I farmaci betabloccanti, solitamente prescritti ai pazienti che hanno avuto un infarto, possono essere non necessari e possono anche aumentare il rischio di sviluppare depressione. Queste sono le conclusioni di un nuovo studio dell’Università di Uppsala, pubblicato sull’European Heart Journal. “Abbiamo scoperto che i betabloccanti hanno portato a livelli leggermente più alti di sintomi di depressione nei pazienti che avevano avuto un infarto ma non soffrivano di insufficienza cardiaca”, afferma Philip Leissner, primo autore dello studio. “Allo stesso tempo, i betabloccanti non hanno alcuna funzione di sostegno vitale per questo gruppo di pazienti”, aggiunge.
I cambiamenti nella composizione del microbioma intestinale sono collegati all’insorgenza dell’artrite reumatoide nei soggetti a rischio di contrarre la malattia a causa di fattori genetici, ambientali o immunologici. Questo è quanto emerge da uno studio condotto dagli scienziati dell’Università di Leeds e pubblicato sulla rivista Annals of the Rheumatic Diseases.
L’esposizione a sostanze come il particolato fine e gli ossidi di azoto può avere un impatto significativo sul rischio di sviluppare disturbi dello spettro autistico. È quanto afferma lo studio dell’Università Ebraica di Gerusalemme pubblicato sulla rivista Brain Medicine. Stando ai risultati, il legame risulta evidente soprattutto durante le fasi più critiche dello sviluppo neurologico, come quello prenatale e la prima infanzia, quando le sostanze inquinanti possono innescare effetti a cascata sui meccanismi che influenzano lo sviluppo del cervello.
Di allergia alimentare si può morire. Ma per i bambini che ne soffrono oggi c’è una nuova possibilità di cura, un farmaco che riduce il rischio di reazioni al contatto con l’alimento “incriminato” consentendo di recuperare una dieta meno severa e, quindi, una migliore qualità di vita. Il grado di sicurezza del farmaco per le allergie alimentari - un anticorpo monoclonale già utilizzato per l’asma - è stato verificato e confermato da uno studio osservazionale condotto da ricercatori dell’unità di Allergologia dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù: dopo 12 mesi di trattamento, oltre il 60% dei piccoli pazienti coinvolti nella ricerca ha potuto adottare un’alimentazione completamente libera, senza restrizioni.
Nella nostra pelle potrebbe potrebbero celarsi preziose informazioni sullo stato di salute del cervello. Lo stretto legame tra i due organi consentirebbe infatti di scoprire la presenza di malattie neurodegenerative attraverso il semplice studio dei parametri cutanei. Ph, vascolarizzazione e idratazione della cute potrebbero fornire indizi di una neuroinfiammazione in corso, utili per diagnosticare e trattare con anticipo lo sviluppo di patologie come l’Alzheimer. Lo ha spiegato Arianna Di Stadio, neuroscienziata, docente all’Università di Catania e ricercatrice onoraria presso il Laboratorio di Neuroinfiammazione del UCL Queen Square Neurology di Londra, in una rassegna sull'argomento.
C’è un forte legame tra 22 pesticidi utilizzati nell’agricoltura e l’incidenza del tumore alla prostata, la forma di cancro più comune negli uomini. A individuarli è stato uno studio della Scuola di Medicina dell’Università americana di Stanford, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Cancer. Dei pesticidi individuati, ben 19 non erano mai stati accostati prima d’ora a questa forma di tumore. I risultati del lavoro degli studiosi evidenziano la necessità di ulteriori indagini su questo tema per confermare eventualmente il risultato e mettere a punto interventi adeguati.
Un nuovo long non coding RNA, denominato RP11-350G8.5, è stato scoperto e caratterizzato come nuovo potenziale bersaglio per il trattamento del mieloma multiplo. Lo studio, sostenuto dalla Fondazione Airc e pubblicato sulla rivista Blood, è stato condotto dal gruppo di Ricerca di Oncologia Medica Traslazionale dell’Università Magna Graecia di Catanzaro, coordinato da Pierfrancesco Tassone, in collaborazione con il gruppo guidato da Francesco Iorio nel centro di Biologia Computazionale dello Human Technopole di Milano. Il mieloma multiplo è un tumore ancora difficile da curare che origina dalle plasmacellule. Si tratta di cellule del sistema immunitario, la cui proliferazione tumorale incontrollata e la produzione di molecole disfunzionali causano danni al midollo osseo e ad altri organi.
L’attività fisica intensa è altamente efficace nel sopprimere la sensazione di fame negli adulti sani rispetto all’allenamento moderato, specialmente nella popolazione femminile. A dimostrarlo è stato uno studio condotto dagli scienziati dell’Università della Virginia, i cui risultati sono stati pubblicati sul Journal of the Endocrine Society. Il team di ricerca, guidato dalla scienziata Kara Anderson, ha valutato gli effetti dell’esercizio fisico di varie intensità sui livelli di grelina e sull’appetito, coinvolgendo otto uomini e sei donne. La grelina, spiegano gli esperti, è nota anche come ormone della fame, ed è associata alla percezione del senso di sazietà.
Il genere detta le preferenze a tavola che, a loro volta, possono influenzare la salute sessuale maschile. Gli uomini sono dunque più attratti da carne e pasti fuori orario, che possono compromettere l’intimità. A fare una rassegna delle più attuali evidenze scientifiche è stata la Società italiana di andrologia. Uno studio condotto dall’Università Telematica San Raffaele Roma e dall’IRCSS San Raffaele Roma, pubblicato sulla rivista Frontiers in Nutrition, ha dimostrato che gli uomini sono attratti dalla carne rossa e lavorata, e tendono a mangiare di più in orari sfasati, velocemente e fuori casa.
Circa il 40% dei casi di tumore al seno positivo agli ormoni in postmenopausa può essere legato all’eccesso di grasso corporeo. A scoprirlo è stato uno studio spagnolo del Research Institute of Biomedical and Health Sciences dell’University of Las Palmas de Gran Canaria, i cui risultati sono stati pubblicati sul Journal of Epidemiology & Community Health. “Questa percentuale è significativamente superiore a quella di 1 caso su 10 attualmente attribuito all’eccesso di peso e indica che il reale impatto dell’obesità sul rischio di cancro al seno è stato probabilmente sottovalutato”, affermano i ricercatori.
Un semplice esame del sangue potrebbe aiutare i medici a identificare le donne in fase di travaglio che rischiano di sviluppare preeclampsia, una delle principali cause di morte materna. Questo incoraggiante risultato emerge da uno studio, presentato durante il congresso annuale Anesthesiology 2024, condotto dagli scienziati della Icahn School of Medicine al Mount Sinai di New York. Il team, guidato dalla scienziata Lucy Shang, ha analizzato le cartelle cliniche di 2.629 donne che hanno partorito tra il 2018 e il 2024. Secondo i Centers for Disease Control and Prevention (CDC), tra il 5% e il 10% delle donne in gravidanza sviluppa preeclampsia, una condizione associata a ipertensione improvvisa e livelli anomali di proteine nelle urine.
Al via all’Istituto tumori Pascale di Napoli l’arruolamento per testare il vaccino anticancro a mRNA per la cura del carcinoma della pelle a cellule squamose, uno dei tumori della cute più diffusi, tipico di chi è esposto al sole senza alcuna precauzione (es: braccianti, marinai, muratori) e che nel 5% dei casi porta alla mortalità. L’identikit dei 600 pazienti selezionati per la sperimentazione corrisponde a: persona anziana, per lo più uomo, con un passato di esposizione al sole molto intenso, con lesioni della cute molto gravi.
I ricercatori dell’Università di Oxford hanno ricevuto circa 600mila sterline dal Cancer Research UK per creare il primo vaccino al mondo per prevenire il cancro ovarico. Il nuovo vaccino, chiamato OvarianVax, dovrebbe riuscire a “insegnare” al sistema immunitario a riconoscere e attaccare il cancro ovarico nelle sue fasi iniziali. Ci sono circa 7.500 nuovi casi di cancro ovarico ogni anno nel Regno Unito, ed è il sesto tumore più comune nelle donne. Le donne con geni BRCA1 difettosi hanno un rischio di cancro ovarico più alto e, in misura minore, anche le donne con un gene BRCA2 difettoso, rispetto alle donne senza queste varianti.
L’incremento della longevità e dell’aspettativa di vita umana sembra stia subendo una notevole decelerazione. A dimostrarlo è uno studio condotto dagli scienziati dell’Università dell’Illinois a Chicago, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nature Aging. Il team di ricerca ha analizzato i dati sulla mortalità delle nove regioni con le aspettative di vita attualmente più elevate: Hong Kong, Giappone, Corea del Sud, Australia, Francia, Italia, Svizzera, Svezia e Spagna. Le informazioni sono state confrontate con quelle relative agli Stati Uniti tra il 1990 e il 2019.
Le cure oftalmologiche erogate dal Servizio Sanitario Nazionale hanno le ore contate. Mancano infatti meno di 3 mesi all’entrata in vigore dei nuovi Livelli Essenziali di Assistenza, già una volta rimandata, e quando succederà il prossimo gennaio l’oculistica rischia di “uscire” dal sistema sanitario. A pagarne le conseguenze saranno i 6 milioni di italiani che, a livelli di gravità diversi, soffrono di una malattia oculare. A puntare i riflettori sul futuro delle cure oculistiche in Italia è l’Associazione Pazienti Malattie Oculari (APMO).
Concentrare nel weekend la quantità di attività fisica settimanale raccomandata riduce il rischio di sviluppare in futuro ben 264 malattie. Lo ha scoperto uno studio del Massachusetts General Hospital, pubblicato sulla rivista Circulation. “È noto che l’attività fisica influisce sul rischio di molte malattie. Qui dimostriamo i potenziali benefici dell’attività dei ‘guerrieri del fine settimana’ sul rischio non solo di malattie cardiovascolari, come abbiamo evidenziato in passato, ma anche di malattie future che abbracciano l’intero spettro, da condizioni come le malattie renali croniche ai disturbi dell’umore e altre”, spiega Shaan Khurshid del Demoulas Center for Cardiac Arrhythmias del Massachusetts General Hospital e coautore dello studio con Patrick Ellino, primario di Cardiologia e co-direttore del Corrigan Minehan Heart Center del Massachusetts General Hospital.
I maiali possono essere un veicolo di trasmissione per un ceppo del virus dell’epatite E, HEV, comune nei ratti, che è stato recentemente legato a infezioni umane. Lo rivela uno studio dell’Ohio State University, riportato sulla rivista PNAS Nexus. Da quando è stato segnalato il primo caso umano in una persona con sistema immunitario depresso a Hong Kong nel 2018, sono stati registrati almeno 20 casi umani in totale, anche in persone con funzioni immunitarie normali. Le persone infettate dall’HEV dei ratti non hanno riferito di essere state esposte a questi animali, lasciando indefinita la causa dell’infezione. Tra i principali sospetti delle infezioni umane da HEV, in molti casi, è il consumo di carne di maiale cruda, che rappresenta una via potenziale anche per l’HEV dei ratti.
I neonati alimentati esclusivamente con latte materno durante la degenza ospedaliera hanno un rischio del 22 per cento più basso di sviluppare asma nella prima infanzia rispetto a chi invece riceve l’aggiunta di latte artificiale. A dimostrarlo è uno studio condotto dagli scienziati del Center for Breastfeeding Medicine presso il Cincinnati Children’s Hospital Medical Center, presentato durante la Conferenza nazionale 2024 dell’American Academy of Pediatrics a Orlando. I ricercatori, guidati dalla scienziata Laura Placke Ward, ha esaminato i dati relativi a 9.649 bambini nati presso il centro ospedaliero.
Le visite ai pronto soccorso pediatrici per malattie legate al calore sono aumentate del 170 per cento negli ultimi 10 anni. Questo è l’allarmante risultato che emerge da uno studio condotto dagli scienziati della Florida State University College of Medicine, presentato durante la conferenza dell’American Academy of Pediatrics. I ricercatori ha analizzato in totale 542 casi di visite al pronto soccorso correlate al caldo. Sono state prese in considerazione le tendenze recenti, i dati demografici e gli esiti nei bambini in caso di malattie provocate dalle temperature elevate.
Nonostante ci siano una moltitudine di alimenti ricchi di ferro, dalla carne al pesce fino alle verdure e ai legumi, quasi un adulto su tre ne è invece carente. Compresi coloro che non presentano i tipici fattori di rischio per questa condizione e che, pertanto, potrebbero non essere sottoposti a screening. A rivelare questa “epidemia” di carenza di ferro, spesso inconsapevole, diffusa tra la popolazione è un nuovo studio del Brigham and Women’s Hospital di Boston, i cui risultati sono stati pubblicato sulla rivista JAMA Network Open.