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Una nuova terapia genica potrebbe rivoluzionare il trattamento della talassemia, una malattia del sangue ereditaria molto grave causata da un difetto genetico che provoca la distruzione dei globuli rossi. Uno studio internazionale, a cui hanno preso parte ricercatori dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma, ha dimostrato che la terapia “betibeglogene autotemcel” (beti-cel) è in grado di liberare il 91 per cento dei pazienti con talassemia dalla “schiavitù” delle trasfusioni. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista New England Journal of Medicine.

La beta talassemia è dovuta a mutazioni a carico del gene HBB che possono causare una ridotta o assente sintesi delle catene beta dell’emoglobina, la molecola responsabile del trasporto dell’ossigeno nel sangue. La terapia genica oggetto dello studio si chiama Betibeglogene autotemcel o beti-cel, ed è già stata approvata come farmaco orfano dall’Agenzia per i farmaci europea (Ema); corregge questo difetto nelle cellule staminali ematopoietiche del paziente, che, una volta prelevate e modificate, vengono re-infuse nel malato. La sperimentazione, partita nel 2016 ha coinvolto nove centri tra Italia, Francia, Germania, Thailandia, Regno Unito e Usa. Sono stati 23 i pazienti con beta talassemia coinvolti, tutti dipendenti dalla trasfusione all’inizio dello studio: 8 bambini con meno di 12 anni e 15 dai 12 ai 50 anni. In 20 dei 22 pazienti valutati (91%), la produzione di emoglobina era tale da liberarli dalla trasfusione per almeno un anno, in alcuni casi quasi per due anni. Il trattamento si è dimostrato efficace anche nei bambini al di sotto dei 12 anni: 6 su 7 non hanno avuto bisogno di trasfusione. Anche i due pazienti che, nonostante la terapia, hanno continuato ad aver bisogno delle trasfusioni, hanno comunque ridotto il fabbisogno di sangue: uno del 67,4% e l’altro del 22,7%.

“Questi dati suggeriscono che nella maggior parte dei pazienti con beta talassemia dipendente da trasfusioni, una sola infusione di beti-cel è potenzialmente curativa”, dicono i ricercatori. “Quando si hanno dei dati di follow up così importanti si può parlare di guarigione”, dice Franco Locatelli, direttore del dipartimento di Onco-Ematologia e Terapia Cellulare e Genica dell'Ospedale Bambino Gesù di Roma e primo firmatario dello studio. “Il trattamento è stato in grado di determinare il raggiungimento di valori di emoglobina - aggiunge - molto consistenti in una percentuale elevata dei pazienti che hanno ottenuto l’indipendenza trasfusionale. Questo risultato è persistente nel tempo”. Attualmente la terapia oggetto dello studio è approvata dall’Ema per le persone dai 12 anni in su con una specifica caratteristica genetica che hanno bisogno di trasfusioni e non abbiano condizioni incompatibili con il trapianto (per esempio problemi cardiaci o epatici). Lo studio ha però mostrato ottimi risultati anche nei bambini con meno di 12 anni: “è quindi prevedibile che le agenzie regolatorie estendano le indicazioni anche ai bambini più piccoli”, dice ancora Locatelli.

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