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Per la prima volta un gruppo di ricercatori del Centro Cardiologico Monzino e dell'Università Statale di Milano ha rivelato qual è il meccanismo fisiopatologico che correla l’emicrania con aura al difetto cardiaco congenito del Forame Ovale Pervio (PFO), comunemente chiamato “buco nel cuore”, che consiste nella mancata chiusura totale alla nascita della comunicazione tra atrio destro e sinistro del cuore. Lo studio, pubblicato nel Journal of American College of Cardiology Basic to Translational Science, conferma inoltre i dati già noti di regressione delle crisi emicraniche in circa il 70% dei casi a seguito dell’intervento percutaneo di chiusura del forame ovale.

Diversi studi osservazionali avevano già evidenziato una relazione fra emicrania con aura e PFO, segnalando che circa il 35% dei soggetti affetti da PFO soffre di emicrania con aura (per il 70% sono donne) e che in questi pazienti gli attacchi di emicrania spariscono o si riducono in modo significativo dopo la procedura interventistica di chiusura del forame. Tuttavia non è mai stato chiarito il meccanismo che lega PFO e sintomo emicrania con aura. “Ad oggi, nessuna delle linee guida cardiologiche internazionali include l’emicrania con aura fra le indicazioni per l’intervento di chiusura del PFO”, spiega Daniela Trabattoni, responsabile dell’Unità di Cardiologia Interventistica 3 del Monzino, e coordinatrice della parte clinica dello studio. “Per questo al Monzino, forti della nostra casistica di successo nel trattamento del PFO, abbiamo pensato - continua - di ricercare il meccanismo fisiopatologico di connessione fra le due patologie, per dimostrare, a livello di meccanismi cellulari, come la chiusura del forame possa di fatto impedire lo scatenarsi delle crisi di emicrania con aura”.

I ricercatori hanno scoperto che il sangue di soggetti con emicrania e PFO presenta un numero elevato di piastrine e di micro-vescicole che esprimono una proteina - il fattore tessutale - in grado di innescare la cascata della coagulazione e la formazione di trombi. “Questo stato di attivazione piastrinica - spiega Marina Camera, professore associato del Dipartimento di Scienze Farmaceutiche dell’Università degli Studi di Milano e responsabile dell’Unità di Ricerca Biologia cellulare e molecolare cardiovascolare del Monzino - è causato dallo stress ossidativo (provocato dai radicali liberi), condizione ben nota per alterare le funzioni delle nostre cellule e tessuti. Nel nostro organismo l’azione dei radicali liberi è contrastata da sostanze antiossidanti, ma in alcune condizioni, come nei pazienti con PFO, queste possono essere non sufficienti a mantenere un equilibrio ossidativo determinando di conseguenza attivazione piastrinica con formazione di micro emboli”. Questo processo può essere bloccato con gli antiaggreganti o ancora meglio con la chiusura del PFO. “Abbiamo osservato che l’effetto di remissione dell’attivazione piastrinica può essere ottenuto anche con farmaci antiaggreganti quali clopidogrel”, dice Camera. “Tuttavia, il vantaggio conferito dalla chiusura del PFO, rispetto al trattamento farmacologico del paziente, è che tale procedura permette di rimuovere la causa dell’attivazione piastrinica, mentre il secondo tratterebbe solo l’effetto dello stress ossidativo sulla piastrina obbligando per altro il paziente ad una terapia cronica”, aggiunge.

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