Si stima che in Italia siano ben 12 milioni le persone che soffrono di insonnia. Ma potrebbe essere un dato sottostimato. Nonostante questo, spesso il problema viene liquidato come se fosse un qualcosa di passeggero. Eppure, in molti casi il disturbo si rivela cronico. Secondo un recentissimo studio americano condotto da ricercatori della Virginia Commonwealth University di Richmond su coppie di gemelli, dietro l’insonnia cronica ci sarebbe lo zampino della genetica. Il problema si trasmetterebbe di generazione in generazione, soprattutto dalle mamme. Il gruppo di ricerca ha analizzato i dati di circa 7.500 partecipanti allo studio. L’ereditabilità del problema è risultata del 59% per le donne e del 38% per gli uomini. “Questo studio indica che i geni possono svolgere un ruolo più importante nello sviluppo dei sintomi di insonnia per le donne che per gli uomini”, ha detto l’autore Mackenzie Lind. “L’evidenza delle differenze di sesso – ha aggiunto – può essere utile per indirizzare specificamente le donne ad interventi per migliorare il sonno”.
D’altronde sono sempre più numerose le evidenze scientifiche che dimostrano quanto la mancanza di sonno faccia male alla nostra salute. Ad esempio, un recente studio pubblicato sulla rivista Hypertension ha suggerito che chi soffre d’insonnia cronica avrebbe fino al 400% di probabilità in più di sviluppare l’ipertensione. Altri studi recenti hanno evidenziato come l’insonnia sia il più rilevante sintomo che anticipa la comparsa, della depressione. Un alterato equilibrio sonno-veglia, infatti, causa nervosismo, stress ed eccessiva tensione.
Inoltre, la letteratura scientifica è ricca di studi che hanno collegato l’insonnia a un rischio maggiore di sviluppare demenza con il tempo, di avere le difese immunitarie più basse, di sviluppare disturbi alla vista, di essere in sovrappeso.
“Il sonno è qualcosa a cui non possiamo assolutamente rinunciare, anche se molti vorrebbero”, dice Liborio Parrino del Centro del Sonno dell’Università di Parma e segretario nazionale dell’Aims (Associazione Italiana Medicina del Sonno).
La buona notizia è che esistono diversi rimedi. “Una lista di cose che non bisogna fare prima di andare a letto”, precisa Parrino. “Se ci pensiamo bene, infatti, non abbiamo alcun bisogno di imparare a dormire – continua - perché già nella pancia della mamma siamo bravissimi a farlo. Basterebbe infatti solo non ostacolare il sonno con abitudini e comportamenti oggi molto diffusi, ma nemici del sonno”. Per fare pace con il sonno bisogna cominciare a stare attenti a cosa si mette in tavola a cena. “Sono sconsigliati i piatti pesanti, come salsicce e bistecche”, spiega l’esperto. “Il rischio è di sovraccaricare il metabolismo di sera”, aggiunge. Meglio quindi consumare carboidrati, come la pasta, il riso, l’orzo e il pane. O latte e latticini che contengono L-triptofano, un aminoacido che stimola la sintesi della serotonina, il neurotrasmettitore cerebrale che favorisce il rilassamento dell’organismo. “Una tazza di latte con cereali e biscotti sono un ottimo viatico per il riposo”, spiega Parrino.
Mangiare leggero non significa lasciare la pancia vuota. “Se non si mangia, mentre dormiamo il cervello ci sveglia e fa scattare la fame che impedisce un buon sonno”, spiega Parrino. Che aggiunge: “Attenzione all’alcol. Anche se è vero che l’alcol è un sedativo e fa venire sonno, è altrettanto vero che dopo 4 ore di lavoro per il fegato l’alcol scompare dal sangue e causa delle mini-crisi d’astinenza che disturbano il sonno”. L’esperto, inoltre, invita a evitare caffeina, cola, tè ed energy drink. Lo stesso dicasi per le sigarette. Il fumo non rilassa: in realtà, accade qualcosa di simile a quello che succede con gli alcolici. “La nicotina ha un’emivita breve e può creare delle microcrisi di astinenza nel pieno del sonno”, dice Parrino.
Niente tv, poi, a letto. “In generale, guardare la tv a letto disturba il sonno”, dice l’esperto. “La luce del televisore “uccide” la melatonina, l’ormone amico del sonno, e di conseguenza disturba il sonno”, aggiunge. L’idea è quella di considerare il letto il luogo in cui si dorme. Quindi, meglio guardare la tv sul divano. E lo stesso avviene con smartphone, tablet e pc.
Ok alle letture, ma occhio alla luce. Un buon libro prima di addormentarsi va bene. “Purché in condizioni luminose protette”, sottolinea l’esperto. “È consigliabile non usare lampade che emettono luce blu e che, notoriamente, disturbano il sonno”, aggiunge. Infine fare esercizio fisico fa bene alla salute. “Ma fare attività poco prima di mettersi a letto può creare difficoltà ad addormentarsi per via dell’adrenalina che il movimento fisico libera nell’organismo”, conclude l’esperto. Insomma basta poco per facilitare il sonno. Nei casi in cui nonostante tutti gli accorgimenti ciò non avviene possono essere utili dei farmaci (anche generici) che possono aiutare a risolvere il problema, sempre dietro consiglio del medico.
La carenza di vitamina D può influenzare la comparsa della sclerosi multipla, la malattia degenerativa autoimmune che provoca lesioni al sistema nervoso centrale e rappresenta il disturbo neurologico più comune tra i giovani adulti.
Il legame tra bassi livelli nel sangue del micronutriente e la malattia neurologica era stato segnalato da diversi studi e da osservazioni epidemiologiche che hanno diagnosticato una maggiore prevalenza del disturbo nei paesi nordici, dove è minore l’irraggiamento solare. Ora, uno specifico studio ha individuato un nesso di causalità diretta.
I ricercatori canadesi della McGill University hanno analizzato il livello di vitamina D in 14.498 pazienti malati di sclerosi multipla e le informazioni relative a 24.901 controlli medici. Secondo i dati raccolti, una carenza genetica di vitamina D raddoppierebbe il rischio di ammalarsi di sclerosi multipla. Aumentando il livello di questa vitamina nei pazienti è quindi possibile ridurre le probabilità dell'insorgere della malattia.
“Il link che c'è tra la carenza di vitamina D e il rischio di sviluppare la sclerosi multipla è sempre stata un'importante area di interesse per la comunità scientifica che si occupa di questa malattia”, spiega la Dottoressa Karen Lee. “Certo il basso livello di vitamina D non è da considerarsi l'unico fattore di rischio – sottolinea Lauren Mokry, autrice dello studio – ma averlo identificato potrebbe avere un impatto significativo per la prevenzione di questa terribile malattia”.
Anche secondo uno studio condotto dai ricercatori della Harvard School of Public Health (HSPH) e coordinato dal professor Alberto Ascherio, la vitamina D potrebbe rallentare la progressione e ridurre la gravità della malattia.
Il team di studiosi è riuscito a evidenziare come i pazienti in una fase iniziale della malattia presentassero bassi livelli di vitamina D. Un fattore che è stato considerato indicativo della gravità ma anche della velocità di progressione della sclerosi multipla. Così, i ricercatori hanno ipotizzato che, nella fase iniziale della malattia, una più consistente assunzione di questa vitamina potesse allontanare i sintomi della patologia.
I risultati sono stati rincuoranti: i pazienti che nella fase iniziale della malattia registravano adeguati livelli di vitamina D nell’organismo, presentavano un tasso di nuove lesioni cerebrali inferiore del 57%, un tasso di recidiva della malattia inferiore del 57%, e un incremento annuo del volume delle lesioni inferiore del 25% rispetto ai partecipanti con bassi livelli di vitamina D. Per garantirsi una buona riserva di vitamina D nell'organismo è necessaria in primo luogo l'esposizione alla luce solare. I quantitativi presenti nei cibi sono piuttosto bassi, ma un cucchiaino (o una pillola) di olio di fegato di merluzzo al giorno può essere utile, soprattutto per le persone anziane. Per superare queste difficoltà esistono preparati, disponibili anche come equivalenti, capaci di fornire le quantità necessarie di vitamina D al nostro organismo.
Le persone che mangiano molto pesce hanno meno probabilità di soffrire di depressione. Lo ha scoperto uno studio della Qingdao University di Shandong (Cina), pubblicato sul Journal of Epidemiology & Community Health. I ricercatori hanno esaminato i dati di studi precedenti pubblicati fra il 2001 e il 2014 che hanno coinvolto un totale di 150.278 persone. Dai risultati è emerso che gli uomini che seguono una dieta ricca di pesce hanno il 20 per cento di probabilità in meno di essere depressi, mentre le donne il 16 per cento in meno. Questo risultato, secondo gli studiosi, sarebbe legato alla presenza nel pesce degli acidi grassi omega-3, sostanze fondamentali per migliorare la struttura delle membrane cerebrali e capaci di modificare l'attività dei neurotrasmettitori, come dopamina e serotonina, entrambi coinvolti nella depressione.
Gli omega-3 sono sostanze di estrazione naturale definite essenziali, in quanto il nostro organismo non è in grado di produrle e che, pertanto, devono essere assunte con la dieta (soprattutto pesce) o attraverso una specifica integrazione. Questo molecole, disponibili anche come farmaci equivalenti, sono note per difendere il sistema cardiovascolare da malattie e hanno già dimostrato la capacità di ridurre del 50% i casi di morte improvvisa nelle persone con malattie cardiache.
Il nuovo studio mostra un’altra e non meno importante attività degli omega-3 contro la depressione, attività potenziata anche dalle vitamine e dai minerali presenti nel pesce. "L'elevato consumo di pesce può anche essere collegato a una dieta più sana e a un migliore stato nutrizionale, tutte condizioni che potrebbero contribuire al minor rischio depressione", hanno concluso i ricercatori.
Non tutta la nevrosi viene per nuocere. Questo sembra essere il risultato cui sono arrivati alcuni scienziati che, come spiegato sulla rivista scientifica Cell, dopo aver analizzato i livelli di attivazione cerebrale dei soggetti nevrotici, hanno concluso che a questo tipo di disturbo non corrispondono solo aspetti negativi, come l'ansia, o la depressione, ma anche altri positivi, come la creatività.
In passato si era già ipotizzato che le persone tendenti a provare emozioni negative fossero in realtà più sensibili nei confronti di situazioni considerate minacciose. Deduzioni queste ottenute in seguito ad osservazioni su come i farmaci ansiolitici riducessero la sensibilità delle cavie in relazione alle punizioni subite o aiutassero i pazienti psichiatrici a sentirsi più rilassati e felici.
In un altro studio, effettuato tramite risonanza magnetica, si mostrava come nelle persone con spiccata tendenza ad avere pensieri negativi si registrasse un'elevata attivazione cerebrale nella corteccia prefrontale, associata alla percezione del pericolo. Questi diversi livelli di attività delle aree del cervello che governano i pensieri, secondo Adam Perkins, autore della pubblicazione su Cell, potrebbero rappresentare una spiegazione della nevrosi. Inoltre, secondo ricerche effettuate dal professor Dean Mobbs, della Columbia University di New York, le persone nevrotiche, in situazioni di tensione, tendono a passare rapidamente da uno stato d'ansia ad uno di panico, passaggio questo controllato dalla parte del cervello che regola e gestisce le emozioni.
Unendo i vari studi, il professor Perkins ha dedotto che le persone nevrotiche riescono a vivere esperienze negative intense non corrispondenti al reale livello di stress al quale sono sottoposte, il che sarebbe legato ad una fervida immaginazione che li porta a spingere il piede sull'acceleratore finendo per trasformare l'ansia in panico. I nevrotici potrebbero quindi essere tali a causa della loro tendenza a rimuginare più a lungo sui problemi rispetto agli altri.
Tutta la propria salute in un microchip e in un sistema “on-line” per rendere ''più semplice per i cittadini l'esercizio del diritto alla salute'': è il ministro della Salute Beatrice Lorenzin ad annunciare di avere firmato il regolamento sul Fascicolo sanitario elettronico (Fse) inserito nel quadro della nuova Sanità Digitale. In sostanza un cartellino con un microchip raccoglierà tutti i dati sanitari e socio assistenziali. Collegato in rete, potrà essere letto per assistere meglio il malato o accertare i suoi bisogni e conterrà, tra le altre info, il dossier dei farmaci usati, la propria dichiarazione di eventuale disponibilità a donare gli organi, ma anche i verbali del pronto soccorso e molto altro ancora.
L'Fse è infatti l'insieme di dati e documenti digitali di tipo sanitario e socio-sanitario raccolti attraverso i controlli o i ricoveri presenti e passati ed ha come scopo principale quello di agevolare l'assistenza al paziente, offrire un servizio che può facilitare l'integrazione delle diverse competenze professionali e fornire una base informativa per migliorare tutte le attività assistenziali e di cura.
Nel rispetto delle normative per la protezione dei dati personali, il Fascicolo consentirà non solo al paziente di poter disporre facilmente di tutte le notizie sul suo stato di salute ma permetterà al medico di adottare in modo più sicuro e veloce i dati necessari per completare la diagnosi soprattutto in caso di pazienti con un quadro complesso. Il modello di Fse consentirà inoltre attraverso i resoconti, l'incrocio dei dati e la trasparenza, di evitare inefficienze e contribuirà a migliorare la programmazione, il controllo e la valutazione del sistema sanitario nel suo complesso, nel contesto italiano e europeo.
“L'istituzione del Fascicolo Sanitario Elettronico rappresenta il presupposto necessario per poter giungere ad una sintesi delle diverse istanze esistenti e promuovere la condivisione di un modello di riferimento nazionale, che coinvolge tutti gli enti e le strutture del Servizio sanitario nazionale (sia i soggetti pubblici, sia i soggetti privati accreditati) e tutti gli assistiti del Ssn'', ha spiegato il Ministro Lorenzin in una nota.
Sono ben 208 le prestazioni diagnostiche troppo spesso prescritte in modo inappropriato secondo il Ministero della Salute. Per questo si pensa adesso a un’inversione di tendenza e a un ridimensionamento della rimborsabilità. La mossa voluta dal ministro Beatrice Lorenzin, sintetizzata nel decreto sugli enti locali appena convertito dal Parlamento (che dovrà ottenere il parere positivo del Consiglio Superiore di Sanità), potrebbe avere implicazioni tanto per i medici quanto per i cittadini.
Una volta entrato in vigore, solo in alcuni casi le prestazioni incluse nell'elenco saranno a carico del servizio sanitario; se non ricorrono le condizioni elencate nel documento del Ministero, infatti, i pazienti dovranno pagare di tasca propria. Un esempio? L'esame per individuare il colesterolo alto nelle persone sopra i 40 anni: se è tutto a posto, i valori sono nella norma e non ci sono modifiche nello stile di vita del cittadino e nemmeno nuove terapie, potrà essere ripetuto a carico del servizio sanitario non prima di 5 anni. Diversamente, dovrà pagare l'interessato.
Il grosso dell'operazione riguarda probabilmente le risonanze magnetiche, cioè gli esami più spesso a rischio di inappropriatezza. Sono costosi e spesso vengono svolti (a detta degli stessi radiologi) quando non ce n'è bisogno, tanto da collocare l’Italia in cima alla classifica europea delle prescrizioni di questo accertamento. Previsioni stringenti anche per alcune tac, passate dal Sistema Sanitario Nazionale solo se giustificate da sospetti di malattie oncologiche e da traumi.
Anche per quanto riguarda i test genetici sono previsti tagli. "Si tratta di prestazioni molto onerose - si legge nella bozza - che vengono prescritte da specialisti ed eseguite una sola volta nella vita. Nel decreto saranno riservate alla diagnosi di specifiche malattie genetiche definite in un elenco a parte". Non sarà quindi più possibile prescriverle per una generica mappatura del genoma o a fini di ricerca. Le prestazioni di genetica interessate sono 53 su 180 e alla loro individuazione hanno contribuito esponenti di rilievo della Società Italiana di Genetica Umana.
Fra le voci che verranno sottoposte a controlli più rigidi anche l'allergologia. Alcuni test allergologici e le immunizzazioni (cosiddetti vaccini) dovranno essere prescritti solo a seguito di visita specialistica allergologica.
Resta sul tavolo il problema delle liste d'attesa, che secondo i più critici potrebbe allungarsi. Un punto sul quale interviene il Tribunale dei diritti del malato (TDM). "Colpisce come all'interno delle misure annunciate dal Ministero sulla inappropriatezza non venga affrontato il nodo delle liste di attesa interminabili, anche di oltre un anno - ha detto Tonino Aceti, coordinatore nazionale del TDM - Cittadinanzattiva - Questa agli occhi dei cittadini è la peggiore forma di inappropriatezza vissuta ogni giorno sulla propria pelle, insieme alla necessità di ricorre al privato o all'intramoenia per aggirare le stesse liste di attesa, o vedersi rifiutare una prescrizione dal medico per far quadrare i conti".
L’utilizzo smodato nelle ore notturne di smartphone, tablet e computer per stare sempre connessi sui social network può provocare negli adolescenti una grave insonnia con conseguenti stati depressivi e ansia. Lo testimonia una ricerca che ha analizzato il comportamento notturno e mattutino di 467 ragazzi fra gli 11 e i 17 anni, realizzata dall’Università di Glasgow, in Scozia, e presentata a una conferenza medica che si è tenuta a Londra.
“Chi effettua il log in a notte fonda pare essere particolarmente interessato dal problema”, ha detto l’autrice principale dello studio, Heather Cleland Woods. L’indagine si è basata anche sulla valutazione dei livelli di autostima dei ragazzi, particolarmente bassi in chi eccede nell’utilizzo dei ritrovati tecnologici per stare in continuazione (pure quando è a letto) nel mondo dei social network.
Ansia e depressione, ha sottolineato la ricercatrice, sarebbero legati proprio alla carenza di riposo e all’insonnia. Del resto, già nel 2011 uno studio dell’American Psychological Association aveva messo in relazione l’utilizzo smodato di social network con comportamenti tipici della schizofrenia e della depressione acuta. Ansia e depressione, tuttavia, sono malattie in crescita nel mondo degli adolescenti e non vanno trascurate anche perché chiamate direttamente in causa nei suicidi dei ragazzi.
Una terapia piscologica supportata da un uso corretto di farmaci (oggi a disposizione come generici) quando necessario rappresenta la strada maestra per curare questi disturbi. Ma “prevenire comportamenti a rischio, come quello legato all’eccessivo uso delle tecnologie della comunicazione, è un aspetto di importanza fondamentale”, conclude Cleland Woods.
Interrotto in America, con quasi due anni di anticipo, uno studio scientifico federale per l'emergere di “dati salvavita”: la ricerca chiamata “Sprint” ha scoperto quanto bassa deve essere la pressione sanguigna sistolica (cioè la massima) per ridurre significativamente i rischio di infarto, ictus e morte.
Il numero salvavita – dibattuto da decenni dagli esperti - è sotto i 120 mmHg. E' questa la cifra emersa dai test condotti da ricercatori dell'Istituto nazionale Usa per il cuore, polmoni, sangue su oltre 9.300 persone di sesso maschile e femminile e di oltre 50 anni di età.
I volontari erano stati divisi in due gruppi: uno doveva mantenere la pressione sistolica sotto i 140 mmHg, come attualmente raccomandato, l'altro sotto i 120 mmHg. I pazienti in quest'ultimo gruppo hanno evidenziato rischi di infarto, danni cardiaci e ictus più bassi di un terzo rispetto agli altri, e i loro rischi di morte sono risultati più bassi addirittura di un quarto. Lo studio dovrebbe portare ad un rapido cambiamento delle linee guida sulla pressione sanguigna.
Come in ogni medaglia, tuttavia, c'è anche l'altra faccia. Raggiungere valori di pressione del sangue inferiori, infatti, significherà ricorrere a terapie antipertensive (oggi disponibili come medicinali equivalenti) più incisive. Nello studio chi scendeva sotto i 120 mmHg prendeva in media 3 farmaci contro i 2 di chi rimaneva sotto ai 140 mmHg. il che potrebbe portare a una maggiore probabilità di effetti indesiderati. Ma i benefici superano comunque i rischi.
Secondo i ricercatori della Loughborough University basterebbero due minuti di saltelli sul posto per rinforzare l'osso iliaco, ovvero l'osso dell'anca, riducendo il rischio, nelle persone anziane, di frattura in seguito a cadute. Lo studio, intitolato “The Influence of High-Impact Exercise on Cortical and Trabecular Bone Mineral Content and 3D Distribution Across the Proximal Femur in Older Men: A Randomized Controlled Unilateral Intervention”, abbreviato in “Hip Hop Study”, e pubblicato sul Journal of Bone and Mineral Research, ha preso in analisi 34 uomini over 65 e ha chiesto loro di saltellare per due minuti al giorno, per un anno, su un'unica gamba, evitando di modificare l'attività fisica regolarmente svolta e l'alimentazione seguita fino al momento dello studio.
Trascorsi 365 giorni, le ossa dei volontari sono state analizzate ed è stato riscontrato un aumento del 7% della massa ossea e della densità dello strato di osso spugnoso. In particolare, i dati hanno mostrato un incremento delle parti di osso di solito più sottili e più a rischio frattura. I risultati, spiegano i ricercatori, hanno implicazioni sulla prevenzione e la cura dell'osteoporosi, la condizione clinica in cui lo scheletro di un paziente perde massa ossea e, di conseguenza, resistenza, ed è tipica delle persone più anziane.
I saltellamenti rafforzano l'osso e lo rendono più resistente. “Le fratture all'osso dell'anca sono una grande preoccupazione per le persone anziane. Portano forti dolori, riducono la mobilità e l'indipendenza del paziente e aumentano il rischio di morte”, spiega Sarah Allison, Loughborough University (UK) che ha coordinato la ricerca. Il tipo di esercizio studiato è accessibile a tutti, poiché non richiede uno sforzo fisico insostenibile o quantità di tempo infinite, e i vantaggi che porta dovrebbe spingere tutti a seguirlo. Nei casi di indebolimento particolarmente marcato della componente minerale dell’osso, come evidenziato dalla misura della densità minerale ossea, risultano comunque utili i farmaci che bloccano il riassorbimento dell’osso, come i bisfosfonati, disponibili anche come medicinali generici.
Da giovedì 24 settembre a martedì 29 settembre si svolgerà in Italia la Settimana dell’Ipercolesterolemia Familiare, promossa da SISA, Società Italiana per lo Studio dell’Aterosclerosi. Nella giornata inaugurale, il 24 settembre, si celebra in tutta Europa, su iniziativa di EAS, European Atherosclerosis Society, la Giornata Europea dedicata alla malattia.
Nel nostro Paese l’iniziativa prevede la possibilità per i cittadini di contattare o recarsi nei Centri specializzati SISA per ricevere informazioni gratuite relative alle problematiche dell’ipercolesterolemia familiare ed alla necessità di controllare i livelli del colesterolo sin da giovani. Aderiscono alla manifestazione i 38 Centri per lo studio delle dislipidemie che afferiscono al progetto LIPIGEN, network italiano delle dislipidemie genetiche (elenco completo disponibile sul sito www.sisa.it).
In particolare, a disposizione dei cittadini gli specialisti di 8 centri in Lombardia, 5 nel Lazio, 4 in Emilia Romagna, 3 in Toscana, Sicilia e Sardegna, 2 in Veneto, Campania e Puglia, 1 in Piemonte, Liguria, Friuli Venezia Giulia, Umbria, Marche e Abruzzo. “L’iniziativa nasce con l’obiettivo di rendere consapevoli gli italiani del ruolo della componente genetica nell’ipercolesterolemia, che interessa circa 240.000 persone” spiega il professor Maurizio Averna, Presidente SISA, Responsabile Unità Operativa Semplice di Medicina Interna e Dislipidemie genetiche presso Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico Paolo Giaccone di Palermo e Professore Ordinario di Medicina Interna presso l’Università degli Studi di Palermo.“
Nelle forme più gravi, infatti, valori alti spesso si manifestano già dalle prime decadi di vita: è molto importante, quindi, eseguire i controlli sin da giovani, prima dei 18 anni, specie se in presenza di ipercolesterolemia nei genitori, e ripeterli almeno ogni 5 anni. C’è poi la forma poligenica comune, in cui fattori ambientali, l’alimentazione soprattutto, agiscono in presenza di fattori genetici predisponenti aumentando i livelli di colesterolo: questa forma, per fortuna meno grave, interessa circa 1.2 milioni di italiani”. Complessivamente, quindi, sommando le due forme di ipercolesterolemia familiare, si tratta di circa 1.5 milioni di cittadini italiani interessati. Nella terapia dell’ipercolesterolemia un ruolo importante è giocato dalle statine disponibili in farmacia come farmaci generici.
In quasi quindici anni, dall’introduzione dei farmaci generici in Italia, le aziende farmaceutiche impegnate in questo settore hanno visto crescere progressivamente il loro mercato di riferimento. Dal 2001 ad oggi, il comparto ha sviluppato quasi 10mila posti di lavoro (tra addetti diretti e indotto) e rappresenta un mercato di oltre 2.2 miliardi di euro per un totale di quasi 36 milioni di confezioni. Oltre il 50% della produzione avviene in officine italiane, localizzate soprattutto nel Nord Italia.
Per far conoscere ai decisori e al pubblico il valore economico, occupazionale e di innovazione del settore in Italia, Assogenerici lancia #FabbricheAperte: un vero e proprio viaggio tra le strutture, i processi produttivi e le risorse umane delle aziende che producono farmaci equivalenti. #FabbricheAperte è l'Open Day dedicato a decision makers, medici, media e rappresentanti dei cittadini negli stabilimenti dell’eccellenza nella produzione farmaceutica italiana. #FabbricheAperte prende il via l’11 settembre 2015 a Sandrigo (VI). Ad aprire per prima le sue porte sarà Zeta Farmaceutici, importante realtà produttiva del territorio veneto.
“E’ una singolare coincidenza che nello stesso giorno in cui sono stati diffusi i dati OSMED, che mostrano già un primo significativo effetto dei biosimilari sulla spesa farmaceutica pubblica, un articolo degli economisti Federico Spandonaro e Daniela D’Angela abbia richiamato l’attenzione su come sia necessario creare condizioni adeguate perché questi farmaci producano per la società tutti i potenziali vantaggi sociali” dice Francesco Colantuoni, coordinatore dell’Italian Biosimilar Group.
Come illustrato dai due economisti, il valore del biosimilare risiede nella sua capacità di creare condizioni di competizione economica, riduzioni di spesa per il Servizio sanitario ovvero l’incremento delle persone in terapia. “I dati OSMED provano che il processo si sta avviando, anche se con alcune contraddizioni, ma manca una prospettiva credibile proprio nella creazione di un ambiente competitivo: non c’è un approccio razionale alle gare di acquisto, si mira più o meno esplicitamente a limitare l’impiego dei biosimilari a dispetto delle evidenze scientifiche” spiega Colantuoni.
“Queste criticità sono all’origine della scelta di procedere alla rinegoziazione al ribasso del prezzo dei farmaci biotecnologici a brevetto scaduto quando non siano presenti biosimilari corrispondenti. E’ una norma sbagliata perché da una parte rende meno interessante da parte dell’azienda del biosimilare sviluppare molecole alla scadenza di brevetto, e dall’altra allarga la forbice dei prezzi sui mercati europei dello stesso prodotto, incentivando l’esportazione e quindi i fenomeni di carenza, con i gravi disagi per i cittadini che abbiamo sperimentato in questi anni e continuiamo a sperimentare. Abbassare i prezzi dei farmaci branded per via amministrativa è una soluzione tanto comoda quanto di corto respiro, che impedisce la formazione di un mercato concorrenziale capace di offrire vantaggi a lungo termine”.
Utilizzo dei biosimilari nel trattamento dei pazienti mai trattati in precedenza con un farmaco biologico, no alla sostituibilità automatica tra originator e biosimilare da parte del farmacista e salvaguardia della libertà di scelta del medico prescrittore. Su queste raccomandazioni principali si fonda il Position Paper “Farmaci Biotecnologici e Biosimilari” sull’utilizzo appropriato dei farmaci biosimilari nel trattamento delle malattie reumatiche, condiviso da tredici Centri di Reumatologia dell’Emilia-Romagna, Associazione malati reumatici Emilia-Romagna (Amrer) e la Regione. Il position paper è stato presentato a Bologna nel corso del convegno “Farmaci biotecnologici e biosimilari. Capire e conoscere queste opportunità terapeutiche per i malati reumatici”.
“Oggi i pazienti sono tutelati per il fatto che sono disponibili una decina di biosimilari rispetto ai quali si è consolidata una certa esperienza supportata dalle linee guida prodotte dall’Agenzia europea del farmaco – ha sottolineato Annamaria Marata, coordinatore della Commissione regionale del farmaco della Regione Emilia Romagna – Il valore del documento messo a punto dai clinici e dall’Associazione dei Malati Reumatici dell’Emilia Romagna è quello di condividere e diffondere i tanti aspetti del problema a una vasta platea e diventare punto di riferimento a più voci portatrici di interessi diversi”.
“L’iniziativa della Regione Emilia Romagna di un Position Paper per incardinare l’uso dei biosimilari è senz’altro meritoria e costituisce un modo efficace per disseminare e condividere con la comunità scientifica e i pazienti i principi fondamentali che Aifa ha fissato nel suo Position Paper”, commenta Francesco Colantuoni, coordinatore dell’Italian Biosimilar Group e vicepresidente di Assogenerici. “In particolare, registro con soddisfazione la sostanziale coerenza di quanto affermato nel documento della Regione Emilia Romagna con le indicazioni AIFA in merito alla libertà prescrittiva del medico, nei casi di pazienti naive come in continuità terapeutica, nonché la convergenza dei nostri punti di vista nel ribadire la centralità del rapporto clinico-paziente nelle scelte terapeutiche.
Per queste ragioni auspico che questa nostra sostanziale identità di vedute possa costituire fin d’ora la base per un confronto permanente, dando vita ad una concreta alleanza a tutto beneficio della corretta informazione della comunità scientifica e dei pazienti e per ottenere un concreto miglioramento delle possibilità di accesso alle cure per i cittadini”.
Accendere i riflettori sulle infezioni sessualmente trasmissibili con campagne di screening e di sensibilizzazione della pubblica opinione sui rischi per fermarne l’avanzata tra le fasce di popolazione più giovani e le donne in gravidanza. E’ l’appello lanciato dall’Associazione Microbiologi Clinici Italiani (Amcli) alla luce dei risultati del secondo sistema di sorveglianza sentinella, promosso in collaborazione dal Centro operativo Aids (Coa) dell’Istituto superiore di sanità e il Gruppo di lavoro infezioni sessualmente trasmesse dell’Associazione microbiologi clinici italiani.
Dall’analisi emerge che la Chlamydia trachomatis, il Trichomonas vaginalis e Neisseria gonorrhoeae sono i germi patogeni emergenti più diffusi tra i giovani. In particolare la Chlamydia trachomatis colpisce il 3,2% della popolazione in Italia, la Neisseria gonorrhoeae è presente nello 0,5% dei casi, soprattutto nei maschi, e il Trichomonas vaginalis registra una percentuale dello 0,7% con una prevalenza maggiore nelle donne.
L’indagine è stata effettuata su un campione di 93.403 esami condotti in 134 laboratori di Microbiologia clinica dislocati sul territorio nazionale. L’87,7% degli individui da cui sono stati prelevati i campioni erano donne, il restante 12,3% uomini. L’età media è di 35 anni, con 34 anni per le donne e 37 gli uomini. Il 15% degli individui erano stranieri, di cui il 60,6% provenienti da altri Paesi europei, il 19% dall’Africa, l’11,2% dall’America e il 9,1% da Asia ed Oceania.
Un altro dato rilevante dell’indagine è quello dei soggetti asintomatici che rappresentano quasi il 50% della popolazione infetta. La percentuale risulta maggiore tra le donne, soprattutto in stato di gravidanza. “Le malattie sessualmente trasmissibili rappresentano un problema ormai di rilevanza sociale vista la diffusione nella popolazione – spiega Pierangelo Clerici, presidente Amcli. La riduzione dell’attenzione sui possibili rischi di patologie di questo tipo, dovuta nel tempo al diluirsi dell’impatto mediatico dell’Aids grazie alle terapie che oggi consentono al paziente non più di sopravvivere ma di vivere, ha fatto si che venissero abbandonati quei sistemi di prevenzione che negli anni erano cresciuti, come ad esempio l’utilizzo del preservativo”. Per quanto queste malattie siano curabili con antibiotici – disponibili anche come farmaci equivalenti – la prevenzione resta un caposaldo per evitare possibili conseguenza di queste infezioni.
L'afa estiva minaccia anche i farmaci che molti di noi assumono quotidianamente. Le alte temperature e la maggior esposizione ai raggi solari, infatti, pongono problemi di corretta conservazione dei medicinali, necessaria affinché i cittadini non corrano rischi diretti o indiretti per la propria salute.
L'Agenzia del Farmaco (Aifa) ha predisposto un documento in cui vengono elencati i consigli per mantenere l'integrità dei farmaci e la loro efficacia.
Oltre alle raccomandazioni valide per tutto l’anno, che rientrano nelle buone prassi d’uso e conservazione del farmaco, l'Aifa suggerisce di fare attenzione ad alcuni ulteriori accorgimenti che, se adottati, contribuiranno a mettere al riparo il consumatore da spiacevoli inconvenienti dovuti all’assunzione di farmaci. Vediamoli in dettaglio.
Per essere certo di conservare il medicinale nel modo corretto, leggere attentamente le modalità di conservazione indicate nelle informazioni del prodotto. Qualora queste non siano specificate, il medicinale va conservato in luogo fresco e asciutto a una temperatura inferiore ai 25 gradi.
Nel caso non sia possibile conservarlo in frigo e, in caso di viaggi o soggiorni fuori casa, è bene trasportarlo in un contenitore termico. È importante evitare sempre, comunque, di esporre i farmaci a fonti di calore e a irradiazione solare diretta: la temperatura di conservazione del farmaco è specificatamente indicata, non rispettarla potrebbe rendere il medicinale dannoso per la salute.
Se si soffre di una patologia cronica come il diabete o di una malattia cardiaca, un’alterazione di una dose di un farmaco fondamentale, come l'insulina o la nitroglicerina, può essere rischiosa. Bisogna avere particolare attenzione anche con gli antiepilettici e gli anticoagulanti.
I farmaci per la tiroide, i contraccettivi e altri medicinali che contengono ormoni sono, poi, particolarmente sensibili alle variazioni termiche.
Un comportamento da evitare è quello di inserire farmaci diversi in una sola confezione o di mescolarli in uno stesso contenitore per risparmiare spazio in valigia: questo rende difficile riconoscere la data di scadenza, la tipologia del medicinale e il dosaggio.
Durante il viaggio in aereo, i farmaci vanno tenuti nel bagaglio a mano, perché in stiva si raggiungono temperature molto basse che possono alterare i medicinali. Se si è in terapia con farmaci salvavita è fondamentale portarli in cabina con le relative ricette di prescrizione, poiché potrebbe essere necessario esibirle nelle fasi di controllo.
Con il diabete, mai abbassare la guardia. Nemmeno in ferie né tantomeno durante le intense ondate di caldo di questo periodo. Così gli esperti della Società italiana di diabetologia (Sid) hanno messo nero su bianco un decalogo in dieci punti: istruzioni per l’uso per i quasi quattro milioni di italiani diabetici.
1) Bere abbondantemente, anche se non si ha molta sete per evitare il pericolo di disidratazione e bere ancora di più se si ha sudato molto. Nelle persone con diabete la presenza di elevati livelli di glicemia può ulteriormente favorire la perdita di liquidi attraverso le urine, motivo in più per prestare molta attenzione alla corretta idratazione.
2) Prestare attenzione all’alimentazione. Le vacanze devono essere l’occasione per aumentare il consumo di pesce, verdura, frutta e non per togliersi soddisfazioni con dolciumi o per esagerare coi carboidrati e i grassi.
3) Astenersi da attività sportive strenue se non si è allenati e in generale dallo sport all’aperto nelle ore più calde. L’attività fisica è parte integrante della gestione del diabete ma in estate, in presenza di temperature elevate, è meglio svolgerla all’aperto nelle prime ore del mattino o nel tardo pomeriggio o dopo il tramonto, ricordandosi sempre di reintegrare le perdite di acqua ed elettroliti.
4) Evitare di esporsi troppo al sole per non rischiare ustioni o dermatiti. Le infezioni che possono complicare le lesioni cutanee scompensano il diabete.
5) Evitare di camminare scalzi. Stare a piedi nudi regala una sensazione di libertà, ma i diabetici devono fare attenzione a non riportare lesioni ai piedi e non devono mai camminarescalze
6) Non trascurare il maggiore rischio di ipoglicemia in estate. Ricordare che glucometro e strisce per la glicemia non amano il troppo caldo, come il troppo freddo, e vanno conservati al riparo dal sole (lasciarli in una macchina parcheggiata al sole può danneggiarli irreparabilmente e rendere i risultati inaffidabili). Soprattutto se si programma di fare un lungo viaggio in macchina è consigliabile controllare la glicemia prima di partire ed eventualmente durante le soste.
8) Valutare la necessità di adeguare la terapia antidiabetica. In vacanza il ritmo di vita cambia e la terapia dovrà seguire questi cambiamenti, seguendo le indicazioni fornite dal medico curante prima della partenza.
9) Prevenire le variazioni della pressione arteriosa. Se si soggiorna a lungo in ambienti caldi può essere necessaria una riduzione delle dosi dei farmaci anti-ipertensivi, in particolare dei diuretici.
10) Portare con sé farmaci e glucometri, facendo scorte di farmaci sufficienti per tutto il periodo di vacanza, con un aumento prudenziale del 20-30% per far fronte ad ogni evenienza.
Il New York Times l’ha definita "la malattia infettiva che negli Usa si diffonde più rapidamente dopo l'AIDS". Rapporti da altri paesi indicano che si sta diffondendo anche in Asia, Europa e Sud America.
E’ la malattia di Lyme, un’infezione batterica trasmessa dalle zecche, che è balzata agli onori della cronaca pochi giorni fa quando la cantante canadese Avril Lavrigne ha fatto outing in televisione, ospite del popolare programma televisivo Good Morning America Show, annunciando di avere contratto la malattia. L’odissea raccontata dalla popolare cantante testimonia il problema principale legato a questa infezione: la diagnosi.
“La malattia di Lyme, che prende il il nome dalla cittadina del Connecticut Old Lyme dove è stata individuata per la prima volta nel 1975, è provocata dal batterio Borrelia burdorferi trasmesso con il morso della zecca del genere Ixodes”, spiegano gli esperti della Società italiana di malattie infettive e tropicali, Simit. Questi insetti, infestano tipicamente gli animali che vivono nei boschi, dai piccoli topini fino ai più ingombranti cervi, ma occasionalmente possono attaccare anche l'uomo. “La malattia inizia tipicamente in estate e all’inizio si manifesta con una macchia rossa che si espande lentamente – proseguono gli esperti Simit -. Entro qualche settimana (che in qualche caso possono diventare mesi), si possono sviluppare disturbi neurologici precoci come nevralgie e mal di testa, dolori articolari (artralgie), dolori muscolari (mialgie), una spossatezza marcata fino a quadri di meningite e problemi cardiaci (miocardite e disturbi della conduzione elettrica del cuore). I sintomi sono fluttuanti e possono durare per mesi e cronicizzare. La cura si basa sulla somministrazione di antibiotici (anche generici, ndr), ma il tempo necessario per la risoluzione completa può andare molto oltre il periodo di trattamento e la terapia della forma precoce risulta la più efficace”.
Secondo i dati raccolti nella Circolare del Ministero della Sanità n. 10 del 13 luglio 2000, nel periodo 1992-1998 si sarebbero verificati, in Italia, circa un migliaio di casi di borreliosi di Lyme. Le Regioni maggiormente interessate sono il Friuli Venezia Giulia, la Liguria, il Veneto, l’Emilia Romagna, il Trentino Alto Adige (Provincia autonoma di Trento), mentre nelle Regioni centro meridionali e nelle isole le segnalazioni sono sporadiche.
“Il tuo sangue, una botta di vita”. E’ lo slogan della campagna di sensibilizzazione alla donazione del sangue lanciata dal Ministero della Salute in collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei Ministri, d’intesa con il Centro Nazionale Sangue e il coordinamento C.I.V.I.S. delle associazioni maggiormente rappresentative del settore (AVIS – CRI – FIDAS – FRATRES). Per la campagna sono stati realizzati uno spot video e uno radio di 30 secondi, che verranno programmati sulle reti televisive e radiofoniche RAI a partire da luglio 2015, un formato per il web di 15 secondi, una creatività per la stampa e un banner per il web.
L’iniziativa di comunicazione, oltre ad informare e sensibilizzare la popolazione sull’importanza della donazione come gesto di solidarietà volontaristico, mira anche ad aumentare il numero dei nuovi donatori, a fidelizzare il donatore occasionale, a programmare la donazione del sangue in modo da evitare criticità nell’approvvigionamento, promuovendo una maggiore partecipazione alla donazione nei mesi estivi e una modulazione ottimale della donazione durante tutto l’anno.
L'obiettivo sul lungo periodo è di favorire il ricambio generazionale dei donatori di sangue, coinvolgendo in particolare i giovani nella fascia di età dai 18 ai 35 anni.
Il messaggio che intende veicolare la campagna si concentra sul concetto chiave che il donatore è qualcuno che con un gesto individuale semplice e sicuro contribuisce a far funzionare una macchina molto complessa, per la cura di oltre 630.000 pazienti all'anno in Italia (che hanno bisogno di sangue 365 giorni su 365, soprattutto in estate!)
Donare il sangue è un gesto gratuito di solidarietà ed altruismo, è un atto che fa bene agli altri e che fa bene a se stessi sia a livello psicologico, sia perché il donatore è naturalmente stimolato a condurre stili di vita sani e corretti ed effettua gratuitamente un controllo preventivo del proprio stato di salute. E’ importante inoltre ricordare che la donazione è indolore, richiede poco tempo, è semplice e sicura per il donatore e per il ricevente.
Dal 20 luglio chi è solo e non può recarsi in farmacia per una patologia grave o cronica può usufruire del servizio gratuito di consegna a domicilio di farmaci, fornito a livello nazionale dalle farmacie italiane aderenti a Federfarma e patrocinato dal Ministero della Salute.
I malati non autosufficienti perché non in grado di camminare, per una patologia cronica o grave, e non aiutati da qualcuno che possa recarsi in farmacia per loro, possono chiamare il numero verde 800189521 (attivo i giorni feriali, dal lunedì al venerdì dalle ore 9.00 alle ore 18.00) e fornire all’operatore le generalità e l’indirizzo al quale recapitare il farmaco. Il servizio è gratuito. L’operatore del call center mette in contatto telefonicamente il cittadino con la farmacia più vicina, individuata tramite un programma di geolocalizzazione. L’interessato comunica direttamente al farmacista il farmaco di cui ha bisogno e prende accordi per il ritiro della ricetta, se necessaria, e la consegna del farmaco. Il servizio non garantisce consegne urgenti. Nel rispetto della normativa sulla privacy, la farmacia dovrà consegnare i medicinali contenuti in un involucro che non consenta di identificare il farmaco dispensato. Il servizio non è attivo nelle province di Cuneo e Genova. All’iniziativa non partecipano le farmacie pubbliche. Il ministro Lorenzin ha detto: “La consegna a domicilio di farmaci, attivata dalle farmacie in favore di persone particolarmente fragili, rientra in un quadro di grande attenzione alle esigenze di salute espresse da una popolazione che invecchia e in cui aumenta il livello di cronicità. D’altronde la Farmacia dei Servizi è uno dei capisaldi del Patto per la Salute. Le farmacie costituiscono un patrimonio prezioso del servizio sanitario perché garantiscono con professionalità e capillarità l’accesso al farmaco in tutto il Paese, fin nelle zone meno popolate. E questa iniziativa ne è una dimostrazione”. Fa eco al ministro Lorenzin la dottoressa Annarosa Racca, presidente di Federfarma: “Con questa iniziativa di alto valore sociale le farmacie si mettono ancora una volta al servizio della popolazione e in particolare delle fasce più deboli, gli anziani soli e i malati gravi privi di un’assistenza adeguata. Grazie alla capillarità della rete delle farmacie, alla professionalità e alla disponibilità dei farmacisti che in esse operano, questi soggetti fragili potranno ricevere a casa propria i medicinali di cui hanno bisogno”.
Sono 382 milioni i malati di diabete mellito di tipo 2 nel mondo, saliranno a 592 milioni nel 2035, con un aumento del +55%. È il dato emerso dal convegno 'Prendersi cura del cittadino con patologia cronica: risultati e prospettive', organizzato a Genova a Palazzo Ducale da Anci Liguria, Federsanità e Fiaso.
"Sono 3 milioni le persone affette da diabete oggi in Italia, un milione di persone pur avendo la malattia non ne ha coscienza - sottolinea il presidente nazionale di Federsanità Servizi Maurizio Dore - Il diabete di tipo 2 riduce l'aspettativa di vita in Italia da 5 a 10 anni. Più l'età media della popolazione italiana invecchia, più avremo persone affette da diabete di tipo 2, con l'aumento del rischio di patologie concomitanti".
Il costo medio del trattamento sanitario di un paziente diabetico oggi in Italia è di 2.783 euro all'anno, di cui solo il 7% per il costo dei farmaci, il 25% per le terapie contro le complicanze, il 68% per i ricoveri ospedalieri e le cure ambulatoriali. "I farmaci antidiabete costano 559 milioni di euro ogni anno all'Italia, su un totale della spesa per il diabete di circa 10 miliardi di euro, quasi il 10% del Fondo Sanitario Nazionale - spiega Dore -. Prevenzione, efficiente controllo della malattia e utilizzo dei farmaci anti-complicanze sono le uniche strade per tenere sotto controllo questa voce della spesa sanitaria in costante aumento negli ultimi anni".
E i diabetici chiedono il rispetto dei loro diritti, come cittadini e come malati. “I diritti di coloro che hanno il diabete sono gli stessi diritti umani e sociali delle persone senza diabete. I diritti comprendono, fra gli altri, la parità di accesso all’informazione, alla prevenzione, all’educazione terapeutica, al trattamento del diabete e alla diagnosi e cura delle complicanze. Il sistema sanitario deve garantire alla persona con diabete l’accesso a metodi diagnostici e terapeutici appropriati, in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. Il diritto delle persone con diabete a vivere una vita sociale, educativa, lavorativa al pari delle persone senza diabete deve essere considerato un obiettivo delle azioni di governo.” Sono queste le parole che aprono la nuova versione de “Il Manifesto dei diritti e dei doveri della persona con diabete”, documento promosso da Diabete Italia, Comitato per i Diritti della Persona con Diabete e Italian Barometer Diabetes Observatory Foundation (IBDO) e presentato alla Camera dei Deputati a Roma, con il Patrocinio dell’Intergruppo parlamentare “Qualità della vita e diabete” e dell’Associazione parlamentare per la prevenzione e la cura delle malattie croniche non trasmissibili e la sostenibilità del sistema sanitario.
“Le Associazioni fra persone con diabete hanno da tempo chiaro che le risorse a disposizione sono limitate: ridurre gli sprechi è compito anche delle persone con diabete, così come vigilare sull’appropriata erogazione dei servizi, dei farmaci e dei presidi”, ha affermato Salvatore Caputo, Presidente di Diabete Italia, nel presentare il documento. "L’appropriatezza è un dovere di chi prescrive ma anche di chi riceve: inutile chiedere quello che non serve, moltiplicare inutilmente gli esami diagnostici, utilizzare strumenti più costosi che contengono funzioni per noi inutili. In una parola, ricade anche sulla persona con diabete, così come sulle Associazioni, il dovere di collaborare alla sostenibilità della spesa sanitaria. Aver presente i propri doveri nel momento in cui si è portatori di un diritto gioca a favore delle Associazioni e dei Coordinamenti regionali nel dialogo con le Istituzioni”.