Gufi più a rischio di alterazioni del metabolismo rispetto alle allodole. Non si tratta di malattie riguardanti il mondo ornitologico. I "gufi", ovvero chi tende a fare le ore piccole e a svegliarsi tardi la mattina, sarebbero più a rischio di sviluppare il diabete di tipo 2, la sindrome metabolica e la sarcopenia, rispetto alle "allodole", cioè le persone mattiniere, nonostante dormano per lo stesso numero di ore.
Lo ha scoperto uno studio della Korea University College of Medicine di Ansan, Korea, pubblicato sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism. Secondo i ricercatori, il maggior rischio dei "gufi" di sviluppare il diabete di tipo 2 (cioè non insulino dipendente) sarebbe dovuto alla carenza di sonno, alla scarsa qualità del sonno e all'alimentazione inadeguata, fattori che potrebbero portare alla fine a problematici cambiamenti metabolici. Per arrivare a queste conclusioni i ricercatori hanno esaminato le abitudini riguardanti il sonno e il metabolismo di 1.620 persone di età compresa tra i 47 e i 59 anni, che hanno preso parte al Korean Genome Epidemiology Study (KoGES).
Gli scienziati hanno inoltre misurato il grasso corporeo totale, la massa magra e il grasso viscerale addominale. Sulla base dei risultati dei questionari a cui sono stati sottoposti, 480 partecipanti sono stati classificati come "allodole" e 95 come "gufi". I restanti sono stati invece classificati a metà tra gufi e allodole. Ebbene, i nottambuli tendevano a essere più giovani, avevano livelli più elevati di grasso corporeo e di trigliceridi rispetto ai mattinieri. I gufi sono risultati anche più a rischio di sarcopenia, una condizione in cui il corpo perde gradualmente massa muscolare. Gli uomini "gufi" hanno anche avuto più probabilità di sviluppare diabete e sarcopenia. Tra le donne, invece le nottambule tendevano ad avere più grasso localizzato a livello addominale e un rischio significativamente più elevato di sindrome metabolica, un insieme di fattori di rischio che aumentano le probabilità di sviluppare malattie cardiache, ictus e diabete. Lo studio aggiunge così un nuovo fattore di rischio per il diabete dell’adulto o di tipo 2, malattia del metabolismo del glucosio per il cui trattamento si ricorre in prima battuta a farmaci generici di provata efficacia e di costo contenuto.
In un futuro molto vicino basterà scrivere sulla tastiera del pc per avere una diagnosi precoce di Parkinson. Un gruppo di ricercatori americani e spagnoli del Massachusetts Institute of Technology (Mit) ha messo a punto un algoritmo capace di rilevare micro cambiamenti nelle modalità di battere le dita sulla tastiera. Un primo passo importante, si legge sulla rivista 'Nature', verso la possibilità di individuare la malattia dal semplice modo di scrivere.
Infatti il modo in cui si preme sui tasti può fornire molte informazioni sullo stato fisico e sull'affaticamento, secondo le osservazioni dei ricercatori che, sulla base degli schemi di battitura, hanno realizzato l'algoritmo. In una prima fase dello studio, infatti, sono state analizzate una ventina di persone che lavoravano al pc in un contesto normale e durante il giorno. Un altro gruppo è stato osservato di notte e con deprivazione di sonno. La stanchezza altera leggermente il modo di battere sui tasti. E i tempi di reazione, come noto, si allungano.
Le conclusioni dello studio suggeriscono la possibilità di usare l'algoritmo, basato sulla durata di pressione del tasto, per individuare precocemente la malattia di Parkinson, patologia neurodegenerativa che comincia da 5 a 10 anni prima dell'apparizione dei primi sintomi. E le prime manifestazioni sono proprio legate al rallentamento dei movimenti.
Una diagnosi precoce consente di avviare tempestivamente terapie basate su farmaci disponibili anche come equivalenti, che si sono dimostrate capaci di rallentare l’evoluzione della malattia.
Uomini e donne, adulti e bambini. La trombosi colpisce ogni anno 600.000 italiani, causando morte o grave invalidità. Tra loro, 8 mila sono giovani, adolescenti, e bambini ma anche neonati. Come spiega in occasione della 4a Giornata Nazionale per la Lotta alla Trombosi, Lidia Rota Vender presidente di ALT – Associazione per la Lotta alla Trombosi e alle malattie cardiovascolari - Onlus: “La prevenzione della trombosi non si delega agli esami, si fa concretamente guardandosi allo specchio, diventando consapevoli del rischio che potremmo correre e del pericolo che possiamo evitare”.
La trombosi, cioè la formazione di trombo in un’arteria o in una vena è facilitata da vari fattori di rischio come difetti della coagulazione, alterazioni della quantità di grassi nel sangue, pressione troppo alta del sangue, diabete e fumo di sigaretta. Le manifestazioni della trombosi comprendono l’infarto del miocardio, l’ictus e le arteriopatie delle gambe quando è colpito il sistema arterioso e trombosi venosa profonda, tromboflebite o embolia polmonare quando il trombo si localizza nelle vene.
Tenere sotto controllo i fattori di rischio con uno stile di vita corretto e quando necessario con farmaci, oggi disponibili come equivalenti quindi alla portata di tutti, riduce enormemente i casi di trombosi. "Sono troppi coloro che ancora oggi ignorano quanta differenza fa lo scegliere consapevolmente, giorno dopo giorno, uno stile di vita intelligente, che non richiede denaro, né fatica, solo volontà, per proteggere il nostro cuore, il nostro cervello, il nostro corpo dalle malattie cardiovascolari da trombosi. Ictus,embolia, infarto”, afferma la dottoressa Rota Vender.
Insomma, con un po’ di attenzione si può scongiurare un nemico pericoloso per la vita.
E' diffusa tra i bambini ma perché si arrivi a una diagnosi corretta trascorre spesso molto tempo, perché si passa da specialisti sbagliati o si fanno analisi che non portano a un risultato conclusivo. L'emicrania colpisce il 9% dei bambini al di sotto di 12 anni secondo alcuni studi scientifici, ma prima che venga diagnosticata passano in media due anni e qualche volta tre.
Il ruolo di prime "vedette" è affidato ai genitori, che devono osservare il bambino, ma poi tocca al pediatra con adeguata formazione dare risposte efficaci e sicure. Se ne è discusso alla scuola di pediatria organizzata a Capri da Paidòss, l'Osservatorio Nazionale sulla salute dell'infanzia e dell'adolescenza.
"Il genitore dovrebbe iniziare a preoccuparsi innanzitutto se anche lui soffre di emicrania - sottolinea Bruno Colombo, responsabile del centro per la cura e la diagnosi delle cefalee dell'età pediatrica ed adulta dell'università Vita-salute, ospedale San Raffaele di Milano - la familiarità, infatti, aumenta del 40% il rischio, e del 70% se a soffrirne sono entrambi i genitori. Poi si deve osservare il comportamento del bambino. Un bimbo che soffre di emicrania, che ha spesso anche sintomi come vomito e nausea, si ritira dalle attività sociali, evita lo sforzo fisico e ha dei comportamenti che devono essere presi sul serio. Il pediatra, poi, con poche domande mirate può confermare il sospetto".
Una volta ottenuta una diagnosi certa il consiglio è di tenere un diario delle crisi. "Se si supera il limite di 4 attacchi al mese interveniamo con le terapie - aggiunge - stiamo ottenendo buoni risultati con la Ginkgolide B insieme a coenzima Q10, vitamina B12 e magnesio, tutte sostanze naturali, mentre in casi più gravi si possono usare antidolorifici a minore impatto”, disponibili come farmaci equivalenti. Anche l'eliminazione di alcuni cibi, del tutto soggettiva, può aiutare. L'importante è non affidarsi al 'fai da te', come fanno certe mamme che danno al figlio i loro stessi farmaci, ma rivolgersi sempre al medico specialista.
In Italia il 6% della popolazione soffre di asma. “Questo significa che nel nostro paese sono più di tre milioni e mezzo le persone, tra adulti e bambini, colpiti da questa malattia respiratoria”, ha affermato a Bologna in occasione del 28° Congresso Nazionale della SIAAIC, Società Italiana Allergologia, Asma ed Immunologia Clinica, il professor Walter G. Canonica, Neopresidente SIAAIC e Direttore Clinica Malattie Respiratorie e Allergologia dell'Università di Genova. “L’asma è una delle malattie respiratorie croniche più diffuse nel mondo, presente in tutti i paesi anche se con livelli molto variabili. Rappresenta quindi un consistente problema di sanità pubblica, anche perché la sua prevalenza è in aumento a causa della convergenza di diversi fattori”, sottolinea il professore.
Si tratta di una malattia complessa che si manifesta attraverso una infiammazione cronica delle vie aeree. L’infiammazione genera un aumento della responsività bronchiale che, a sua volta, causa episodi ricorrenti (i cosiddetti ‘attacchi d’asma’) di crisi respiratorie, respiro sibilante, senso di costrizione toracica e tosse. Durante gli attacchi, che possono essere improvvisi o graduali, peggiorano i sintomi e la funzionalità respiratoria. Se non trattati in modo adeguato, gli attacchi possono essere anche molto gravi e addirittura fatali. Aver individuato nell’infiammazione cronica il punto chiave della definizione della patologia, come avvenuto in anni recenti, ha avuto importanti ricadute sia a livello diagnostico che di trattamento dell’asma. E’ l’infiammazione che determina il livello di gravità dell’asma ed è anche il fattore che meglio risponde alla terapia con farmaci antinfiammatori somministrati per via inalatoria, anche in assenza di altri sintomi. La broncoostruzione causata da contrazione del muscolo cardiaco può essere trattata con inalazione di farmaci broncodilatatori. La terapia di questa malattia può giovarsi efficacemente di farmaci equivalenti, di basso costo e di elevata qualità.
Un milione e mezzo di bambini e ragazzi con allergie nasali e pollinosi, almeno 1.000.000 i giovani sotto i 18 anni affetti da asma. In Italia il fenomeno allergie, tra marzo e aprile - quando cipressi, mimose, ulivi, parietarie e graminacee rilasciano i loro pollini in grande quantità - subisce un'impennata e diventa un problema per milioni di persone, adulti e bambini.
"Le allergie - sottolinea Alessandro Fiocchi, responsabile di Allergologia dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma - si combattono efficacemente con la iposensibilizzazione specifica, disponibile sia nella tradizionale somministrazione sottocutanea che per via sublinguale”. I pollini sono minuscoli granellini che permettono alla pianta di riprodursi e vengono trasportati dal vento, dagli insetti e dall'acqua nel periodo dell'impollinazione. Da marzo a luglio la loro concentrazione cresce soprattutto nelle giornate calde, assolate e ventose (sono leggerissimi e facilmente trasportabili nell'aria). Maggiore è la prossimità alle piante e alle erbe che li producono, maggiore è la quantità di pollini che può causare un aumento dei disturbi alle persone allergiche. Quando i sintomi come raffreddore, prurito, bruciore e lacrimazione degli occhi, rinorrea (naso che cola) sono particolarmente fastidiosi si può ricorrere a farmaci antistaminici, disponibili come equivalenti, quindi di provata efficacia e basso costo per i cittadini.
Un farmaco, comunemente usato come anticolesterolo, avrebbe in realtà una duplice funzione: oltre ad abbassare la concentrazione nel sangue di trigliceridi e di colesterolo LDL (una forma di colesterolo dannosa), e aumentare la concentrazione del colesterolo HDL (una forma di colesterolo utile), il fenofibrato sembra in grado di stimolare gli stessi recettori che vengono interessati dal Tetraidrocannabinolo (Thc) il principio attivo della cannabis. A scoprirlo un gruppo di ricercatori della School of Life Sciences della University of Nottingham Medical School nel Regno Unito che hanno pubblicato i risultati delle loro ricerche nella rivista The Faseb Journal.
Secondo i ricercatori, proprio questa sua caratteristica lo può rendere come il padre di una nuova classe di farmaci utili a contrastare diverse patologie, come il dolore, l’anoressia, la nausea, e diverse condizioni psichiatriche e neurologiche.
''Il nostro studio - spiega uno dei principali autori della ricerca, Richard Priestley - mira a fornire le basi per la ricerca di nuovi farmaci adatti a questi recettori''. Il fenofibrato, disponibile come equivalente, è normalmente impiegato per ridurre la concentrazione di grassi nel sangue, quando la dieta a basso contenuto in grassi e colesterolo, proseguita per almeno 3 mesi, non sia risultata efficace, e prevenire così danni al cuore e ad altri organi.
E’ un esercito di circa 500.000 persone, di cui circa 125.000 con forme resistenti alla terapia farmacologica. Stiamo parlando di quanti soffrono di epilessia in Italia. Eppure, nonostante questi numeri, secondo la Federazione italiana epilessie (Fie), che riunisce 23 associazioni in diverse regioni italiane, l’epilessia resta “un problema sommerso a causa di irragionevoli pregiudizi”. Così, in occasione della Giornata internazionale, la Fie ha posto l’accento sul fenomeno della resistenza alle terapie e sulle difficoltà di accesso alle cure da parte di molti pazienti. Sebbene esistano numerosi farmaci – molti dei quali disponibili come equivalenti - che controllano le crisi, consentendo a chi ne fa uso di condurre una vita normale “il 30% delle persone con epilessia non risponde alle terapie attualmente disponibili, con gravi ricadute sulla loro qualità di vita”, si legge in una nota della Federazione. “Tutto ciò fa dell’epilessia una vera e propria emergenza sanitaria e sociale”.
Secondo la Fie è necessaria una programmazioni di interventi volti al:
a) potenziamento del numero dei centri/strutture specializzate per la diagnosi e cura dell’epilessia che rispondano a standard previsti dalle Linee guida internazionali e delle Società scientifiche nazionali, con competenze multidisciplinari: neurofisiologia clinica, farmacologia, genetica, neuroradiologia, neuropsicologia e servizi di counseling;
b) potenziamento dei centri per il trattamento neurochirurgico dell’epilessia;
c) predisposizione di Linee guida per il rilascio della patente di guida ai pazienti affetti da epilessia.
“La nostra organizzazione – spiega Rosa Cervellione, presidente della Fie – ha l’obiettivo di restituire alle persone con epilessia la speranza di poter vivere pienamente la propria vita. Gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione di questa possibilità sono molteplici, ma siamo sicuri che la società civile saprà dare risposte adeguate ai bisogni espressi dalle molte migliaia di persone che in Italia soffrono di epilessia”.
Sono circa 250.000 le persone che in Italia soffrono di schizofrenia, malattia cronica grave che conduce a una drastica diminuzione dell’aspettativa di vita. Una condizione che in Europa riguarda circa 3,5 milioni di persone e che a livello mondiale colpisce, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, approssimativamente 24 milioni di persone.
Questi dati confermano l’importanza del confronto tra esperti sulla pratica clinica, alla luce di un nuovo approccio che pone al centro il benessere del paziente psichiatrico e le strategie opportune da mettere in atto per migliorare la loro qualità di vita. Del tema si è discusso all’interno del 19esimo congresso della Società italiana di psicopatologia (Sopsi).
“La schizofrenia è tra le prime 10 patologie a più alto impatto di disabilità sociale – sottolinea Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di neuroscienze all’ospedale Fatebenefratelli di Milano – Insorge frequentemente nell’adolescenza, tra i 16 e 18 anni, ed è caratterizzata da vulnerabilità genetica ai fattori ambientali quali abuso di stupefacenti e alcol, disagio sociale e immigrazione. Nelle aree urbane la prevalenza dei disturbi psicotici è aumentata. Nascere e vivere fino a 13 anni in ambienti metropolitani aumenta infatti il rischio di schizofrenia – avverte lo specialista – Intercorre ancora troppo tempo tra la comparsa dei sintomi e la possibilità di ricevere cure e si corre il rischio di arrivare troppo tardi. Fondamentali sono quindi il riconoscimento precoce e i trattamenti pedagogico, psicoterapico e farmacologico, in modo da monitorare sia l’evoluzione della persona sia l’evoluzione della malattia. Perché agendo subito si minimizzano le conseguenze”.
Il trattamento della schizofrenia può contare su farmaci equivalenti, di provata efficacia e convenienti per i cittadini.
Con l’entrata in commercio del primo biosimilare di un anticorpo monoclonale (infliximab) approvato dall’Agenzia europea dei medicinali (Ema), il dibattito sull’impiego di questi farmaci nel nostro Paese è entrato nel vivo, sia per la complessità delle molecole sia perché rappresentano una nuova generazione di biosimilari, dal punto di vista dell’impiego clinico e del maggior potenziale di controllo dei bilanci in sanità. Al convegno di Bergamo “Biosimilari. Prospettive future e strategie di gestione tra razionalizzazione della spesa e tutela dei pazienti” è stata presentata una recente analisi di budget impact sui risparmi generabili in Italia con l’impiego di infliximab biosimilare: fino a 48 milioni di euro nel quinquennio 2015-2019.
Infliximab e il suo biosimilare sono anticorpi monoclonali il cui impiego è approvato nelle malattie infiammatorie croniche immuno-mediate (Imid) come artrite reumatoide, spondilite anchilosante, malattia di Crohn, colite ulcerosa, psoriasi e artrite psoriasica. I farmaci biologici, tra cui infliximab, hanno rivoluzionato lo scenario terapeutico di queste patologie, migliorandone in modo significativo la prognosi. Il costo elevato, tuttavia, ne ha finora limitato l’impiego. Oggi la disponibilità del primo biosimilare indicato per la cura delle Imid permette di liberare importanti risorse, che potrebbero essere destinate ad ampliare l’accesso dei pazienti al biotech.
Permangono, tuttavia, resistenze sull’utilizzo dei biosimilari, dovute al loro essere “simili ma non identici” all’originator, eppure sono farmaci sottoposti a uno stringente iter approvativo da parte di Ema. “Il biosimilare è sviluppato in modo da risultare sovrapponibile in termini di qualità, sicurezza, efficacia e immunogenicità al prodotto biotecnologico già autorizzato, il medicinale di riferimento”, spiega Armando Genazzani, professore di Farmacologia all’Università del Piemonte Orientale.
Tre milioni e mezzo di donne e un milione di uomini. Sono i numeri dell’osteoporosi in Italia secondo le stime emerse dal Congresso mondiale su osteoporosi, osteoartrite e disturbi dei muscoli e delle ossa tenutosi a Milano. L’evento, organizzato da Iof (International osteoporosis foundation) ed Esceo (European society for clinical and economic aspects of osteoporosis and osteoarthritis) ha riunito nel capoluogo lombardo 3 mila specialisti da tutto il mondo.
L’osteoporosi è una delle patologie muscolo-scheletriche che, secondo il Global Burden of Diseases Study, sono responsabili sempre più spesso di disabilità per i pazienti, con un tasso di crescita di conseguenze invalidanti del 45% negli ultimi vent’anni. In particolare, l’osteoporosi severa (complicata da fratture), se non trattata in modo efficace, è tra le cause più invalidanti e in grado di pregiudicare la qualità della vita. Inoltre, comporta enormi costi per le comunità e per i sistemi sanitari nazionali, con una crescita di spesa prevista di circa il 25% entro il 2025 solo in Europa.
“L’incidenza dell’osteoporosi è in aumento – spiega Giancarlo Isaia, presidente Siommms e direttore del Dipartimento di Geriatria e Malattie metaboliche dell’osso all’ospedale Molinette di Torino – e si stima che oggi ne siano affetti in Italia circa 3.5 milioni di donne e un milione di uomini, facendo emergere l’allarme per una grave pandemia silenziosa che va quindi trattata come una patologia di priorità sanitaria e sociale”. La terapia di questa malattia del metabolismo osseo può oggi contare anche su farmaci equivalenti di provata efficacia, di elevata qualità e costo vantaggioso.
Un farmaco molto usato per il diabete potrebbe rivelarsi utile anche nella lotta a molti tumori. Un gruppo di ricercatori dell'Università di Genova ha infatti scoperto che la metformina è in grado di impedire alle cellule tumorali di assorbire zuccheri dal sangue, rallentandone la crescita. Si tratta di una scoperta importante che rafforza le speranze dell'utilizzo del farmaco in "cocktail" di terapie anti-cancro per potenziarne l'efficacia.
I risultati della ricerca italiana sono stati pubblicati sulla rivista Cell Cycle. Lo studio è partito da una considerazione fondamentale: i tumori sono avidi "consumatori" di zucchero. L'alterazione del metabolismo del glucosio è infatti uno dei "marchi di fabbrica" del comportamento delle cellule tumorali, che utilizzano il glucosio come "carburante" per crescere.
Per assorbire quanto più zucchero possibile dal sangue i tumori sfruttano l'azione di una sostanza: il fattore di crescita insulino-simile IGF1, che attiva l'enzima tumorale PKM2. Questo a sua volta attiva meccanismi che favoriscono il "risucchio" degli zuccheri dal sangue da parte delle cellule malate. Gli esperti hanno studiato nel dettaglio il meccanismo con cui la metformina disturba la crescita dei tumori, osservando che il farmaco blocca l'azione di IGF1 e quindi ostacola l'ingresso preferenziale degli zuccheri nelle cellule tumorali. Secondo una nota diramata dalla Società Italiana di Diabetologia (SID), quella dell'Università di Genova rappresenta si tratta di una scoperta importante che permetterebbe di utilizzare il farmaco anti-diabete per potenziare l'azione di altre sostanze anti-tumorali oggi in uso.
Curarsi risparmiando si può. Come? Grazie ai farmaci equivalenti. Lo evidenziano chiaramente i dati che ogni giorno il Centro Studi Assogenerici elabora sul potenziale contenimento della spesa farmaceutica in ogni regione e globalmente in Italia qualora i cittadini preferissero ai medicinali di marca quelli generici, cioè quei farmaci per i quali è scaduta la copertura brevettuale e possono essere prodotti da diverse aziende oltre quella che ha inventato la molecola.
Per capire esattamente quanto sia elevato il risparmio potenziale vediamo alcuni esempi. Ogni giorno gli italiani potrebbero risparmiare 2,6 milioni di euro se scegliessero in farmacia i medicinali generici. Prendendo in esame il periodo dal primo di aprile ad oggi, se i cittadini avessero preferito il farmaco equivalente, nella sola regione Lazio avrebbero risparmiato 2.9 milioni di euro, in Lombardia 2.88.milioni, in Puglia 1.9, in Sicilia 2.
Il dato riferito all’Italia nel complesso indica un risparmio potenziale per i cittadini di 23,4 milioni di euro. Se consideriamo il periodo che va da gennaio a oggi il risparmio per gli italiani sarebbe stato di oltre 240 milioni di euro. A causa di questa diffidenza nei confronti dei farmaci equivalenti, l’anno scorso i cittadini Italiani hanno speso di tasca propria 924 milioni di euro per avere preferito i farmaci di marca ai generici. In tempi di ristrettezza economica come quelli che stiamo attraversando questi numeri dovrebbero fare riflettere. I farmaci equivalenti hanno la stessa efficacia terapeutica degli originali, sono prodotti di qualità, ma costano significativamente meno.
Sono medicinali capaci di fare risparmiare fino al 25% della spesa farmaceutica, soprattutto per alcune malattie importanti come il cancro, ma stentano ancora ad essere accettati pienamente dai medici e dagli stessi pazienti.
Si tratta dei biosimilari, medicinali "similari" al prodotto originale biotecnologico il cui brevetto è scaduto consentendo così alle aziende del settore di produrre una replica fedele al principio attivo e ai dosaggi. Perché questa diffidenza? Il problema sta principalmente in una mancanza di informazioni corrette. Se ne è discusso approfonditamente a Palermo in un convegno promosso dall’associazione Donne in Rete onlus, impegnata nella tutela della salute della donna, insieme all'associazione Amici, che riunisce pazienti affetti dalla malattia infiammatorie croniche intestinali (morbo di Crohn e colite ulcerosa).
Per una diffusione responsabile e attenta dei biosimilari le due associazioni hanno realizzato un "manifesto" con delle proposte concrete. Nel dettaglio viene suggerito che la politica Nazionale riguardo i farmaci: Informi in modo imparziale tutti i soggetti interessati - medici, pazienti, professionisti sanitari ed autorità governative che sovraintendono alla politica sanitaria - ; promuova e mantenga la concorrenza nel mercato farmaceutico incentivando un adeguato uso precoce dei farmaci biosimilari in combinazione con politiche di prezzi sostenibili; raccolga e pubblichi dati clinici basati sull’evidenza dimostrata nelle reali condizioni d’impiego per rafforzare la fiducia verso la sicurezza e l'efficacia; realizzi procedure di acquisto trasparenti e condivise tra Asl, medici, pazienti e persegua processi decisionali chiari ed efficienti che non ritardino la disponibilità dei farmaci biosimilari sul mercato. Inoltre, il manifesto propone l'istituzione di un "Fondo di premialità" per quei dipartimenti clinici autorizzati all'uso del biologico, generato dalla riduzione dei costi favorita dalla commercializzazione di farmaci biologici.
"In una fase in cui si tende a informarsi sempre di più tramite il web il pragmatismo suggerisce l'introduzione di un sistema che certifichi la qualità delle informazioni. E' proprio in quest'ottica che abbiamo ideato il portale 'Biosimilari Life', un luogo di confronto per mettere in rete i soggetti coinvolti nell'utilizzo dei biosimilari" ha spiegato Rosaria Iardino , Presidente di Associazione Donne in Rete onlus.
Un antidepressivo comune, la paroxetina, disponibile da tempo come farmaco equivalente, ha avuto successo nel curare l'insufficienza cardiaca in topi da laboratorio: il risultato di una sperimentazione condotta alla Temple University School of Medicine di Philadelphia, viene considerato molto importante nell’ottica della cura di una malattia sinora considerata irreversibile.
Il team di scienziati guidato da Walter J. Koch, direttore del Centro di Medicina Traslazionale ha scoperto che dosi di paroxetina analoghe a quelle usate normalmente da pazienti che prendono l'antidepressivo, iniettate nei ratti, hanno curato lo scompenso cardiaco di cui soffrivano degli animali. I topi utilizzati per l'esperimento avevano sviluppato un’insufficienza cardiaca a causa di infarto e sono stati divisi in tre gruppi: il primo sottoposto a paroxetina, il secondo a un altro antidepressivo, fluoxetina e il terzo a terapie beta-bloccanti.
Secondo lo studio pubblicato sulla rivista 'Science Translational Medicine', solo i ratti trattati con paroxetina hanno avuto gli effetti benefici sulla funzionalità cardiaca. Niente miglioramenti invece per gli animali che hanno ricevuto Prozac o i beta-bloccanti. Questo dimostra - per gli studiosi - che l'efficacia del farmaco per l'insufficienza cardiaca non è dovuto alla sua attività antidepressiva legata all’aumento della serotonina, ma all'inibizione di un particolare proteina, il recettore per la Kinasi 2 accopptiato alla proteina G (GRK2), attività posseduta solo da paroxetina.
"Questo studio apre la strada alla messa a punto di nuove terapie per una malattia sinora considerata irreversibile", ha osservato Koch.
"Oggi si apre una nuova fase della terapia farmacologica in Italia, la fase in cui la punta di diamante della ricerca farmacologica e biotecnologica, i cosiddetti farmaci intelligenti, smettono di essere una risorsa da razionare e diventano un’opzione terapeutica praticabile per tutti i pazienti che possono trarne beneficio”. Questo il commento di Francesco Colantuoni, coordinatore di IBG, Italian Biosimilar Group (gruppo appartenente ad AssoGenerici), all’entrata in commercio in Italia del primo anticorpo monoclonale biosimilare.
Da oggi sono infatti disponibili Inflectra e Remsima biosimilari di Remicade (infliximab), un anticorpo anti-TNF alfa impiegato nel trattamento di malattie autoimmuni gravemente invalidanti quali l’artrite reumatoide, il morbo di Crohn, la colite ulcerosa, ed è il capostipite del trattamento biotecnologico di queste malattie.“In Italia sono già in commercio alcuni altri farmaci biosimilari impiegati in nefrologia, oncologia ed ematologia, e di recente ha ottenuto la autorizzazione alla commercializzazione da parte di EMA il biosimilare dell’insulina glargine” spiega il dottor Colantuoni. “Con l’arrivo dell’infliximab biosimilare, si apre la possibilità di ampliare l’accesso a terapie di costo elevato, evitando il rischio che pazienti possano essere esclusi da questa importante opzione terapeutica per scarsità di risorse”.
“Nella malattie autoimmuni esiste sempre una quota non trascurabile di pazienti che non rispondono al trattamento di prima linea, ma che potrebbero giovarsi di farmaci introdotti successivamente” prosegue il coordinatore dell’IBG. “Farmaci innovativi che, però, scontano costi ancora più elevati ed è evidente che, se non riusciamo a ridurre l’onere delle terapie consolidate, ben difficilmente si potranno rendere disponibili medicinali più adeguati al trattamento dei non responders. Oggi l’arrivo dell’infliximab biosimilare pone le condizioni per liberare risorse e remunerare adeguatamente l’innovazione”.“Nei prossimi 10 anni la progressiva introduzione nel nostro paese di farmaci biotecnologici biosimilari, a seguito della scadenza dei brevetti di riferimento, consentirà di mantenere elevati livelli di welfare e la qualità del nostro Servizio Sanitario Nazionale”, conclude Colantuoni.
La European Generic and Biosimilar medicines Association (EGA), riafferma il suo impegno a favore dell’eticità e della trasparenza introducendo oggi il suo Codice di Condotta. Il documento nasce a seguito dell’adozione dei Guiding Principles Promoting Good Governance in the Pharmaceutical Sector (Principi guida per la promozione della buona governance del settore farmaceutico), promossi dall’allora vicepresidente della Commissione, Antonio Tajani.
Il Codice, formalmente adottato dall’Assemblea Generale di EGA, stabilisce standard etici molto severi per garantire relazioni affidabili e trasparenti tra l’industria e tutti gli attori della tutela della salute. “L’industria del generico e del biosimilare” ha dichiarato il direttore generale dell’EGA, Adrian van den Hoven “ha mantenuto il suo impegno nei confronti dei Principi adottati dalla Commissione Europea sviluppando e implementando un codice etico dell’industria realmente capace di regolare al meglio i rapporti con tutta la comunità dell’healthcare”.
AssoGenerici e l’Italian Biosimilar Group, dal canto loro, sono lieti di annunciare che il Codice di Condotta sarà adottato ufficialmente entro breve al fine di garantire a tutte le aziende associate un unico ed autorevole punto di riferimento anche a livello nazionale e coglie l’occasione per ringraziare l’EGA per l’ottimo lavoro svolto su questo fronte così importante per l’industria e la collettività.
Un nuovo studio realizzato dai ricercatori dell’Istituto di neuroscienze (In-Cnr) di Milano, coordinati da Maria Passafaro, in collaborazione con i colleghi dell’Istituto auxologico italiano di Milano, diretti da Jenny Sassone potrebbe aprire la strada a nuove strade di cura per rallentare il decorso della malattia di Parkinson giovanile.
La novità scoperta dai ricercatori riguarda il meccanismo molecolare di una proteina chiamata parkina. Secondo gli studi effettuati, l’assenza di questa proteina porta alla morte dei neuroni che hanno un ruolo chiave nel controllo dei movimenti, una delle caratteristiche principali del morbo di Parkinson. Questa malattia neurodegenerativa, che normalmente si sviluppa nelle persone sopra i 60 anni di età, può a volte manifestarsi anche prima dei 40 anni, con sintomi quali tremori, rigidità muscolare e difficoltà a controllare il proprio corpo.
“La causa più frequente della forma giovanile del Parkinson è stata individuata nelle mutazioni in un gene nominato Park2, che contiene le istruzioni su come ‘costruire’ la parkina – spiega Passafaro -. Le mutazioni alterano la trasmissione del glutammato, il neurotrasmettitore amminoacido più diffuso nel sistema centrale nervoso, e possono indurre la morte nei neuroni che producono la dopamina, sostanza fondamentale per controllare i movimenti volontari e che manca nella malattia di Parkinson”. Se quindi la ricerca sta cercando nuove possibilità di terapia, bisogna ricordare che la cura di questa malattia neurodegenerativa si fonda su un vecchio ma ancora insostituibile farmaco, la levodopa, disponibile come farmaco equivalente ormai da molti anni.
Il 22% delle italiane d’età compresa tra i 20 e i 30 anni usa internet come prima fonte di informazioni sulla contraccezione e la prevenzione delle gravidanze indesiderate. Solo il 16% si rivolge al ginecologo, che in graduatoria delle preferenze viene dopo alla madre (29%), ai compagni di scuola (24%) e al migliore amico (20%). Tutto questo mentre nel mondo il 20% delle donne sottovaluta il rischio di rimanere incinta durante rapporti non protetti. E ogni anno, il 90% dei 15 milioni di gravidanze non volute sarebbe evitabile, se solo si riuscisse a sfatare miti e idee errate sui rischi dei metodi contraccettivi.
Sono questi i dati che emergono da un’indagine promossa da GfK, su un gruppo di donne del nostro Paese, e da uno studio internazionale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). “Percentuali che ci hanno spinto a muoverci per intercettare le under 30 che rischiano di affidarsi a fonti su internet spesso non certificate - spiega il prof. Paolo Scollo presidente nazionale della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO) - In rete si legge di tutto, per esempio che il coito interrotto rappresenta un metodo sicuro, oppure che la coca cola è spermicida, vere e proprie “bufale. Per questo abbiamo deciso di rafforzare la nostra presenza on line realizzando il minisito “contraccezionesmart.sceglitu.it” dove i ragazzi possono trovare informazioni utili su tutti i metodi a loro disposizione”.
“Argomenti delicati come la scelta contraccettiva o il desiderio di maternità andrebbero comunque sempre discussi non solo sul web ma con il ginecologo, lo specialista del benessere femminile” sottolinea il prof. Mauro Busacca, Direttore dell’Ostetricia Ginecologia del Fatebenefratelli-Macedonio Melloni di Milano e Vice-Presidente SIGO. Va detto che oggi la contraccezione più efficace è facilitata dalla disponibilità di preparati ormonali equivalenti, efficaci e accessibili per tutte le tasche, per vivere in maniera serena una sessualità consapevole.
Continua la contrazione della spesa farmaceutica in Italia. Secondo l’ultimo rapporto Osmed (osservatorio sull’uso dei medicinali in Italia) nel periodo gennaio-settembre 2014 la spesa farmaceutica territoriale pubblica è stata infatti pari a circa 8.769 milioni di euro (circa 144 euro pro capite), con una riduzione del -1,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
La spesa convenzionata netta è stata pari a 6.517 milioni con una riduzione rispetto al 2013 del 3,6%. Al contenimento della spesa hanno contribuito in maniera importante i farmaci equivalenti che a livello nazionale rappresentano il 16,3% della spesa netta, il 25,3% delle unità vendute, il 21,8% delle dosi definite giornaliere (DDD) totali, con una quota di mercato pari al 18,7%, in crescita del 5,9% rispetto allo scorso anno (dati AssoGenerici). I farmaci a brevetto scaduto rappresentano il 73% della spesa farmaceutica netta.
E’ interessante notare che la percentuale di spesa per i farmaci equivalenti (farmaci a base di principi attivi con brevetto scaduto) è stata pari al 28,8% del totale dei farmaci a brevetto scaduto, considerando il dato a livello nazionale, ma con una chiara forbice geografica in cui le regioni del Nord fanno registrare percentuali superiori alla media italiana, mentre quelle del Sud segnano ancora il passo. Il mercato dei farmaci a brevetto scaduto resta quindi ancora saldamente dominato dai preparati “di marca”, che a livello nazionale rappresentano il 47,7% in valore delle unità vendute. E’ pure per questo che anche nel 2014 è stata riscontrata una crescente incidenza del 13,6% - sulla spesa convenzionata - della compartecipazione a carico del cittadino (comprensiva del ticket per confezione e della quota a carico del cittadino eccedente il prezzo di riferimento sui medicinali a brevetto scaduto) rispetto al 12,7% registrato nel 2013 (dati Osmed 2014).
L’ammontare complessivo della spesa per compartecipazioni a carico del cittadino sui medicinali di classe A è risultata pari a 1.121 milioni di euro, in aumento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente del +4,4%. Un ricorso più diffuso all’equivalente consentirebbe quindi una significativa contrazione dell’esborso diretto a carico delle tasche degli italiani.