Perdere i chili in eccesso già da piccoli, fa guadagnare anni di vita in buona salute da grandi, riducendo il rischio di mortalità e malattie cardiometaboliche. Uno studio condotto dal Karolinska Institutet ha infatti dimostrato che un intervento precoce sugli stili di vita, da bambini o adolescenti - quando l’obesità, non è ancora grave - può portare a una riduzione fino all’88% del rischio di morte prematura da adulti. I risultati, pubblicati su JAMA Pediatrics, evidenziano anche che i bambini e gli adolescenti che perdono peso hanno un rischio inferiore del 58% di sviluppare il diabete di tipo 2, del 69% di soffrire di colesterolo alto e del 60% di avere la pressione alta da adulti, mentre almeno il 40% dei bambini con obesità presenterà ancora la malattia in età adulta, con un aumento del rischio di mortalità nel lungo periodo.
«Si calcola che nel 2030 bimbi in sovrappeso o obesi nel mondo saranno 235 milioni, più di quelli colpiti da malnutrizione – dice Valentino Cherubini, presidente della Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEDP) – . Mentre si stima che a oggi, in Italia, sia obeso il 10% dei bimbi, circa 700 mila fra i 5 e 15 anni: di questi, oltre 150mila sono obesi gravi e solo una piccola parte a causa di un difetto genetico». Lo studio condotto in Svezia ha coinvolto 6.713 bambini e adolescenti tra i 6 e i 17 anni all’inizio di un trattamento di tre anni per l’obesità, seguiti fino ai 30 anni per valutare l’efficacia delle diverse strategie mirate a modificare lo stile di vita.
“Tra i risultati più significativi dello studio – sottolinea Maria Rosaria Licenziati, segretario generale della SIEDP – emerge che una buona risposta al trattamento, o addirittura la remissione completa dell’obesità in età pediatrica ha ridotto drasticamente il rischio di sviluppare diabete di tipo 2 (fino al 58% in meno), dislipidemia (69% in meno) e ipertensione (60% in meno) a lungo termine”. Il dato forse più sorprendente riguarda però la mortalità: chi ha risposto bene al trattamento ha mostrato un rischio di morte prematura inferiore dell’88% rispetto a chi ha avuto scarsa risposta.