“A distanza di alcuni anni dalla sua introduzione e dopo notevoli sforzi per spiegarne qualità e valore, il farmaco equivalente soffre ancora in Italia di una carenza di conoscenza e di fiducia che ne limitano l’utilizzo rispetto alla media europea. A questo contribuiscono alcune barriere lessicali e di comunicazione fra pazienti e operatori del settore salute.” sostiene Marco Grespigna, direttore Business Unit Off Patent di Zentiva Italia. “Il termine «generico», ad esempio resta il più utilizzato per indicare gli equivalenti, nonostante presenti una connotazione che può evocare, nell’immaginario del paziente, una seconda scelta, utile esclusivamente a risparmiare. Zentiva promuove da quest’anno il progetto “Zentiva Più”, una serie di iniziative, di cui l’indagine è un esempio, con il duplice obiettivo di promuovere la conoscenza del farmaco equivalente e i principali ostacoli che ne limitano l’utilizzo, e di supportare la relazione diretta tra le farmacie del territorio e i cittadini.”
Zentiva, la divisione farmaci equivalenti di Sanofi, ha condotto una ricerca, conclusa nei primi mesi del 2014, in collaborazione con Sege-Attoma Group, allo scopo di comprendere i comportamenti, il linguaggio e gli stili di consumo dei farmaci che non hanno o hanno perso il brevetto, i cosiddetti off-patent: brand, equivalenti e uguali. L’indagine, caratterizzata da un approccio qualitativo, ha preso in esame oltre 300 interazioni tra farmacisti e pazienti in 7 farmacie di Milano e provincia. Completano la ricerca 15 video interviste a farmacisti e i risultati di 8 focus group realizzati con i pazienti delle farmacie coinvolte. Nell’ambito dell’indagine promossa da Zentiva, è stato osservato che, nelle interazioni in cui il farmacista propone il cosiddetto “switch”, cioè il passaggio da farmaco brand ad equivalente, tre volte su cinque il paziente lo accetta. In questa scelta, svolgono un ruolo di rilievo la comunicazione con il farmacista e il lessico utilizzato. Infatti, se il farmacista è maggiormente propositivo e utilizza determinati termini, la percentuale di pazienti che accetta il passaggio all’equivalente con consapevolezza e fiducia aumenta sensibilmente.
L’ingresso dei generici nel mercato ha modificato non solo lo spazio della farmacia, le attività di gestione e quelle legate alla dispensazione, ma soprattutto la durata dell’interazione al banco, con la richiesta di maggiori informazioni e supporto da parte del paziente. Se la farmacia in sè continua ad essere considerata come uno spazio sicuro, al cui interno si trovano prodotti di qualità e soluzioni efficaci, cresce il ruolo del farmacista quale educatore e facilitatore. Nel percepito, infatti, il farmacista emerge come una figura di riferimento “più accessibile” del medico per richieste di cure e informazioni.
Addio alla ricetta rossa per la prescrizione dei farmaci.
La “rivoluzione” parte dal Nord-Est: in Veneto, è ufficialmente entrata infatti in vigore la ricetta “dematerializzata”. Le circa 40 milioni di prescrizioni di farmaci annualmente emesse non saranno più scritte sul ricettario rosso. Poco cambia per l'utente, che arriverà in farmacia con il 'promemoria', un foglio bianco con il medicinale prescritto, ma questa nuova modalità assicurerà risparmi per circa 3.500.000 euro.
Il medico di medicina generale, in pratica, inserirà i dati del farmaco, equivalente o di marca, nel sistema informatizzato, dove verranno verificati dal farmacista. “La sperimentazione era già partita in Veneto – spiega Claudio Saccavini, direttore tecnico del consorzio per la digitalizazione del sistema sanitario regionale - e così da maggio i medici inserivano nel sistema le ricette elettroniche, ma quella rossa era mantenuta, per sicurezza. Da oggi questa ricetta è sostituita dal promemoria. Quando il processo di informatizzazione della sanità sarà completato, sparirà anche questo, sostituito dal Fascicolo sanitario elettronico del paziente". Anche in Friuli si è partiti ufficialmente con la ricetta dematerializzata ma, in questo caso, i cittadini non hanno avvertito cambiamenti. "Dal primo settembre i 250 medici individuati dal progetto avevano l'obbligo di passare alla dematerializzata, ma i tempi sono stati anticipati già nei mesi scorsi. E gli altri hanno tempo fino a ottobre per adeguarsi", spiega Francesco Innocente presidente di Federfarma Pordenone. In generale ritardo sulla tabella di marcia, le Regioni si muovono in ordine sparso.
"Quasi tutte ormai stanno sperimentando questa modalità, anche se con risultati diversi- spiega Daniele D'Angelo, direttore di Promofarma, la società di Federfama che si occupa di sanità digitale. "Va meglio in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Toscana. Nelle Marche in agosto ci sono stati rallentamenti, problemi anche in Molise, Campania e Puglia. Liguria e Sardegna sono partite da poco, in Abruzzo dove in agosto ci sono stati incontri informativi per i farmacisti. Ferme Lazio, Calabria e Bolzano. A regime Sicilia, Val D'Aosta, Basilicata e Trento".
La Società Italiana di Farmacologia (SIF) e AssoGenerici hanno siglato un importante accordo per promuovere la ricerca italiana sul farmaco mirata al “mondo reale”: farmacologia clinica, farmacovigilanza, farmacoepidemiologia e farmacogenetica. Per l’anno 2014, infatti, sono stati istituiti quattro premi del valore di 5.000 euro per lavori pubblicati nel 2013 e nei primi sei mesi di quest’anno, riservati ai Soci SIF da almeno tre anni, non strutturati, di età massima 38 anni, ricercatori dell’Accademia e di altri Enti di Ricerca.
“Siamo grati alla SIF e al suo presidente professor Francesco Rossi, per averci dato l’opportunità di contribuire all’opera della comunità scientifica italiana e, in particolare, a quella dei più giovani, che sono una preziosa risorsa del nostro paese. Il mondo del farmaco equivalente vive della ricerca per molti aspetti fondamentali” dice il presidente di AssoGenerici Enrique Häusermann. “Il primo è che solo i farmaci frutto della grande ricerca, che hanno dimostrato sicurezza ed efficacia ai massimi livelli, divengono equivalenti. Non meno importante è che il vasto impiego che conoscono i nostri medicinali richiede una grande attenzione a tutti gli aspetti di farmacovigilanza. Infine, gli ultimi vent’anni hanno dimostrato ampiamente che farmaci di uso consolidato possono rivelare nuove indicazioni di grande importanza e rientra nella nostra mission sostenere queste ricerche”.
“A nome di tutta la Società, ringrazio AssoGenerici per voler contribuire insieme a tanti altri a sviluppare ulteriormente la ricerca dei nostri giovani soci” dichiara il presidente della SIF, Professor Francesco Rossi. “La SIF negli ultimi anni sta stabilendo collaborazioni con varie società scientifiche e ultimamente anche con AssoGenerici, che incontreremo anche in un convegno scientifico nel prossimo autunno. I giovani della SIF che vogliono partecipare a questo bando troveranno tutte le indicazioni sul nostro sito."
I farmaci contro l’insonnia a base di zolpidem, di marca o equivalenti che siano, potrebbero dare sonnolenza anche il giorno dopo la loro assunzione. Lo ha dichiarato l’Ema, European Medicines Agency.
Il rapporto beneficio-rischio di questi farmaci rimane positivo, tuttavia l’EMA ha raccomandato di modificare le informazioni sul prodotto relative agli effetti di ridotta capacità di guida e prontezza mentale al mattino dopo il risveglio.
La revisione delle informazioni sullo zolpidem è stata avviata dopo le notizie di alcuni incidenti stradali avvenuti al mattino dopo che i pazienti avevano assunto il farmaco. Il foglietto illustrativo del farmaco fornisce già queste informazioni ma si è ritenuto di riportare ulteriori informazioni sui vantaggi e i rischi dello zolpidem. Per ridurre al minimo i rischi, l’Agenzia Europea raccomanda di prendere “la più piccola dose efficace possibile, ovvero una singola dose prima di andare a letto. Il paziente non deve quindi ricorrere ad un’ulteriore dose di notte, anche se è sveglio. Inoltre, i pazienti anziani o che presentino una ridotta funzionalità epatica perché affetti da problemi al fegato, devono ridurre l’assunzione a 5 mg invece che 10“.
L’Ema raccomanda di non guidare o svolgere attività che richiedono attenzione fino a otto ore dopo l’assunzione. Lo zolpidem non deve essere assunto con altri farmaci che agiscono sul sistema nervoso centrale (cervello e midollo spinale). Allo stesso modo non deve essere assunto insieme ad alcolici.
La terapia contro il virus dell’Aids potrebbe essere efficace anche contro la sclerosi multipla.
Alcuni ricercatori inglesi e australiani delle università di Oxford, Londra e Sidney hanno scoperto che le persone infettate dall’Hiv e curate per questa infezione hanno un rischio molto più basso di sviluppare la sclerosi multipla, anche se non è ancora chiaro se ciò dipenda dal virus o dai farmaci antiretrovirali. E' quando sostiene lo studio pubblicato sul Journal of Neurology, Neurosurgery & Psychiatry. Lo studio che ha rilevato i potenziali e inaspettati benefici dei farmaci antiretrovirali, ha preso le mosse dalla scoperta di un paziente sieropositivo e con la malattia neurologica, il quale non ha avuto alcun sintomo della sclerosi per oltre 12 anni. Un'analisi dei pazienti sieropositivi inglesi tra il 1999 e 2011 ha riscontrato un'associazione negativa tra infezione da Hiv e sclerosi multipla. In particolare i ricercatori hanno passato in rassegna i dati relativi a oltre 21mila persone sieropositive per l’Hiv, confrontandoli con un gruppo di oltre 5 milioni di non sieropositivi. Si è così osservato che quelli infetti avevano il 62% in meno di probabilità di ammalarsi di sclerosi multipla rispetto alle persone che non avevano il virus.
''Se futuri studi dimostreranno un effetto protettivo causale tra l'Hiv e i suoi farmaci - si legge nello studio - questo potrebbe essere il maggior fattore protettivo mai osservato per la sclerosi multipla''. Secondo gli studiosi, andrebbe ricercato nell'indebolimento del sistema immunitario nei sieropositivi il motivo per cui viene prevenuto lo sviluppo della sclerosi, mentre gli antiretrovirali potrebbero agire sopprimendo altri agenti patogeni virali forse implicati nella malattia. Una notizia comunque rassicurante che rilancia il ruolo cruciale della terapia antiretrovirale oggi offerta ai pazienti anche con farmaci equivalenti.
I colossi dell’informatica scendono in campo contro il morbo di Parkinson. Intel ha annunciato una partnership con la fondazione dell'attore Michael J. Fox per la ricerca su questa malattia degenerativa del sistema nervoso. L'obiettivo è quello di usare l'hardware e il software del gigante statunitense dei microchip per monitorare l'evoluzione della malattia. Sono in studio una nuova app per cellulari e dispositivi hi-tech indossabili e una piattaforma di analisi dei dati. Grazie agli smartwatch si potranno controllati parametri come il sonno e il tremore associato al morbo, analizzando i dati raccolti per ogni paziente.
Intel non è l'unico big della tecnologia che guarda con interesse al settore sanitario.
Stando ad alcune indiscrezioni, Apple starebbe lavorando con diversi operatori sanitari per portare negli ospedali l'HealthKit, il sistema di monitoraggio dei parametri biomedici che sarà integrato nel nuovo sistema operativo per iPhone e iPad, l'iOS 8, e che dialogherà con l'iWatch, lo smartwatch della Mela atteso nei negozi entro l'anno. I dati raccolti consentirebbero ai medici di tenere sotto controllo le condizioni dei pazienti tra una visita e l'altra in modo da aggiustare la terapia. Cura che si basa ancora su un vecchio ma fondamentale farmaco, la levo-dopa, scoperto nel 1969 da Oliver Sacks e oggi disponibile come equivalente, capace di unire efficacia ed economicità.
Tra qualche tempo potrebbero arrivare sugli scaffali di supermercati e negozi di alimentari le noccioline specifiche per i soggetti con allergia a questo genere di frutta secca.
Ricercatori della scuola di agricoltura del North Carolina hanno, infatti, creato le prime arachidi anti-allergiche mai esistite. Jianmei Yu e il suo team di scienziati all'università del North Carolina sono riusciti a rimuovere la maggior parte delle componenti responsabili della reazione allergica (le proteine Ara h1 e Ara h2), immergendo le noccioline in una soluzione enzimatica. "Le noccioline così trattate - ha spiegato la ricercatrice statunitense - possono venire utilizzate intere o a pezzetti, per fare la farina, o creare piatti contenenti arachidi, fino a oggi off-limits per i soggetti allergici".Test cutanei condotti dal team di ricerca hanno mostrato l’assenza di reazioni allergiche dopo il consumo delle noccioline così trattate.
Il prodotto dunque potrebbe venire usato in una quantità vastissima di alimenti, estremamente popolari specialmente negli Stati Uniti, dove il burro di arachidi fa parte della dieta quotidiana.
Si tratta di uno dei prodotti tecnologicamente più avanzati nel campo dell'industria alimentare, secondo gli esperti americani. Il processo di “pulizia” delle componenti allergiche non altera né il sapore, né i valori nutritivi e la composizione delle noccioline, che sono ricche di acidi grassi omega 6 preziosi per la salute. Resta il fatto che rimanga indispensabile per i soggetti con allergia tenere sempre pronto contro le reazioni allergiche un kit di primo intervento in cui devono essere presenti, tra gli altri, medicinali antistaminici e cortisonici, fortunatamente disponibili come farmaci equivalenti.
Una mutazione genetica riduce il livello di trigliceridi nel sangue e protegge dall’infarto miocardico.
La scoperta, pubblicata sul "New England Journal of Medicine", è frutto del lavoro di un Consorzio internazionale di ricerca coordinato dall'Università di Harvard di cui fa parte l'Università di Verona.
Secondo lo studio i soggetti portatori di queste varianti genetiche hanno un livello di trigliceridi nel sangue del 40% in meno dei non portatori e un corrispondente 40% di rischio in meno di sviluppare patologie cardiache. Questa caratteristica genetica si riscontra in una persona ogni 150.
Dallo studio si è capito che solo una specifica frazione dei trigliceridi è pericolosa, quella in cui è presente una proteina chiamata apolipoproteina C3 (Apo C3) che impedisce ai sistemi biochimici di smaltimento dei grassi di agire, lasciando così una elevata concentrazione nel sangue di questi lipidi.
I soggetti con la mutazione genetica hanno una minore presenza della Apo C3 e quindi riescono a eliminare più efficientemente i grassi dal sangue. Questa scoperta apre nuove possibilità terapeutiche perhé ha identificato un nuovo bersaglio per futuri farmaci diretti a bloccare la Apo C3.
Nel frattempo, però l’eccessiva presenza di trigliceridi nel sangue (o ipertrigliceridemia) si può combattere con una dieta a basso contenuto lipidico e farmaci che sono disponibili anche come equivalenti.
Italiani in fuga dal Servizio sanitario nazionale. Ticket sempre più cari e tempi di attesa troppo lunghi stanno spingendo sempre più persone - oltre 12 milioni - verso gli operatori della sanità privata. Secondo le stime che emergono da un'indagine conoscitiva sulla sostenibilità economica del Servizio sanitario nazionale (Ssn), condotta dalle commissioni Bilancio e Affari Sociali della Camera, la spesa privata ha sfondato il muro dei 30 miliardi l'anno. Per l'esattezza 30,3 miliardi tra farmaceutica, diagnostica e assistenza, che - come si legge nel documento - costituiscono "una percentuale rilevante della spesa sanitaria complessiva". Una spesa ingente che - osservano i deputati - "pur non collocandosi su un livello non dissimile da quella di altri Paesi europei, è nel nostro Paese quasi per intero 'out of pocket', cioè a carico del cittadino, mentre altrove è in buona parte intermediata da assicurazioni e fondi".
Se solo si ricorresse con maggior frequenza ai farmaci equivalenti si potrebbero risparmiare ogni anno decine di milioni di euro, che rimarrebbero, così, nelle tasche dei cittadini italiani.
Questa fotografia trova conferma nei dati elaborati dal Censis. Seconda un recente studio dell'istituto di ricerca sono infatti sempre di più gli italiani che pagano di tasca propria i servizi sanitari che il pubblico sembra non garantire sufficientemente: nel 2013 la spesa sanitaria privata è infatti aumentata del 3% rispetto al 2007. E nello stesso arco di tempo quella pubblica è rimasta quasi ferma (+0,6%). Aumentano gli italiani che pagano per intero gli esami del sangue (+74%) e gli accertamenti diagnostici (+19%). Ormai il 41,3% dei cittadini paga per intero le visite specialistiche. Cresce anche la spesa per i ticket, sfiorando i 3 miliardi di euro nel 2013: +10% in termini reali nel periodo 2011-2013. La fuga nel privato riguarda soprattutto l'odontoiatria (90%), le visite ginecologiche (57%) e le prestazioni di riabilitazione (36%). Ma il 69% delle persone che hanno effettuato prestazioni sanitarie private reputa alto il prezzo pagato e il 73% ritiene elevato il costo dell'intramoenia.
Non giovano solo al buon funzionamento dell’intestino, ma aiutano anche la salute del cuore. I probiotici, in base a uno studio pubblicato su Hypertension, una delle riviste ufficiali dell’American Heart Association, sembrano, infatti, essere in grado di ridurre la pressione alta del sangue. La ricerca ha messo in evidenza come i probiotici contenenti popolazioni di batteri multiple siano più efficaci contro l’ipertensione rispetto ai fermenti lattici composti da un solo ceppo batterico. Inoltre, gli effetti sulla pressione arteriosa risultano particolarmente evidenti nelle persone con valori è pari o superiori a 130/85.
I ricercatori hanno incrociato i risultati di nove studi analizzando i valori della pressione sanguigna e il consumo di probiotici in 543 adulti: hanno così rilevato che il consumo regolare di probiotici abbassa in media la pressione sanguigna massima (nota anche come sistolica) di 3,56 millimetri di mercurio (mmHg) e la pressione minima (la diastolica) di 2,38 mm Hg.
L’efficacia dei probiotici sulla pressione alta sembra essere legata alla durata dell’assunzione dei fermenti: non è stato infatti evidenziato alcun effetto sulla pressione del sangue con un consumo di probiotici inferiore a due mesi
«Altre ricerche hanno mostrato che i probiotici migliorano i livelli di colesterolo totale, riducono la presenza di glucosio nel sangue e intervengono nel regolare il sistema ormonale - spiega Jing Sun, della Griffith University, in Australia, uno degli autori dello studio – ma il nostro studio aggiunge un’altra “buona azione” dei fermenti lattici, quella di aiutare ad abbassare la pressione sanguigna».
Nonostante i risultati lascino ben sperare, Sun spiega però che è necessario condurre nuovi e più ampi studi su questo argomento «prima che i medici possano consigliare il consumo di probiotici per il controllo e la prevenzione dell’ipertensione».
La cura della pressione alta del sangue si basa su uno stile di vita corretto, con un’alimentazione sana e attività sportiva costante e, quando necessario, sull’uso di diverse classi di farmaci, oggi tutte fortunatamente disponibili come medicinali equivalenti, efficaci e di basso costo.
Farmaci biosimilari “promossi” dalla Società Italiana di Farmacologia (SIF) che ha aggiornato la propria posizione su questi medicinali, pubblicata per la prima volta nel 2007, utilizzando le conoscenze e i dati acquisiti in questi anni. Vista la rapida evoluzione delle conoscenze sul tema e l’emergere sul mercato di molti nuovi biosimilari, ciascuno con le proprie peculiarità, la SIF è ben conscia che la posizione presa potrebbe non essere più accurata negli anni a seguire e il documento elaborato dalla società scientifica rappresenta quindi un working paper in evoluzione.
La definizione di farmaco biosimilare come farmaco simile ma non identico al prodotto biologico di riferimento, molto spesso utilizzata in termini comunicativi e sicuramente non sbagliata da un punto di vista formale, può essere fuorviante per i non addetti ai lavori e fonte di non corrette interpretazioni, strumentalizzazioni o generalizzazioni. La definizione che propone la Società Italiana di Farmacologia è “farmaco biologico, nella maggior parte dei casi biotecnologico, approvato dall’Agenzia Europea del Medicinali (EMA), attraverso un comparability exercise con il prodotto di riferimento commercializzato da un’altra azienda”. Il comparability exercise è una procedura sperimentale, richiesta a fini regolatori, per cui il prodotto biosimilare viene confrontato a quello di riferimento da un punto di vista fisico-chimico (quality in termini regolatori), pre-clinico e clinico. Un biosimilare è il farmaco che si sia dimostrato sovrapponibile a tutti i livelli a quello di riferimento. Questo appena citato e altri aspetti esaminati nel documento SIF fanno chiarezza in un campo di estrema importanza per la sostenibilità e l’accesso a cure innovative.
I biosimilari offrono la possibilità di curare a costi molto contenuti e con elevata efficacia malattie complesse, dai disturbi reumatici ai tumori, consentendo un risparmio di risorse per il Sistema sanitario nazionale impiegabili per curare altre forme di malattia con farmaci sempre ad alta tecnologia ma molto costosi.
Vietato abbassare la guardia contro le allergie anche d’estate. Punture di insetti, frutti di mare crudi, frutta esotica e persino il vino bianco possono scatenare reazioni allergiche, mettendo a repentaglio la salute soprattutto se non si parte informati e non si adottano le giuste cautele. Lo sottolinea il professor Giorgio Walter Canonica, presidente della Società italiana di allergologia, asma ed immunologia clinica (Siaaic), che ricorda come ogni stagione abbia le sue peculiari forme di allergia. D'estate aumenta il rischio di punture di imenotteri, vale a dire api, vespe e calabroni, a causa del maggior tempo trascorso all'aperto, con più ampie zone di cute scoperta, e della maggior presenza di questi insetti in questa stagione dell’anno. Ma i rischi si nascondono anche nell'ingestione di frutta "esotica" che per un fenomeno di reazione incrociata con il lattice, può determinare reazioni anafilattiche in chi è allergico a questo tipo di gomma. Lo stesso dicasi per il consumo di pesce e frutti di mare crudi. Attenzione anche a frutta secca o a frutta con il nocciolo: tra i cibi più incriminati pesche, albicocche, e ciliegie. Pure l’happy-hour con il prosecco può essere un problema per chi soffre di allergie alimentari: i vini bianchi, notoriamente ricchi di solfiti, possono amplificare o scatenare reazioni allergiche in soggetti con asma bronchiale o allergie cutanee. «Le persone allergiche definite a rischio non devono dimenticarsi di portare con se il kit di emergenza, che oltre agli antistaminici e cortisonici deve includere l'adrenalina auto iniettabile - sottolinea Canonica -. In vacanza le gite sono più frequenti e se le reazioni generalizzate avvengono bisogna avere con sé i mezzi per contrastarle correttamente ed efficacemente anche in luoghi isolati. Ovviamente non bisogna abbassare la guardia anche per gli asmatici: sempre avere a portata di mano il broncodilatatore da usare in caso di attacco acuto». Un aiuto viene dalla disponibilità di farmaci equivalenti antistaminici, cortisonici e respiratori che permettono di dare risposte efficaci ai soggetti allergici, consentendo anche un risparmio importante. Un aspetto non di poco conto oggigiorno.
La metà delle persone con Hiv non sa di averlo. E’ l'allarme lanciato dagli esperti durante l'International Aids Conference che si è tenuta a Melbourne, Australia. Un'allerta che vede il futuro della lotta all'Aids nell'individuazione di quel 50% dli infettati inconsapevoli.
Durante il meeting è stata posta al centro la questione dei diritti delle “popolazioni chiave” più emarginate, dai tossicodipendenti ai lavoratori del sesso. Stefano Vella, ricercatore dell'Istituto superiore di sanità e fra gli estensori delle linee guida Oms sull'Aids, ha spiegato: «L'obiettivo dichiarato è mettere sotto controllo l'epidemia entro il 2030, ma per riuscirci bisogna fare emergere il "sommerso", quei milioni di persone che non sanno di avere il virus, e trattare tutti. E' un enorme problema di costi, di carenza di strutture, ma proprio i risultati ottenuti finora dall'alleanza di scienza, politica e società civile che combatte l'Aids, unica nel panorama mondiale, fanno ben sperare».
Secondo le cifre fornite durante la conferenza sono 35 milioni le persone sieropositive nel mondo, di cui circa metà inconsapevoli, compresi 3,3 milioni di bambini, mentre le nuove infezioni ogni anno sono 2,3 milioni. Nel 2013 circa 13 milioni di persone in tutto il mondo hanno ricevuto la terapia antiretrovirale, di cui circa 11 milioni nei paesi a basso e medio reddito. In quest’ottica una risorsa preziosa è rappresentata dai farmaci equivalenti antiretrovirali, che possono consentire il trattamento dell’infezione con un contenimento enorme dei costi, ma con grande efficacia terapeutica.
Nel 2013 aumenta del +3,5% il consumo di antibiotici, mentre la spesa si riduce del -3,4%. I dati scaturiscono dall’ultimo rapporto dell’osservatorio dell’impiego dei medicinali in Italia, rilasciato dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa). L’uso maggiore di antibiotici si osserva in Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, mentre sono meno utilizzati nella Provincia autonoma di Bolzano, in Liguria, in Friuli Venezia Giulia e nel Veneto. Più in dettaglio, la minor spesa pro capite (7,2 euro) e il minor numero di prescrizioni (13,3 dosi giornaliere definite o DDD/1000 ab. die) si osservano nella Provincia autonoma di Bolzano, mentre la maggiore spesa pro-capite (25,0 euro) e il più elevato numero di DDD prescritte (33,8 DDD/1000 ab. die) sono registrate in Campania.
Le categorie maggiormente impiegate sono state le associazioni di penicilline, seguite da amoxicillina+acido clavulanico e macrolidi e lincosamidi. Gli antibiotici a brevetto scaduto rappresentano il 90,2% delle dosi di antibiotici totali e il 68,2% della spesa totale per antibiotici. Farmaci che sono presenti in farmacia come equivalenti e che, quindi, potrebbero fare risparmiare notevolmente i cittadini, a parità di efficacia.
Si continuano però ad osservare livelli elevati di inappropriatezza nell’utilizzo dei farmaci antimicrobici. L’impiego inappropriato di antibiotici supera il 20% in tutte le condizioni cliniche con particolare impatto per la laringotracheite (49,3%), cioè il mal di gola, in cui questi farmaci non sarebbero indicati.
Il rapporto ha evidenziato anche un più frequente utilizzo di antimicrobici nelle donne, in particolare nelle fasce di età adulta.
Il rischio di fratture dovute a fragilità ossea si può ridurre sensibilmente esponendo viso, braccia e gambe per 20 minuti al giorno per 5 giorni alla settimana e consumando alimenti come sgombro, anguilla e salmone affumicato.
Si tratta della ricetta per la prevenzione della fragilità delle ossa suggerita dal professor Giancarlo Isaia, presidente della Società italiana dell’osteoporosi, del metabolismo minerale e delle malattie dello scheletro (Siommms) e direttore del Dipartimento di geriatria e malattie metaboliche dell’osso all’Ospedale Molinette di Torino.
«L’estate è il periodo dell’anno in cui c’è più luce ed è più facile prendere il sole, stimolando quindi la sintesi di vitamina D, una vitamina fondamentale per il rafforzamento osseo e per le funzioni neuromuscolari e metaboliche», chiarisce l’esperto torinese. La vitamina D è necessaria per consentire al calcio di depositarsi nelle ossa, rendendole più resistenti.
Il fatto è che in Italia il 70% della popolazione soffre di carenza di vitamina D (condizione nota come ipovitaminosi D), con la conseguente riduzione della disponibilità di calcio e il progressivo impoverimento di questo minerale nello scheletro. Questa situazione costituisce un importante fattore di rischio per l’osteoporosi e per le fratture, di cui soffrono prevalentemente le donne.
L’invito a esporsi al sole a vantaggio della salute delle ossa fa, in realtà, parte di un’azione di sensibilizzazione che gli esperti della Siommms stanno portando avanti per combattere l’ipovitaminosi D e prevenire, quindi, il rischio di fratture. «L’osteoporosi è una malattia che in Italia colpisce 4,5 milioni di persone e va quindi trattata come una patologia di priorità sanitaria e sociale - conclude il professore - Uno stile di vita corretto che preveda lo svolgimento di attività fisica all’aria aperta, un’alimentazione equilibrata e l’esposizione al sole rappresenta un punto di partenza per contribuire ad allontanare il rischio della malattia e delle sue complicanze». Un aiuto può venire anche dalle supplementazioni di vitamina D, disponibili come preparati equivalenti, efficaci ed economici nello stesso momento.
I supplementi quotidiani di olio di pesce diminuirebbero non solo il declino mentale associato al morbo di Alzheimer, ma anche il rischio dello sviluppo e della progressione della malattia neurologica degenerativa. A sostenerlo è un nuovo studio statunitense, pubblicato, sulla rivista "Alzheimer & Dementia", sulla base di analisi sulle capacità mentali di 819 volontari e sulla stessa dimensione del cervello accertata tramite sofisticate tecniche di immagine. La ricerca ha seguito i partecipanti per oltre 4 anni sottoponendoli a test cognitivi e ad esami di risonanza magnetica cerebrale. I volontari erano anziani con vari livelli di abilità mentali all'inizio dell’indagine, dai soggetti completamente sani, a persone con leggeri problemi di senilità, a pazienti già malati di Alzheimer. Gli scienziati del Rhode island hospital guidati da Lori Daiello, hanno osservato come tutti i partecipanti che assumevano regolarmente olio di pesce ricco di grassi omega-3 avessero risultati migliori nei test di memoria e ragionamento rispetto a chi non prendeva i supplementi. «Inoltre - ha spiegato Daiello - la corteccia cerebrale e l'ippocampo, ossia le aree del cervello responsabili della formazione e ritenzione della memoria, hanno evidenziato una diminuzione di volume inferiore a quella di chi non prendeva gli omega-3».
Una notizia incoraggiante, dal momento che ad oggi non esiste una cura contro questa malattia neurologica devastante per chi ne è colpito e per i suoi familiari e considerando che è oggi disponibile un equivalente a base di omega-3 ad alta concentrazione. Insomma, una promettente possibilità di prevenzione anche conveniente da un punto di vista economico.
La buona notizia è che viviamo di più: grazie soprattutto ai farmaci, usati regolarmente da un terzo degli italiani, ma anche alle condizione di vita migliori e all’alimentazione, guadagniamo in media tre mesi di vita ogni anno. E’ quanto emerge dal rapporto sulla salute degli italiani elaborato dall’Istat, che ha messo a confronto la situazione odierna con quanto avveniva nel 2005. L’Istituto di statistica evidenzia che siamo una popolazione sempre più vecchia, chiamata a fare i conti con la crisi economica. Dal 2005 ad oggi sono in crescita i casi di tumore ma nel 60 % dei casi si curano di più, aumentano pure del 50% le malattie della tiroide, le demenze senili, le allergie, l’osteoporosi, mentre diminuiscono i problemi respiratori, probabilmente per la riduzione del numero di forti fumatori, anche se la sigaretta viene accesa con sempre maggior frequenza dai giovani e dalle donne. Il rapporto segnala un aumento di un punto percentuale degli obesi che oggi sono l’11% della popolazione, come pure un aumento del disagio psichico, con la depressione a farla da padrona delle problematiche mentali dato che ne soffrono 2,6 milioni di italiani. I connazionali si dicono nell’80% dei casi molto soddisfatti dal Sistema sanitario nazionale, ricorrono sì agli specialisti, ma non ai dentisti, come dimostra la riduzione del 30% delle visite. Una forte riduzione c’è anche nell’uso di medicine alternative e nell’omeopatia, che si è ridotto quasi della metà.
In questo quadro, come dimostrato dal rapporto dell’Osservatorio sull’uso dei medicinali in Italia, si registra un incremento del ricorso a farmaci equivalenti, che permettono di curarsi con efficacia risparmiando. Ma si potrebbe fare di meglio, a tutto vantaggio dei cittadini.
Non solo mette a rischio il cuore e i vasi sanguigni, ma adesso sembra che il colesterolo in eccesso possa favorire anche l’insorgenza di alcuni tipi di tumore molto comuni, come il cancro al colon, al seno, ai polmoni e il melanoma. Lo hanno scoperto i ricercatori dell'Università dell'Illinois di Chicago, guidati da Wonhwa Cho, professore di biochimica.
Una quantità di colesterolo troppo elevata nel sangue è, come noto, tra le cause principali dell’occlusione di arterie e quindi della comparsa di infarto miocardico e ictus cerebrale. Ma, secondo i ricercatori americani, il colesterolo non produrrebbe danni limitati solo al sistema cardiovascolare, ma potrebbe essere coinvolto nella formazione dei tumori. Come? Il colesterolo sembra giocare un ruolo importante nella trasmissione di segnali che regolano l’attività delle cellule. Cho e colleghi hanno visto che il colesterolo si lega a una proteina detta “Dishevelled” che a sua volta stimola una via chimica nota come “Wnt”, importante per la proliferazione delle cellule. Quando il colesterolo è in eccesso, aumenta la stimolazione del processo di replicazione cellulare, con la conseguenza di una maggior probabilità di comparsa di cellule che non rispondono più ai segnali di controllo e quindi capaci di dare il via a una trasformazione verso il tumore. I tipi di cancro connessi alla via di segnalazione Wnt sono appunto quelli elencati in precedenza.
La connessione tra elevati livelli di colesterolo e incidenza di tumori, soprattutto al seno, era stata evidenziata poco tempo fa, ma sfuggiva ancora il meccanismo alla base di questa associazione. «La nostra ricerca spiega come mai le diete troppo ricche di grassi possano promuovere l’insorgenza del cancro», afferma Cho. Grazie alla loro scoperta, pubblicata sulla rivista Nature Communications, Cho e colleghi pensano sia possibile produrre farmaci in grado di andare a colpire questo processo, in modo da bloccarlo e prevenire i tumori.
Resta comunque un fatto: il colesterolo in eccesso va ridotto, anche grazie a terapie farmacologiche che, fortunatamente, sono disponibili come farmaci equivalenti, quindi efficaci e accessibili a tutti.
Quali farmaci sono più utilizzati dai cittadini italiani per combattere il dolore? Secondo quanto riscontrato da un sondaggio condotto nel periodo 31 marzo-6 aprile 2014 su circa 1.000 persone che hanno avuto accesso a farmaci antalgici in 100 farmacie di Roma, il paracetamolo risulta essere il farmaco più usato, seguito da ibuprofene, diclofenac e nimesulide.
La ricerca rientra nell’ambito del progetto , promosso dall’Ordine dei Farmacisti della Provincia di Roma, dalla Fondazione Gigi Ghirotti e da Federfarma Roma e con il patrocinio del Ministero della Salute.
Il progetto vuole coinvolgere il farmacista in una raccolta di dati sulla gestione del dolore e mettere in luce la sua importanza nella gestione in merito all’appropriatezza terapeutica del dolore minore attraverso i farmaci SOP (senza obbligo di prescrizione) e OTC (da banco), nel suggerimento alla persona con dolore dello specialista di riferimento e nella sensibilizzazione del paziente stesso verso la possibilità/necessità di trattare sempre il dolore con un percorso validato.
Un atteggiamento di questo tipo porta vantaggi reali al paziente che vive un accesso immediato alle cure per il suo dolore, al farmacista riconosciuto come protagonista della salute e più in generale al Sistema sanitario, che troverebbe proprio nel farmacista un alleato nel riportare la gestione del dolore dall’ospedale al territorio.
Stando a quanto emerso dal sondaggio, il 74% degli intervistati aveva più di 50 anni e nel 59% dei casi soffriva di dolore di tipo saltuario, contro un 41% che invece era affetto da un dolore cronico. Il paracetamolo è stato indicato come farmaco più utilizzato per combattere il dolore dal 27% delle persone, seguito da ibuprofene (24%), diclofenac (13%) e nimesulide (10%).
Il 40% degli intervistati ha dichiarato di curarsi facendo ricorso a farmaci da automedicazione, il 20% è ricorso al consiglio del farmacista, gli altri si sono rivolti al medico di medicina generale (20%) e allo specialista (20%).
E’ di grande interesse sottolineare che tutti questi farmaci sono disponibili come equivalenti, preparati che non soltanto offrono la stessa efficacia degli originatori di marca, ma che consento anche un grande risparmio per il cittadino.
La spesa farmaceutica totale, pubblica e privata, è stata pari a 26,1 miliardi di euro, con un aumento del 2,3% rispetto al 2012. E’ il dato saliente dell’ultimo rapporto dell’Osservatorio sul consumo dei medicinali in Italia elaborato dall’ Agenzia italiana del farmaco (Aifa). Nel 2013 ogni italiano ha consumato in media 1,7 dosi di farmaci al giorno (1.679 dosi al giorno ogni 1.000 abitanti) e il 70,4% di questi farmaci è stato erogato a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Ma un aspetto è particolarmente significativo: la prescrizione di farmaci a brevetto scaduto ha rappresentato nel 2013 il 64,3% delle dosi e il 41,5% della spesa netta (con un incremento del +3,8% rispetto al 2012); di questi solo il 14,9% è costituito dai farmaci equivalenti. Quest’ultimo dato, pur se in crescita rispetto al 2012 (in cui rappresentava il 13,4%), tradotto in termini più comprensibili, significa che l’85,1% dei farmaci a brevetto scaduto è stato pagato direttamente dai cittadini, che hanno dovuto corrispondere di tasca propria la differenza tra il costo del farmaco di marca senza più copertura brevettuale e il farmaco equivalente (erogato gratuitamente dal Sistema sanitario). Un’opportunità di risparmio sprecata, a parità di efficacia delle cure. “L’aumento della spesa farmaceutica territoriale comunicato dal Direttore generale dell’AIFA, professor Luca Pani, costituisce effettivamente un segnale d’allarme. Non solo per le finanze pubbliche, ma soprattutto per i cittadini su cui ricade una quota non indifferente della spesa farmaceutica”, dice il presidente di AssoGenerici Enrique Häusermann. “Una parte almeno di questa maggiore spesa, però, potrebbe essere evitata – prosegue Häusermann -. Secondo i dati del nostro ‘salvadanaio’ i cittadini italiani da gennaio a giugno hanno speso 456 milioni di euro per pagare la differenza di prezzo farmaco tra generico e originale a brevetto scaduto, e già 34 milioni nella prima settimana di luglio. Una spesa di difficile comprensione, visto che esiste una notevole variabilità tra una Regione e l’altra se non tra un’ASL e l’altra”. Del resto è stato lo stesso professor Pani a indicare come la quota di medicinali equivalenti dispensata in Italia, il 14,9%, sia molto più bassa di quella dei paesi europei di riferimento. Come sottolineato dall’AIFA, sono in arrivo nuovi farmaci molto importanti, per i quali si rischia di non avere risorse sufficienti.
E’ venuto il momento di aumentare il risparmio laddove è possibile senza mettere a repentaglio né la qualità né la sicurezza e l’efficacia delle cure. Un più ampio ricorso a equivalenti e biosimilari è oggi più che mai la chiave per poter garantire ai cittadini l’accesso ai salvavita di domani”.