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Secondo uno studio del gruppo di ricerca MUSA del Cnr-Irpps, i pensieri suicidi coinvolgono oggi circa la metà degli adolescenti italiani. Il gruppo ha indagato il meccanismo del loro sviluppo, dimostrando che i disagi psicologici che li alimentano non costituiscono l’origine del problema, rintracciata, invece, in particolari dinamiche di interazione sociale e in specifiche caratteristiche sociodemografiche. Lo studio, pubblicato sulla rivista Scientific Reports di Nature, fornisce risultati utili alla comprensione del problema e alla progettazione di interventi mirati a sostegno del benessere giovanile.

Lo studio si è basato sui dati di un’indagine quantitativa trasversale post-pandemica condotta dal gruppo a cavallo tra il 2021 e il 2022 attraverso la tecnica CAPI (Computer Assisted Personal Interview) su un campione rappresentativo di 4.288 adolescenti italiani frequentanti le scuole pubbliche secondarie di secondo grado. La ricerca ha analizzato l’eziologia del pensiero suicida tra gli adolescenti prendendo in esame simultaneamente una serie di fattori socio-demografici, psicologici e sociologici, per analizzarne la relativa influenza sul problema. Un primo dato emerso è che il 44,9% degli adolescenti italiani ha sperimentato almeno una volta il pensiero suicida (23,2%, una volta; 21,7% più di una volta), che riguarda pensieri di pianificazione del suicidio, desideri e preoccupazioni riguardo alla morte. I risultati hanno confermato l’esistenza di un'associazione diretta tra malessere psicologico e pensiero suicida, chiarendo però come, ad esclusione di implicazioni psichiatriche, esso non determina ma è determinato dal deterioramento dell’interazione umana.

Rispetto allo status socio-demografico, il pensiero suicida caratterizza maggiormente le ragazze (6 su 10 contro 4 ragazzi su 10), chi vive nelle are settentrionali del Paese, chi ha una cittadinanza straniera, chi frequenta gli istituti tecnici, i non credenti e chi ha un background familiare economico basso.

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