“L’appropriatezza delle prescrizioni e la diffusione dei farmaci equivalenti al posto dei più cari griffati, possono rappresentare un veicolo importante per risparmiare a livello regionale milioni di euro e far registrare un netto calo della spesa farmaceutica”. Lo ha dichiarato Mario Abbruzzese, vicepresidente della 8° Commissione Sviluppo Economico, Lavoro e Piccole e Medie Imprese e consigliere della Regione Lazio.
“Sfogliando le pagine dei quotidiani in questi giorni, sono sempre più convinto della fondatezza di tale teoria e che essa debba essere messa in pratica al più presto”, continua il politico. Abruzzese cita come dimostrazione pratica della possibilità di risparmio attraverso la diffusione dei farmaci generici la performance della Regione Veneto che con questa filosofia ha registrato nel 2013 un risparmio pari al 2,9 % rispetto agli stessi dati del 2012. Che tradotto in cifre significa circa 16 milioni e 349mila euro. “E’ importante in questo delicato periodo storico, fatto di tagli e razionalizzazione delle spese, riuscire a fornire ai cittadini servizi che non vadano a pesare sul loro budget economico – sottolinea Abruzzese -. Pertanto, considerati i dati palesati dalla stampa in questi giorni, credo sia opportuno attivarsi per mettere in piedi un piano di lavoro concertato con farmacisti, medici di base e ad altri professionisti del settore, al fine di procedere alla stesura di una programmazione che possa garantire un calo della spesa farmaceutica. Tale iniziativa, che di certo non graverebbe sulle tasche dei cittadini, può risultare fondamentale e potrebbe produrre effetti positivi anche sul piano di rientro per il deficit sanitario”. Nell’Abruzzese-pensiero la buona politica ha il dovere di prendere spunto dalle esperienze positive degli altri enti non perdendo, tuttavia, di vista le necessità e le peculiarità del territorio che si è demandati ad amministrare. “Spero, dunque, che il presidente della Regione Lazio, Zingaretti, tenga conto di questo appello e che al più presto si metta all’opera in tal senso”, conclude Abbruzzese. Un’iniziativa che il politico laziale spera venga estesa a tutto il territorio nazionale, nel nome di una razionalizzazione intelligente delle sempre più risicate risorse oggi a disposizione della sanità italiana.
“Lo sviluppo e l'utilizzo dei farmaci biosimilari rappresentano un'opportunità essenziale per l'ottimizzazione dell'efficienza dei sistemi sanitari e assistenziali, avendo la potenzialità di soddisfare una crescente domanda di salute, in termini sia di efficacia e di personalizzazione delle terapie, sia di sicurezza d'impiego". E' quanto riporta l'Agenzia italiana del farmaco in un 'position paper' sul tema dei farmaci biosimilari pubblicato sul sito dell'autorità regolatoria.
"L'Aifa - si legge in una nota - ha pubblicato un documento sui farmaci biosimilari che fornisce agli operatori sanitari e ai cittadini informazioni sulla definizione e sui principali criteri di caratterizzazione dei medicinali biologici e biosimilari, sulle normative regolatorie vigenti in Ue e sul ruolo dei biosimilari nella sostenibilità economica del Servizio sanitario nazionale. Il documento è stato prodotto allo scopo di promuovere la conoscenza e l'utilizzo di questi farmaci, in considerazione dell'importanza che i medicinali biologici, inclusi i biosimilari, rivestono per il trattamento di numerose patologie gravi e potenzialmente letali, per molte delle quali in passato non era disponibile alcuna opzione terapeutica efficace".
"I biosimilari - scrive l'Aifa - rappresentano uno strumento irrinunciabile per lo sviluppo di un mercato dei biologici competitivo e concorrenziale, necessario alla sostenibilità del sistema sanitario e delle terapie innovative, mantenendo garanzie di sicurezza e qualità per i pazienti e garantendo loro un accesso omogeneo e tempestivo ai farmaci innovativi, pur in un contesto di razionalizzazione della spesa pubblica".
Gli italiani nel 2013 hanno pagato più di 2,9 mld di ticket sanitari (per farmaci, diagnostica, specialistica, pronto soccorso). Il 25% in più (circa 700 mln di euro) rispetto al 2010 quando avevano speso 2,2 mld. La crescita si ricava dall'analisi dell'ANSA sui Rapporti della finanza pubblica della Corte dei conti degli anni 2012 e 2014. La stessa Corte dei Conti indica la necessità di intervenire sul sistema. Il Governo e le Regioni, al lavoro per la stesura del Patto per la Salute previsto per fine mese, hanno deciso di "ritoccare" lo schema di compartecipazione alla spesa in vigore. Allo studio dei tavoli tecnici ci sono novità su indicatori reddittuali, tetti di spesa e nuovi criteri di esenzioni. L'obiettivo è quello di ottenere un meccanismo con più equità e più attenzione ai nuclei familiari colpiti dalla crisi. A ottobre era d’altronde già stato evidenziato dal Tribunale dei diritti del malato-Cittadinanzattiva un calo del 9% di esami e visite in seguito all’introduzione della compartecipazione alla spesa sanitaria. I cittadini privi dell’esenzione hanno rinunciato a esami e cure considerandoli troppo costosi. Eppure sulle terapie una possibilità di risparmio ingente per le famiglie esiste ed è rappresentata dalla scelta del farmaco equivalente ormai disponibile praticamente per la cura di tutte le malattie, acute e croniche.
Buone notizie per i lavoratori reduci da un infortunio o una malattia. L’Inail (Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro) ha appena emanato una circolare (n30, 4 giugno 2014) che prevede l’estensione del diritto al rimborso alle spese sostenute per l’acquisto di farmaci di fascia C (equivalenti compresi), il cui costo non è sostenuto dal Ssn.
Nel dettaglio, il rimborso può essere richiesto da lavoratori che hanno subito un infortunio o contratto una malattia professionale, oltre che durante il periodo di inabilità temporanea assoluta al lavoro, anche dopo la stabilizzazione dei postumi, pur se non indennizzabili, ed oltre i termini revisionali. La circolare ha ampliato l’elenco dei farmaci ammessi a rimborso a carico dell’Istituto. Sono così rimborsabili i farmaci di fascia C prescritti e acquistati a decorrere dal 13 novembre 2012 (link all’allegato), giudicati necessari al miglioramento dello stato psico-fisico del lavoratore infortunato o affetto da malattia professionale in relazione alla patologia causata dall’evento lesivo di natura lavorativa, anche ai fini del reinserimento socio-lavorativo.
Il termine prescrizionale del diritto al rimborso dei farmaci è decennale e decorre dal giorno in cui il diritto stesso può essere esercitato e cioè dalla data riportata sullo scontrino di acquisto del farmaco.
Il 30% delle ragazze italiane ritiene che il coito interrotto rappresenti un metodo contraccettivo efficace e 4 su 10 affrontano la prima esperienza sessuale senza nessuna protezione. Risultato? In Italia nel 2012 abbiamo avuto oltre 105.000 interruzioni volontarie di gravidanza, hanno partorito 9.000 baby mamme under 19 e il 40% delle gravidanze totali era indesiderato. I dati che il professor Paolo Scollo, presidente della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (Sigo), snocciola in occasione del 13° Congresso della European Society of Contraception and Reproductive Health (ESC), fanno riflettere e documentano la necessità di un’informazione più efficace. “La nostra Società scientifica da anni è impegnata in progetti di educazione sessuale per i giovani – afferma Scollo -. Ma serve anche da parte delle Istituzioni italiane ed Europee un maggiore impegno a promuovere un cambiamento culturale che favorisca la sessualità consapevole tra le donne”. Al Congresso è stata presentata una ricerca internazionale condotta in 17 Paesi, Italia compresa, su poco meno di 9.000 donne (8.837), che evidenzia ancora numerose lacune delle italiane sui temi della contraccezione. “Solo il 16% sostiene di sentirsi ben informata su tutti i metodi a disposizione, il 70% sotto i 30 anni è costantemente preoccupata di dimenticarsi il contraccettivo in uso e il 19% ha affrontato una gravidanza indesiderata”, riferisce il professor Emilio Arisi, Presidente della Società di Medicina Italiana della Contraccezione (SMIC). Nonostante la disponibilità di un metodo contraccettivo di estrema efficacia come la pillola anticoncezionale, ormai da anni presente sul mercato come farmaco equivalente e quindi di qualità e a basso costo - aspetto fondamentale soprattutto per le più giovani - la strada verso una maggiore consapevolezza sulla contraccezione resta ancora in salita. Un aiuto potrebbe venire da una più capillare opera di educazione alla sessualità, da iniziare sui banchi di scuola.
Anche l’ultima relazione della Corte dei Conti conferma che tra i pochi capitoli della spesa pubblica in costante riduzione vi è quello relativo alla farmaceutica convenzionata, che anche nel 2013 ha fatto registrare una riduzione del 3,4%, e non certo perché i cittadini abbiano smesso di curarsi. “Molti sono i fattori che contribuiscono a questo "risultato”, dice il presidente di AssoGenerici Enrique Häusermann, “ma quello fondamentale, come ha ricordato anche questa volta la magistratura contabile, è la presenza sul mercato del generico che, da sola, ha determinato una fortissima riduzione della spesa”. Ciò nonostante, nel nostro paese i produttori di farmaci equivalenti sono tenuti, come i produttori di farmaci branded, al pagamento del cosiddetto pay-back, cioè di un rimborso da parte delle aziende produttrici direttamente allo stato se la spesa per i farmaci supera il tetto fissato per legge per ogni specialità medicinale. “Questo penalizza ingiustamente tutto un settore che è invece all’origine del risparmio”, sottolinea Häusmann. Il sistema del pay-back viene, inoltre, esteso anche ai farmaci ospedalieri. “Il fatto è che il tetto di spesa fissato dal governo per i farmaci ospedalieri è regolarmente sottostimato”, afferma il presidente di Assogenerici. Questo è un ulteriore danno per i produttori dei farmaci equivalenti che già sono intrinsecamente meno costosi e che sono soggetti a gare d’appalto nelle quali “vince” chi si aggiudica il prezzo più basso. “Tali farmaci devono essere esclusi dal sistema del pay-back applicato alla spesa ospedaliera”, sostiene Häusermann. “Se si vuole diminuire ulteriormente la spesa, facendo leva sul farmaco equivalente, si dovrebbe, poi, eliminare dalla normativa italiana il meccanismo del cosiddetto “patent linkage”, una clausola che ritarda l’ammissione alla rimborsabilità dei nuovi farmaci equivalenti, e che comporta un mancato risparmio pari a tre milioni di euro al giorno”, conclude Häusermann. Un meccanismo, peraltro, ormai presente soltanto in Italia e più volte dichiarato illegittimo dalla Commissione Europea e dal Parlamento Europeo, che ha anche votato una proposta di direttiva volta a proibirne l’introduzione nelle normative nazionali.
Si chiama Con-Ter, acronimo di Continuità Terapeutica, la nuova iniziativa voluta dalla Società Italiana di Medicina Generale (Simg) per diffondere una maggiore consapevolezza tra medici e cittadini sul valore del farmaco equivalente per la collettività. I farmaci equivalenti hanno contribuito in maniera sostanziale in molti Paesi Europei, come il Regno Unito e la Germania, a riequilibrare la spesa sanitaria per la farmaceutica senza intaccare la qualità del sistema di cura. Anche nel nostro Paese, sia pur con ritardo, il farmaco equivalente rappresenta oramai una realtà consolidata, nonostante una quota di mercato ancora molto bassa (circa il 10%) rispetto al totale della spesa per farmaci. Un ritardo che sembra soprattutto legato a una mancanza di una politica di sostegno culturale, centrata sulla corretta informazione ai cittadini oltre che di convincimento “scientifico” dei medici prescrittori, basato sulla formazione e sulla discussione nei luoghi appropriati. Una recente indagine ha stabilito che il 95% della popolazione italiana è a conoscenza dell’esistenza dei farmaci equivalenti e che la maggior parte delle persone considera la qualità dell’equivalente uguale a quella del brand. Per quanto riguarda invece l’informazione circa i farmaci equivalenti, la stessa indagine ha stabilito che solo il 14,2% dei pazienti è informato dal suo medico di famiglia, mentre il farmacista è il principale attore in ben il 49% dei casi. Il medico pertanto diventa sempre meno il punto di riferimento per il paziente in merito alla informazione e alla scelta finale del farmaco equivalente. Per questo Simg con il contributo incondizionato di Zentiva (gruppo Sanofi) ha deciso di attuare il progetto Con-Ter con l’obiettivo di aumentare le conoscenze dei medici di base circa le caratteristiche e l’affidabilità\sicurezza dei farmaci equivalenti, di incentivarne la prescrizione, di migliorare la comunicazione medico-paziente sulla sicurezza e affidabilità dei farmaci generici per orientarne le scelte, e ancora di favorire la scelta consapevole e motivata da parte dei cittadini dei farmaci equivalenti e favorire la continuità terapeutica nei malati cronici.
L'italiano compra più specialità di quanto dovrebbe. Secondo i medici di famiglia è perché non vuole confondersi tra tanti generici alternativi proposti in farmacia. Secondo i farmacisti, è una scelta personale: il rischio di confondersi non nasce dalla sostituzione. Quale che sia la causa, Assogenerici, l'associazione di produttori di farmaci equivalenti, ha deciso di pubblicare online ogni giorno il calcolo della spesa che i cittadini sostengono per le i farmaci di marca. La spesa degli italiani è aumentata del 2,1% nel 2013, e quest'anno si aggira sul miliardo di euro.
La vitamina C aiuta i chemioterapici ad uccidere le cellule del cancro all'ovaio riducendone gli effetti collaterali. Per poterne sfruttare i benefici non è però sufficiente assumerla per via orale: solo la somministrazione endovenosa permette di raggiungere le alte dosi necessarie per produrre questo effetto. A svelarlo è uno studio pubblicato su Science Translational Medicine da un gruppo di ricercatori del Medical Center dell'Università del Kansas che grazie alla collaborazione con i National Institutes of Health hanno gettato luce sui meccanismi che permettono a questa molecola naturale di esercitare il suo effetto antitumorale.
In effetti l'uso della vitamina C contro il cancro non è una novità. “Negli anni '70 l'ascorbato, o vitamina C, era una terapia non convenzionale contro il cancro – racconta Qi Chen, responsabile del nuovo studio – Era sicuro, e c'erano racconti della sua efficacia clinica quando somministrato per via endovenosa. Ma dopo che la somministrazione per via orale si è rivelata inefficace in due studi clinici sul cancro, gli oncologi tradizionali hanno abbandonato l'idea”. Ciononostante i sostenitori delle medicine complementari hanno continuato ad utilizzare la vitamina C nelle terapie antitumorali. Chen e collaboratori hanno deciso di cercare di far chiarezza sull'argomento studiando l'effetto della somministrazione di questa molecola sia in laboratorio, sia nei pazienti, arrivando così a definire il suo meccanismo di azione.
“Ciò che abbiamo scoperto - spiega Chen – è che, a causa delle sue differenze farmacocinetiche, la vitamina C somministrata in endovena, contrariamente a quella assunta per via orale, uccide alcune cellule tumorali senza mettere in pericolo i tessuti sani”. In particolare, nei fluidi che circondano le cellule tumorali la vitamina C porta alla formazione di perossido d'idrogeno, induce danni al Dna, riduce i livelli di ATP (fonte di energia per le cellule), attiva la cosiddetta via dell'AMPK e inibisce l'attività di mTOR (coinvolte nella regolazione della crescita e della morte delle cellule). “Ora conosciamo meglio l'azione antitumorale della vitamina C – commenta Jeanne Drisko, coautrice dello studio – cui si aggiungono un chiaro profilo di sicurezza e una credibilità biologica e clinica. Nel loro insieme – conclude la ricercatrice – i nostri dati forniscono forti prove che giustificano la conduzione di studi più ampi e robusti per studiare definitivamente i benefici dell'aggiunta della vitamina C alla chemioterapia convenzionale”.
Fonte salute24.ilsole24ore.com
È un dato acquisito almeno dall’inizio del secolo scorso: ignorare le evidenze scientifiche ha un costo. Nel caso della diffidenza verso i farmaci equivalenti è possibile determinare questo costo al centesimo, giorno per giorno e regione per regione. Questa è infatti la funzione del widget “Il salvadanaio della salute” da ieri on-line sul sito web, che calcola quotidianamente quanto spendono i cittadini italiani per coprire la differenza di prezzo tra l’equivalente e il farmaco di marca.
Si scopre, così, che nel 2013 dalle tasche dei cittadini sono usciti oltre 850 milioni di euro, e che dall’inizio dell’anno a oggi la tendenza si mantiene, tanto che dal 1° gennaio la somma totalizzata è 103 milioni, e 30 milioni solo dal 1° febbraio ad oggi. Insomma, ogni giorno in media si spendono 2,3 milioni di euro sottratti ad altri bisogni sanitari e non solo.
“Questo della spesa privata per l’acquisto del medicinale di marca, è un dato che abbiamo più volte riportato all’attenzione, e intendiamo informare periodicamente il pubblico a questo riguardo. Crediamo, però, che una rappresentazione dinamica possa rendere più concretamente l’idea di che cosa accade dal punto di vista economico, e nell’era dell’informazione in tempo reale e diretta questa soluzione web-based ci sembra la più adeguata”, ha detto il direttore generale di AssoGenerici, Michele Uda.
“La nostra Associazione ha sempre guardato con attenzione alla comunicazione digitale finalizzata alla concretezza e alla trasparenza del messaggio - ha concluso - e questo rispecchia lo spirito stesso del farmaco equivalente: molecole note, di cui si conosce tutto, affidabili e sicure ma prodotte e distribuite con tecnologie al passo con i tempi”.
Fonte quotidianosanita.it - assogenerici.org
Molto spesso sia i pazienti che i medici non sanno che molti medicinali di utilizzo comune sono di derivazione animale, come per esempio le eparine a basso peso molecolare derivate dai maiali, la gelatina dalle mucche, e gli estrogeni coniugati dai cavalli; ma anche per gli eccipienti di uso comune, come il lattosio e il magnesio stearato, la provenienza non è specificata in etichetta. Infatti, un gruppo di ricercatori britannici ha verificato che nei 100 farmaci più prescritti almeno 74 contenevano uno o più eccipienti tra lattosio, gelatina e stearato di magnesio, ma era molto difficile individuarne la provenienza, anche contattando direttamente il produttore. Un problema emergente, se si considera che sono sempre di più le persone che per motivi personali scelgono di seguire una dieta vegetariana o vegana: che si tratti del rispetto di dogmi religiosi o di scelte condizionate da preoccupazione per l’ambiente, il fenomeno riguarda in Gran Bretagna il 5% della popolazione generale, ma il 12% dei cittadini di razza non caucasica. Sarebbe utile per tutte queste persone che la provenienza dei vari ingredienti fosse specificata in etichetta, o nel foglio illustrativo dei medicinali, ma al momento ciò non è permesso dalle norme europee che obbligano i produttori a segnalare solo la presenza di sostanze che possono provocare reazioni cliniche avverse. D’altra parte forse non sarebbe possibile elencare in etichetta tutte le possibili specifiche di ogni singolo ingrediente. La soluzione definitiva, suggeriscono gli autori dell’indagine, potrebbe essere quella di eliminare i prodotti di derivazione animale dai medicinali. Quando possibile, ovviamente. Il lattosio, per esempio, viene già prodotto da alcune aziende senza l'utilizzo di caglio, lo stearato di magnesio può essere ottenuto per sintesi chimica, senza ingredienti di origine animale, e sono già disponibili capsule vegetali per sostituire la gelatina.
Fonte farmacista33.it
Rapporto Osmed. Primi nove mesi 2013: spesa farmaceutica a 19.5 mld. Boom della privata. Continua ad aumentare l'ospedaliera. Diminuisce la territoriale.
In allegato il rapporto dell'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA)
La non-profit inglese Sense About Science ha realizzato un volume guida per aiutare a distinguere la ricerca seria dai venditori di speranze.
Il volume è stato tradotto a cura dell'Aifa ed è disponibile cliccando sul link qui sotto
Luca Pani, Direttore Generale dellAIFA: “E' importante far capire ai cittadini la differenza tra il mondo della ricerca, che lavora per offrire trattamenti efficaci e sicuri, e i venditori di speranze che speculano sulla sofferenza della gente”
Ulteriori info sul sito dell'Agenzia Italiana del Farmaco
I fenomeni di scarsità di medicinali denunciati dalle associazioni di categoria e dalla stampa non riguardano i generici, che sono disponibili per la stragrande maggioranza delle specialità definite carenti. “E’ un’occasione per guardare con occhi diversi alla scelta di un farmaco equivalente quando si inizia una terapia cronica” sottolinea il presidente di AssoGenerici Enrique Häusermann.
- “Il fenomeno delle carenze di specialità medicinali nelle farmacie è un fenomeno sempre più frequente in Italia, che richiede un’attenzione costante” dice il presidente di AssoGenerici, Enrique Häusermann. “Tuttavia, per quello che riguarda la garanzia dell’accesso al farmaco da parte del cittadino, è bene tenere presente che per la stragrande maggioranza dei farmaci di cui si accusa scarsità sono disponibili le versioni equivalenti, che si tratti di un antiacido comel’esomeprazolo o di un antitumorale come l’anastrozolo”. Per AssoGenerici questa è una situazione in cui il medico potrebbe valutare con occhi diversi la possibilità di avviare una terapia cronica con un farmaco equivalente: “proprio perché è importante la continuità terapeutica, chi prescrive dovrebbe valutare il vantaggio per il paziente che deriva dalla scelta di un medicinale che non è soggetto a questo genere di fenomeni. Non è un caso che le carenze di questo o quel medicinale si verifichino soprattutto in paesi in cui minore è la penetrazione del generico” conclude Enrique Häusermann.
Fonte: Comunicato stampa Assogenerici
www.assogenerici.org
Il mondo dei Big Data sta entrando sempre di più anche nel campo della ricerca e dello sviluppo di nuovi farmaci e, considerando la quantità di dati e le numerose possibilità di incrociarli, la sua gestione supera di gran lunga il livello nazionale e persino quello europeo per approdare necessariamente al mondo globale.
I Big Data in farmacologia sono rappresentabili da grandi aggregazioni di informazioni legate strettamente alle popolazioni che assumono i farmaci, come dati biometrici (tra questi, ad esempio, altezza, peso, pressione, quantità di grasso corporeo, etc.), dati correlati alle abitudini delle popolazioni, dati omogenei sugli obiettivi che si vogliono raggiungere con la terapia, compresi quelli sugli effetti collaterali, dati di riferimento sull’andamento naturale delle stesse patologie e dati sulla durata della risposta farmacologica nel tempo. Alcune altre variabili biologiche, tra cui anche quelle geografiche, sono importanti per stabilire gli effetti dei medicinali, così come ha un peso significativo sapere se l’effetto di un farmaco può essere influenzato da variabili non-biologiche delle popolazioni, cioè come determinati stili di vita possano realmente modificare il modo in cui un farmaco esprime la sua efficacia o modifica il profilo di sicurezza (per esempio consumo di alcolici e possibili danni epatici).
Pensiamo alla UK Biobank. È un agglomerato enorme di dati: circa mezzo milione di adulti britannici ha donato campioni di sangue e urine, ha acconsentito a farsi misurare altezza e peso, ha risposto alle domande sugli stili di vita e la dieta adottati e ha dato informazioni sulla propria storia medica. Un gruppo di ricerca studierà come la salute di queste persone cambierà nel tempo, utilizzando ampi dati che abbraccino le cure primarie, le statistiche ospedaliere e i registri su tumore e decessi. Lo scopo? Studiare le cause, la prevenzione e il trattamento di malattie comuni, ma anche scoprire gli eventuali legami con l’ambiente e le funzioni cognitive.
Attraverso la raccolta e l’analisi di dati sanitari è pertanto possibile definire in maniera più accurata le malattie e sviluppare un’attività di sorveglianza che favorisca l’individuazione di nuove risposte e misure di sanità pubblica.
Ricordate John Snow? Quando nel 1854 si diffuse il colera nel quartiere di Soho, a Londra, Snow ne studiò la diffusione, utilizzando una piantina della città e la mappatura della diffusione dei casi nei diversi periodi. Questo metodo gli permise di notare che i casi si concentravano attorno ad una pompa dell’acqua presente nel distretto di Soho e di fermare la malattia, bloccando la pompa stessa. Recentemente un gruppo di ricercatori dell’Università di Oxford con sede in Nepal e Vietnam ha avuto un approccio simile per studiare la diffusione del tifo in Nepal: ha infatti combinato il sequenziamento del DNA con le rilevazioni GPS per mappare i casi di tifo ed è riuscito a rintracciare l’origine dei focolai, fornendo così un esempio concreto dei benefici che potremmo ottenere combinando insieme diversi set di dati.
Le più recenti tecniche di sequenziamento del DNA offrono potenti strumenti per identificare le cause delle malattie, aiutare la diagnosi, prevedere le risposte ai trattamenti e determinare quali possano essere le migliori cure per il paziente. Uno studio a livello mondiale, guidato da Dominic Kwiatkwoski, ha ad esempio dimostrato come attraverso queste tecniche si possano affrontare problemi di portata globale, in grado di mettere in pericolo centinaia di migliaia di vite. La diffusione in Cambogia di alcuni parassiti della malaria resistenti al farmaco antimalarico più efficace è stata, infatti, controllata attraverso il monitoraggio genetico dei parassiti stessi.
Se si pensa ai database contenenti dati individuali, tra cui quelli genetici, è inevitabile porsi il problema della privacy, che va affrontato dal punto di vista giuridico per bilanciare le esigenze di trasparenza e la necessità dei soggetti che partecipano alla ricerca di essere tutelati nella loro riservatezza. Tuttavia, l’ingresso dei Big Data nel mondo della farmacologia porta con sé un potenziale grande vantaggio per la salute dell’uomo: il beneficio che ne consegue è legato alla capacità di incrociare enormi masse di dati e analizzare così una quantità ineguagliata di informazioni, riferite a milioni di pazienti e pertanto in grado di consentire analisi di ampia portata mai tentate sinora.
Quella dei Big Data è una disciplina che richiede, in tutte le fasi del processo, l’intervento di strumenti molto più sofisticati rispetto a quelli tradizionali. Se da un lato è vero che l’intelligenza artificiale e quella umana devono completarsi per trasformare i dati in informazioni e le informazioni in conoscenza (passaggi non proprio scontati), su cui si possano prendere delle decisioni a carattere universale, dall’altro la cooperazione tra le intelligenze umane, che non sarà – almeno a breve termine – imitabile da programmi computazionali, è la caratteristica che rende davvero unica la specie umana e che servirà anche per innovare lo sviluppo farmaceutico negli anni a venire.
Luca Pani
Editoriale su agenziafarmaco.gov.it
Un gioco per ogni età. Questo il titolo della guida che il Ministero della Salute ha diffuso per aiutare i genitori a scegliere il regalo più indicato per i propri figli. Questa attenzione perché è importante che il gioco possa assolvere alla sua funzione infatti, ed è necessario che mamma e papà individuino quello in grado di rispondere meglio al bisogno del bambino in relazione alla fase di sviluppo.
I consigli sono destinati ai genitori di bambini dai 0 ai 12 anni, suddivisi per fasce di età.
Nella premessa della guida online del Ministero, si legge:
In occasione delle festività natalizie l’interesse per i giocattoli rapisce l’attenzione di grandi e bambini. I primi perché vorrebbero soddisfare tutti i desideri dei piccoli, i secondi perché attribuiscono ai doni che giungono in questa circostanza un particolare valore “magico”.
Il giocattolo ricevuto a Natale, spesso anticipato da una lettera inviata a Babbo Natale, acquista uno speciale significato soprattutto per i bambini, in quanto implica l’aspettativa di vedere riconosciuto dai propri genitori tutto l’auspicato meritato affetto. È questa la ragione per cui è importante soffermarsi, non solo sull’oggetto da donare, ma anche sul significato che esso assume per grandi e piccoli.
Perché il gioco è una cosa seria?
Perché tutti noi, per l’intero arco di vita, usiamo il gioco come mezzo per esprimere liberamente quello che siamo e quello che vorremmo essere, anche se, man mano che cresciamo, usiamo “giocattoli” diversi. Infatti, qualunque cosa si dica sul gioco dei bambini, vale anche per gli adulti.
Pur essendo considerato un bisogno prevalente dell’infanzia, esso rappresenta una necessità che, se soddisfatta in tempi e modi adeguati, riveste una funzione utile per la costruzione della personalità dell’individuo.
È a questo che serve il gioco?
Non solo! Il gioco aiuta ad acquisire la capacità di fare esperienza. Giocando, impariamo ad esprimere la nostra creatività. E, la creatività ci aiuta a scoprire chi siamo e a prendere coscienza di noi stessi come individui.
È grazie al gioco che si possono muovere i primi passi verso l’esperienza di autonomia dalla madre, cosa che favorisce la crescita del bambino.
Quando pensiamo ad un lattante, ad esempio, dobbiamo sapere che vive in uno stato di fusione con la madre, da cui è totalmente dipendente. Per compiere il difficile viaggio verso l’autonomia, il bambino si serve dei cosiddetti “oggetti transizionali”, la cosiddetta “copertina di Linus”. Un pezzo di stoffa, un pupazzo o semplicemente il pugnetto portato alla bocca o la manina che esplora l’altro seno durante l’allattamento, servono al bambino per capire che esiste un mondo esterno, un mondo nel quale deve approdare.
Ci sono cose particolari che una mamma dovrebbe fare?
La mamma oltre ad allattare, vestire e pulire il bambino, dovrebbe preoccuparsi di fornirgli cure amorevoli e sensibili, grazie alle quali il bambino può acquisire quella fiducia necessaria per creare, attraverso il gioco, il proprio spazio nel mondo, il proprio diritto di essere al mondo.
Come cambia il gioco man mano che il bambino cresce?
Il gioco varia con il variare delle fasi dello sviluppo.
Nel lattante i primi giochi coinvolgono la bocca, le manine, la vista, l’intera superficie del proprio corpo e di quello della madre.Man mano, il bambino comincia a cercare oggetti con caratteristiche simili a quelle della madre, come un orsacchiotto, un cuscino o un golfino.
Successivamente, quando comincia a percepire la presenza di emozioni dentro di sé, il bambino ricerca oggetti che possono essere utilizzati per manifestare i propri sentimenti. Ad esempio, i sentimenti di amore e odio che cominciano ad albergare nella mente del bambino si manifestano attraverso il maltrattamento o il vezzeggiamento dei propri giocattoli, come a voler mettere in scena gli stati d’animo che ancora non riesce a governare.
Pian piano, l’interesse del bambino si orienta verso altri giochi che possono avere a che fare con il riempire/svuotare, aprire/chiudere, costruire/distruggere. Questi giochi, che il bambino può fare usando qualunque oggetto ritrovato in casa, gli consentono l’esplorazione di attività motorie piacevoli.
Da un certo punto in poi, l’attività ludica acquista anche un carattere di godimento e di piacere per la buona riuscita del compito. Ciò implica non solo il piacere di fare bene qualcosa, come costruire un oggetto, fare un disegno, ma anche il piacere che ne deriva dalla possibilità di esibirlo ai propri genitori che dovranno mostrare interesse e apprezzamento.
In conclusione, perché il gioco possa assolvere alla sua funzione, è necessario che mamma e papà individuino i giochi in grado di rispondere al bisogno del bambino in relazione alla fase di sviluppo.
Non è importante il giocattolo in sé (costoso o moderno che sia) ma ciò che esso significa per il bambino: anche semplici oggetti ritrovati in casa (pezzi di stoffa, pentole, coperchi, carta, cartoncini ecc.) possono soddisfarlo e aiutarlo ad esprimere la propria creatività.
(Fonte: Guida online "Giocare aiuta a crescere" del Ministero della Salute)
È calata la spesa farmaceutica territoriale totale, pubblica e privata. Sembrerebbe una buona notizia, ma ciò avviene grazie soprattutto alla riduzione della copertura del Servizio Sanitario, a fronte di un notevole aumento per la spesa per i ticket a carico dei cittadini (+117,3% dal 2008 al 2012).
Lo ha dichiarato uno studio Censis 2013 sulla situazione sociale dell'Italia, rielaborando dati Osmed e Farmindustria. Secondo la ricerca, la spesa totale, pubblica e privata, si sta via via riducendo, attestandosi, nel 2012, a 19.389 milioni di euro, con una calo rispetto al 2008 dell'1,9% e del 5,6% rispetto all'anno precedente.
A fronte della riduzione costante della spesa pubblica, diminuita in termini nominali in un solo anno dell'8%, come si diceva, nel Rapporto si osserva che la spesa privata segue un andamento opposto di crescita costante, pari a +12,3% dal 2008 al 2012. In particolare è aumentata la spesa per ticket sui farmaci, raggiungendo nell'ultimo anno la quota di 1,4 miliardi di euro. È diminuita pertanto la quota di spesa coperta dal SSN, che è passata dal 65,9% del 2008 al 61% del 2012.
“Le dichiarazioni uscite dal Congresso dell’Associazione Italiana Tiroide a proposito dei farmaci equivalenti ripropongono un tipo di argomentazione che a tutto serve salvo che a fare chiarezza” dice Enrique Häusermann, presidente di AssoGenerici. “Per cominciare, non è corretto dire che il generico, in questo caso della tiroxina - ma il discorso vale per qualsiasi medicinale generico - non ha provato la sua equivalenza. L’equivalenza, se il farmaco è stato autorizzato, è già provata in base ai criteri universalmente accettati da tutte le agenzie regolatorie del mondo; se invece si tratta di differenze in ambito clinico, cioè nell’impiego su un vasto numero di pazienti, sarebbe il caso di provarle dati alla mano e non limitarsi a parlare di fantomatiche “segnalazioni di pazienti”. In questo senso” prosegue Häusermann “ben venga il recepimento delle direttive europee sulla farmacovigilanza, che prevedono anche le segnalazioni dell’inefficacia di un farmaco da parte di tutti i soggetti: siamo certi che sulla base di dati documentati gli equivalenti non abbiano nulla da temere”. Quanto all’aspetto della continuità terapeutica, AssoGenerici ha sempre concordato sul fatto che, soprattutto quando si tratta di pazienti particolarmente complessi, è bene proseguire con il farmaco con cui la terapia è stata iniziata con soddisfazione e che i cambiamenti vadano adeguatamente monitorati “ma questo nulla ha a che vedere con il fatto che quando la terapia viene avviata si può cominciare senza timori di sorta con il farmaco equivalente”. AssoGenerici auspica che queste nozioni basilari, che sono patrimonio comune in tutta Europa, vengano finalmente condivise anche dalla comunità medica italiana nella sua interezza.
Fonte assogenerici.org