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Dimmi che metabolismo hai e ti dirò il rischio di depressione che corri. E' parafrasando un vecchio detto popolare che si possono sintetizzare i risultati di uno studio condotto dalla University of California San Diego School of Medicine, insieme all'Università Radboud di Nimega (Paesi Bassi). I risultati, pubblicati sulla rivista TranslationalPsychiatry, aprono la strada alla possibilità di utilizzare specifiche molecole come biomarcatori per il disturbo depressivo maggiore.

Nello studio i ricercatori hanno chiesto a 68 soggetti (45 femmine, 23 maschi) con un disturbo depressivo maggiore ricorrente (rMDD) in remissione e senza antidepressivi di essere seguiti per due anni e mezzi in maniera prospettica, dopo avere prelevato un loro campione di sangue così da osservare il rapporto tra la condizione in questione e il metabolismo. Ebbene, i risultati hanno dimostrato l'esistenza di una firma metabolica composta da metaboliti, ovvero piccole molecole prodotte dal processo metabolico che appartengono a determinati tipi di lipidi (grassi che includevano eicosanoidi e sfingolipidi) e purine, queste ultime costituite da molecole come ATP e ADP fondamentali per l’accumulo di energia nelle cellule e nella comunicazione tra cellule sotto stress. Questa firma permetterebbe di prevedere quali pazienti avrebbero più probabilità di ricadere in depressione fino a due anni e mezzo nel futuro con un’accuratezza superiore al 90 per cento.

“Questa è la prova di un nesso mitocondriale nel cuore della depressione", dice Robert K. Naviaux, autore principale dello studio. "È un piccolo studio, ma è il primo a mostrare il potenziale dell'utilizzo di marcatori metabolici come indicatori clinici predittivi dei pazienti a maggior rischio - e a minor rischio - per attacchi ricorrenti di sintomi depressivi maggiori", aggiunge. Si tratta di differenze che non sono visibili attraverso la normale valutazione clinica. "L'uso della metabolomica - lo studio biologico dei metaboliti - potrebbe essere un nuovo strumento per prevedere quali pazienti sono più vulnerabili a una ricorrenza dei sintomi depressivi”, sottolinea Naviaux. Tuttavia, gli studiosi invitano alla cautela e hanno affermato che sarà necessario effettuare un altro studio con un campione molto più ampio composto da circa 198 femmine e 198 maschi. In caso di conferma, questi indicatori sarebbero estremamente utili per coloro che soffrono di disturbo depressivo maggiore ricorrente, detto comunemente anche depressione clinica.

 

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