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Lontani dagli ospedali, lontani dalle cure. Nonostante quasi l’85% dei responsabili delle strutture oncologiche ospedaliere siano convinti dell'importanza di delocalizzare controlli e cure, solo il 25% delle terapie orali e sottocutanee vengono eseguite sul territorio. È il dato “chiave” emerso da una indagine su 24 direttori di struttura oncologica ospedaliera realizzata dal Collegio Italiano dei Primari Oncologi Medici Ospedalieri (Cipomo). Dai risultati è emerso che per il 60% degli intervistati non ci sono realtà assistenziali oncologiche territoriali. Nonostante questo, uno su 4 pensa che alcune attività possano essere erogate a domicilio, ma la maggior parte (75%) le preferirebbe in strutture come gli Ospedali e le Case di Comunità.

L'80% dei responsabili dei reparti oncologici degli ospedali pubblici sottolinea inoltre la grave carenza di personale sanitario. Mentre le attività considerate appropriate da svolgere sul territorio sono il follow-up, le terapie orali e di supporto (84,8%). Per il 23,5% il follow-up può essere svolto dall'oncologo o per il 72,7% insieme al medico di base. La metà degli intervistati (50,4%) vorrebbe la presenza fisica di un oncologo nel personale ospedaliero, mentre il 24,3% preferirebbe un oncologo dedicato al territorio e il 30% preferirebbe una presenza virtuale o su richiesta. “Questi risultati mostrano l’interesse dei primari di Oncologia a partecipare attivamente alla deospedalizzazione di alcune attività oncologiche, ma non solo per il follow-up, collegando in modo bidirezionale Ospedale e territorio”, commenta Cinzia Ortega, Direttore S.C. Oncologia – ASLCN2 Alba e Bra e Consigliere Nazionale Cipomo.

“Il concetto essenziale – aggiunge Luisa Fioretto, che dirige anche il dipartimento oncologico dell’Azienda Sanitaria Toscana Centro - resta che l’assistenza oncologica diffusa sul territorio deve essere parte integrante di una rete oncologica complessiva, in continuità con la rete ospedaliera”.

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