la sua presenza supera una certa soglia aumentano i rischi per la nostra salute e si può arrivare a una diagnosi clinica di obesità. Il secondo tipo di grasso è il grasso bruno, che è invece invisibile dall’esterno: si trova nascosto in alcuni punti del nostro corpo – vicino alle carotidi, ad esempio, o tra le scapole. Al contrario del primo, il grasso bruno ci aiuta a stare in forma: chi ha più grasso bruno – o ce l’ha più attivo – ha anche meno grasso bianco. Questo perché il grasso bruno consuma molta energia e lo fa soprattutto per produrre calore quando ci troviamo a basse temperature, un ruolo chiave per aiutarci a sopravvivere.
Ecco perché lo stile di vita contemporaneo – dieta ipercalorica, sedentarietà e riscaldamento – altera in modo sistematico il nostro metabolismo. Ma come avviene tutto questo? Cosa traduce il cambio nello stile di vita in modifiche del metabolismo a livello di cellule e tessuti?
I ricercatori dell’IRCCS Ospedale San Raffaele hanno identificato per la prima volta il ruolo di una coppia di enzimi (chiamati Suv420h1 e Suv420h2) nel regolare l’attività del grasso bruno. I due enzimi hanno in particolare il ruolo di frenare il metabolismo di questo tessuto e lo fanno in risposta a cambi della temperatura o della dieta. Nei modelli sperimentali in cui questi enzimi vengono silenziati, o bloccati attraverso l’uso di farmaci, i ricercatori hanno infatti osservato un aumento della respirazione mitocondriale – il consumo di energia – una migliore tolleranza agli zuccheri e una riduzione del tessuto adiposo bianco.
“Le cellule di grasso bruno in cui questi enzimi vengono silenziati non solo si attivano per dare il loro contributo al consumo di energia dissipando calore attraverso la respirazione dei mitocondri”, spiega Simona Pedrotti. “Ma rilasciano una serie di ormoni con cui mettono in moto tutto l’organismo. Tra le altre cose spingono alcune cellule di grasso bianco a comportarsi come cellule di grasso bruno, amplificando così il consumo di energia”.
I risultati, seppur ancora preliminari e ottenuti su modelli animali, suggeriscono che questi enzimi potrebbero costituire in futuro dei target terapeutici per l’obesità, capaci – se opportunamente disattivati – di favorire l’accelerazione del metabolismo. “È importante però ricordare che si tratta di enzimi che svolgono funzioni diverse, e spesso fondamentali, in tessuti diversi. Esistono già dei composti in grado di interferire con la loro attività, ma per evitare gravi effetti secondari bisogna trovare il modo di veicolare questi composti in modo mirato ai tessuti che ci interessano, come il grasso bruno, risparmiando gli altri”, ha concluso Davide Gabellini.