Bastano anche solo 7mila passi al giorno, e non 10mila, per ridurre significativamente il rischio di malattie cardiache, demenza e depressione. A stabilirlo è uno studio dell’Università di Sydney, in Australia, pubblicato sulla rivista The Lancet Public Health. L’obiettivo dei ricercatori è stato quello di capire meglio quanti passi è necessario fare ogni giorno per mantenersi in buona salute. I ricercatori hanno esaminato 57 studi, pubblicati tra il 2014 e il 2025, riguardanti centinaia di migliaia di adulti senza gravi patologie a inizio studio. I ricercatori hanno scoperto che le persone che percorrevano circa 7mila passi al giorno avevano un rischio di morte per qualsiasi causa inferiore del 47% durante i periodi di follow-up degli studi, in media, rispetto a chi ne percorreva solo 2.000 al giorno. Avevano anche un rischio inferiore del 25% di sviluppare malattie cardiovascolari e un rischio inferiore del 47% di morirne. Sembra inoltre che questo conteggio dei passi riduca del 37% il rischio di morte per cancro, del 38% il rischio di sviluppare demenza e del 22% il rischio di sviluppare sintomi depressivi.
Le probabilità di superare un esame orale all'università sono più alte a mezzogiorno. A scoprire l’influenza dell’orario sulle prestazioni e i risultati accademici è uno studio dell’Università di Messina, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Frontiers in Psychology. Carmelo Vicario, ricercatore dell’ateneo siciliano, ha iniziato a indagare su questo aspetto dopo essersi imbattuto in uno studio, secondo il quale le decisioni dei giudici sarebbero influenzate dalla vicinanza all’ora del pasto. “Stavo cercando di capire se questo potesse essere vero anche nell’istruzione”, afferma Vicario.
Se in ospedale c'è carenza di infermieri si muore di più. Ogni singolo giorno di carenza infermieristica comporta un incremento del 9,2% del rischio di mortalità. Non solo: l’assenza di infermieri è correlata a un +4,8% di casi di trombosi venosa profonda, un +5,7% di polmoniti e un drammatico +6,4% di piaghe da decubito. Accade nelle chirurgie, ma anche in geriatria, medicina interna, riabilitazione, rianimazione e nei lunghi percorsi post-acuti. Questi sono i dati di uno studio pubblicato sul British Journal of Surgery, condotto dall’Università di Southampton (Regno Unito) su oltre 214mila ricoveri ospedalieri. I risultati sono stati rilanciati dal sindacato infermieri Nursing Up.
Un nuovo studio condotto dai ricercatori della McMaster University ha scoperto che molte persone con la sindrome dell’intestino irritabile (IBS) che credono di essere sensibili al glutine o al grano potrebbero in realtà non reagire a questi ingredienti. La IBS è un disturbo intestinale che ha uno dei tassi di prevalenza più elevati a livello globale. Lo studio, pubblicato su The Lancet Gastroenetrology and Hepatology, ha incluso partecipanti con IBS diagnosticata clinicamente che hanno riferito di sentirsi meglio con una dieta senza glutine. A questi individui sono state somministrate barrette di cereali contenenti glutine, grano integrale o nessuno dei due, senza sapere quale fosse l’uno o l’altro, in ordine casuale.
Entro i prossimi 25 anni i superbatteri potrebbero causare la morte di milioni di persone in tutto il mondo e costare all’economia globale poco meno di 2.000 miliardi di dollari all’anno. A determinarlo è una ricerca condotta dal Center for Global Development. I risultati mostrano che, senza un’azione concertata, l’aumento dei tassi di resistenza antimicrobica potrebbero comportare perdite annuali di PIL globale pari a 1,7 trilioni di dollari nel prossimo quarto secolo. Le economie più colpite sarebbero quelle di Stati Uniti, Regno Unito e Unione Europea, inasprendo le polemiche circa i recenti tagli drastici agli aiuti.
Consumare un avocado intero la sera può avere effetti positivi il mattino dopo nelle persone a maggior rischio di malattie cardiache a causa del pre-diabete. Almeno questo è quanto emerso da uno studio clinico condotto da Britt Burton-Freeman del Dipartimento di Scienze Alimentari e Nutrizione dell’Illinois Institute of Technology. I risultati del lavoro sono stati pubblicati sulla rivista Current Development in Nutrition. I ricercatori hanno osservato che mangiare avocado la sera può favorire un metabolismo più sano dei trigliceridi la mattina successiva.
Una mutazione genetica, presente in circa il 5% dei pazienti con tumore al polmone non a piccole cellule, è associata a una risposta più efficace e duratura all’immunoterapia. Lo dimostra un ampio studio internazionale coordinato dal Dana-Farber Cancer Institute in collaborazione con l’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena (IRE) pubblicato sulla rivista Annals of Oncology che apre la strada a nuovi sviluppi terapeutici. L’immunoterapia ha rivoluzionato il trattamento del tumore al polmone, ma solo una parte dei pazienti ne trae beneficio: comprendere perché alcuni rispondono e altri meno è una delle grandi sfide dell’oncologia di precisione. Oggi un passo importante arriva da uno studio che ha identificato nella mutazione del gene DNMT3A un potenziale biomarcatore di risposta all’immunoterapia nei pazienti con tumore al polmone non a piccole cellule. In parole semplici: è come se, nei tumori con questa mutazione, si accendessero dei “fari” che attirano meglio le difese immunitarie. I pazienti con la mutazione hanno mostrato tassi di risposta quasi doppi rispetto agli altri, oltre a una sopravvivenza globale significativamente più lunga.
La malattia di Lyme, causata dai batteri del genere Borrelia e trasmessa da zecche, può talvolta evolvere in forme croniche difficili da trattare. È stato ipotizzato che una delle ragioni alla base della persistenza dell’infezione risieda nella capacità di Borrelia di organizzarsi in strutture tridimensionali, una sorta di "pellicola protettiva" nota come biofilm. In sintesi, sono comunità di batteri immerse in una matrice formata da polisaccaridi, proteine e acidi nucleici. Tale matrice può limitare la penetrazione degli antibiotici e compromettere l’efficacia delle risposte immunitarie del corpo umano, favorendo così la sopravvivenza della popolazione batterica. Lo rivela uno studio coordinato dall’Istituto Dermatologico San Gallicano IRCCS di Roma, in collaborazione con l’Università Sapienza di Roma, l’Università di Lubiana e finanziato dall’Associazione Lyme Italia e Coinfezioni e pubblicato su “Frontiers in Cellular and Infection. Microbiology-Veterinary and Zoonotic Infection”.
L’IRCCS di Candiolo ha documentato, tra i primi centri al mondo, la fattibilità di un nuovo tipo di approccio chirurgico robotico nel trattamento del tumore all’ovaio in stadio iniziale che, a differenza della tradizionale laparatomia o laparoscopia, prevede l’utilizzo di una sola “porta d’ingresso”. Questo significa che per rimuovere il tumore, nel nuovo tipo di intervento di chirurgia robotica avanzata il chirurgo esegue soltanto una piccola incisione di 3 cm a livello dell’ombelico, anziché i soliti 4/5 “accessi” di 2 cm circa l’uno, limitando in questo modo il numero delle cicatrici a 1 e riducendo il dolore post-operatorio, pur mantenendo la stessa efficacia e sicurezza degli interventi endoscopici tradizionali. Si tratta di un’evoluzione della chirurgia mini-invasiva.
L’inquinamento da metalli nel latte materno ha aumentato il rischio di problemi di crescita nei neonati delle donne Maya nella regione del bacino idrografico del lago Atitlán in Guatemala. Questo secondo quanto emerge da uno studio guidato dall’Università dell’Arizona e pubblicato su Environmental Pollution.
Con l’autorizzazione appena ricevuta dall’Aifa prende il via la prima sperimentazione in Italia della psilocibina, un composto estratto da alcune specie di funghi con proprietà allucinogene, per il trattamento della depressione nelle forme resistenti ai trattamenti tradizionali. Lo studio, finanziato con fondi PNRR e coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità, che ha eseguito i test preclinici, sarà condotto presso la Clinica Psichiatrica dell’ospedale di Chieti, diretta da Giovanni Martinotti, con il contributo del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università “D’Annunzio” e in collaborazione con la Asl Roma 5 e l’Azienda Ospedaliero Universitaria “Ospedali Riuniti” di Foggia.
Poche gocce nasali di ossitocina, somministrate dalla nascita, per una settimana, potrebbero bastare per prevenire patologie come l’autismo, la schizofrenia e l’ADHD. Infatti, l’ossitocina è in grado di riparare i difetti della barriera ematoencefalica, scudo del cervello contro le sostanze dannose, che risulta compromesso in alcuni disturbi psichiatrici e del neurosviluppo. A rivelarlo è uno studio internazionale dell’Istituto Italiano di Tecnologia e dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino e di Genova, coordinato da Francesco Papaleo, direttore del gruppo di ricerca Genetics of Cognition, con il supporto della Fondazione Telethon e appena pubblicato sulla rivista Brain.
L’esposizione all’inquinamento atmosferico durante la gravidanza, in particolare al particolato fine (PM 2.5), può aumentare il rischio di sovrappeso o obesità infantile. Questa è la conclusione di un ampio studio di meta-analisi paneuropeo condotto dal Barcelona Institute for Global Health (ISGlobal) e recentemente pubblicato sulla rivista Environment International.
Oltre 14 milioni di persone tra le più vulnerabili al mondo, un terzo delle quali bambini piccoli, potrebbero morire a causa dello smantellamento degli aiuti esteri statunitensi da parte dell’amministrazione Trump, secondo uno studio pubblicato sulla rivista Lancet in coincidenza con una recente conferenza delle Nazioni Unite in Spagna orientata a rafforzare il settore umanitario in difficoltà.. “Per molti paesi a basso e medio reddito, lo shock risultante sarebbe paragonabile per portata a una pandemia globale o a un grave conflitto armato”, afferma Davide Rasella, coautore dello studio e ricercatore presso il Barcelona Institute for Global Health.
Un unico test di imaging per la valutazione simultanea delle arterie coronariche e del muscolo cardiaco, in grado di aumentare la risoluzione dell’immagine fino ad arrivare a vedere placche sottili come un capello, riducendo così di oltre il 50% il ricorso a un’indagine invasiva come la coronarografia diagnostica. È in funzione presso il Dipartimento di Diagnostica per Immagini, dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, la cardio Tac di ultima generazione, dotata di tecnologia “Photon-Counting”, che segna una svolta epocale per la diagnostica cardiologica.
Con le temperature estive roventi a bruciare non è soltanto la pelle, ma anche lo stomaco per 1 italiano su 4. Il caldo, unito ai “bagordi” delle vacanze, può infatti causare un peggioramento dei sintomi del reflusso gastroesofageo, una patologia che colpisce fino al 20% della popolazione italiana. Colpa di fattori come disidratazione, cambiamenti nelle abitudini alimentari e una digestione più lenta, i mesi più caldi possono trasformare il reflusso gastroesofageo in un incubo. Tuttavia, per i casi più gravi o refrattari alla terapia medica, le moderne tecniche chirurgiche offrono soluzioni efficaci, personalizzate e potenzialmente definitive. A fare il punto gli gli specialisti intervenuti al secondo congresso “Hot Topics in Functional Digestive Surgery Meeting”, promosso dall’Ospedale Buon Consiglio Fatebenefratelli di Napoli e dalla Società Italiana Unitaria di Colon-Proctologia, a Napoli.
Dalla fermentazione dei principali sottoprodotti della produzione di olio d’oliva (sansa di oliva denocciolata) è possibile ricavare un nuovo alimento a base vegetale, con un significativo impatto prebiotico sul microbiota fecale di individui sani e con attività antiinfiammatoria dimostrata su modello animale. È quanto emerge da uno studio dell’Università di Teramo, guidato da Aldo Corsetti e presentato nel corso del 45esimo congresso nazionale della Società Italiana di Nutrizione Umana.
I risultati di una ricerca pubblicata sul New England Journal of Medicine supportano l’efficacia e la sicurezza di una terapia a base di isole pancreatiche derivate da cellule staminali pluripotenti allogeniche (ossia ricavate da donatore sano) per il trattamento del diabete di tipo 1 (zimislecel). Lo studio di fase 1-2 è stato condotto da un gruppo di ricercatori statunitensi ed europei e ha arruolato 14 persone con diabete di tipo 1, tutte sottoposte a follow-up di 12 mesi. Le prime due persone sono state trattate con 400 milioni di cellule infuse nel fegato, al fine di verificarne la sicurezza. Le successive 12 hanno ricevuto 800 milioni di cellule, per valutarne la funzionalità. In entrambe le coorti, la terapia cellulare è stata somministrata in associazione a un regime di immunosoppressione.
Un’analisi basata sull’Intelligenza artificiale (IA) ha rivelato un aumento globale dell’incidenza dell’artrite reumatoide dal 1980, con un incremento nelle fasce d’età più giovani e in un numero crescente di aree geografiche. Lo rivela uno studio condotto da Queran Lin, del Centro Collaborativo OMS per l’Educazione e la Formazione in Salute Pubblica presso la Facoltà di Medicina dell’Imperial College di Londra e della Divisione di Progettazione della Ricerca Clinica del Sun Yat-Sen Memorial Hospital di Guangzhou, insieme ai coautori Baozhen Huang, della City University di Hong Kong, e Wenyi Jin, dell’Università di Wuhan e della City University di Hong Kong, pubblicato sulla rivista Annals of the Rheumatic Diseases.
Il 66,5% dei pazienti affetti da mielofibrosi è indipendente dalle trasfusioni dopo 24 settimane di trattamento con un nuovo JaK inibitore orale, recentemente disponibile anche in Italia. È il dato chiave emerso dallo studio clinico SIMPLIFY‑1, presentato all’ultimo Congresso europeo di ematologia. Anche nei pazienti già trattati con altri JAK-inibitori, il farmaco ha mostrato benefici significativi su anemia, splenomegalia e sintomi. La mielofibrosi è un tumore del sangue che colpisce circa 350 persone all’anno in Italia, con incidenza maggiore tra i 60 e i 70 anni.