“I tagli lineari hanno indebolito fortemente il Servizio Sanitario Nazionale, la spesa media sanitaria pro-capite in Italia è di 2.261 euro, a fronte dei 3.509 della Francia e dei 4.200 euro della Germania”. I dati sono stati rilanciati dai sindacati confederali riuniti in Assemblea nazionale per il quarantennale del Ssn a Salerno, notando inoltre come la Sanità italiana, nello scorso decennio di crisi, abbia già pagato un conto salato, mentre altrove in Europa è invece cresciuta. Sono stati giorni densi di tavoli importanti per il settore in Italia, inclusa la 68esima sessione del Comitato regionale per l’Europa dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), che ha tra l’altro puntellato l’obiettivo della “copertura universale”.
Obiettivo fatto proprio dal premier Giuseppe Conte, che ha sottolineato gli indicatori positivi sull’Italia (“secondi in Europa per aspettativa di vita”), annunciato la volontà di rilancio del Ssn e ammesso alcune delle principali criticità attuali, più volte segnalate sui nostri spazi, citando in particolare le gravi sperequazioni nell’accesso alle cure, sul piano socio-economico e anche tra Regioni.
Dalle parole si arriverà presto alla verifica dei fatti, anche con la prossima legge di Bilancio. Il nodo delle risorse non si limita peraltro al loro ammontare complessivo, ma anche alla qualità della spesa. Come ha documentato, tra gli altri, la Fondazione Gimbe, il nodo dei farmaci è cruciale, in quanto l’Italia risulta ancora, da recenti comparazioni europee, a un modesto 26esimo posto nel ricorso agli equivalenti, ed è un ritardo che costituisce di per sé un fattore di spreco per i conti pubblici e privati, a danno delle possibilità di cura.
Di questo si è parlato anche in occasione dell’Assemblea pubblica di Assogenerici, tenutasi a Roma, che ha peraltro presentato dati di un incoraggiante recupero, spinto anche dalla scadenza del brevetto di diversi farmaci. Nel primo semestre del 2018 il settore registra un incremento tendenziale del 12,1% in valore e del 5,7% in volume, elevando la propria quota nel mercato farmaceutico rispettivamente al 13,14% e al 21,95%. La differenza tra “valori” e “volumi” fornisce già un’indicazione sul potenziale risparmio: a parità di efficacia terapeutica rispetto ai medicinali “branded” il ricorso agli equivalenti permetterebbe di allargare le cure. Specularmente, il differenziale pagato di tasca propria dai cittadini che hanno scelto ancora la “marca” rispetto al “generico” ammonta - solo nel primo semestre - a 561 milioni. E paradossalmente l’incidenza del differenziale versato è superiore proprio nelle Regioni meridionali, che avrebbero maggiori necessità di trovare nuove risorse per la Salute. Con ricadute perfino, come notato da una ricerca internazionale, sulle loro capacità di copertura vaccinale.
Per superare il problema la stessa Assogenerici ha avanzato un nutrito pacchetto di proposte in tema di “governance”. In attesa di risposte dai decisori istituzionali, ci si muove sul terreno concreto della lotta al diffondersi di patologie legate alla povertà o al mancato accesso alle cure, anche con il progetto pilota, avviati a Roma, di “Farmacie di strada”, in collaborazione, tra gli altri, con la Fondazione Banco Farmaceutico. “Abbracciare chi rischia di restare ai margini del diritto alla salute sancito dalla Costituzione e spesso suo malgrado tradito dal Servizio Sanitario Nazionale”, la sfida lanciata dal presidente dell’associazione Enrique Häusermann.