“Mi ricordo di quanto non vorrei: non posso dimenticare quello che vorrei”, diceva Cicerone, e tanti altri dopo di lui. Tuttavia qualche antropologo ha poi notato che saper dimenticare è una capacità intrinseca alle nostre stesse doti mnemoniche. Tale nesso in apparenza paradossale trova ora conferma nella ricerca scientifica, con potenziali risvolti terapeutici.
L’indagine, pubblicata sulla rivista Nature Communications, è stata condotta a Siviglia, all’Università Pablo Olavide, in collaborazione col Laboratorio Europeo di Biologia Molecolare (Embl) di Heidelberg. E’ stata condotta su topolini, con riferimento all’attività del loro ippocampo, sede cerebrale cruciale nei processi di apprendimento. Esso includerebbe tre “canali”: uno, il principale, è consacrato alla costruzione del ricordo, il secondo al suo richiamo, il terzo all’oblio.
L’apprendimento è anzitutto un processo associativo. Impariamo una cosa se la leghiamo a qualcos’altro. La memoria si cementa così, stabilendo connessioni tra neuroni. Ebbene, i ricercatori hanno notato che se si blocca il canale principale i topi non sono più capaci di elaborare una risposta “pavloviana”, quel riflesso condizionato che associa ad esempio un rumore a un comportamento capace di anticiparne le conseguenze. Se però tale connessione era stata in precedenza interiorizzata (coinvolgendo il secondo canale, quello capace di rinnovare il ricordo), il blocco si rivela insufficiente, e la memoria tende a ripristinarsi.
L’aspetto più interessante è speculare a tutto questo: l’utilizzo del primo canale provoca viceversa un indebolimento del secondo. In altre parole, la spinta all’oblio avviene essenzialmente nelle situazioni di apprendimento. “Abbiamo uno spazio non infinito nel cervello, quando si impara bisogna allentare alcune connessioni per lasciare spazio ad altre”, spiegano i ricercatori. In altre parole, “quando si imparano cose nuove bisogna dimenticarne altre apprese in precedenza”.
Gli esperimenti sono stati condotti tramite modifiche genetiche sui topi. Gli scienziati dell’Embl declamano però la possibilità di generare la pozione dell’oblio per semplice via farmacologica. Preziosa per superare eventi traumatici del passato, dicono. Più di Cicerone è allora cruciare il contemporaneo Milan Kundera: “ L’oblio ci riconduce al presente, pur coniugandosi in tutti i tempi […] Occorre dimenticare per rimanere presenti, dimenticare per non morire, dimenticare per restare fedeli ”, scrive in “La lentezza”.