Sempre più giovani colpiti dalla malattia di Parkinson. Crescono, infatti, i casi in cui la malattia del sistema nervoso insorge in persone al di sotto dei 40 anni di età. «In Italia, 300mila persone sono affette da Parkinson, un numero destinato a raddoppiare nei prossimi 15 anni», hanno specificato gli esperti coinvolti nel meeting “Muoversi, conoscersi, sorridere”, che ha riunito le associazioni di volontariato attive a favore dei malati di Parkinson, coordinate da Parkinson Italia onlus. Nel corso dell’incontro è emerso come l’età d’esordio del Parkinson sia sempre minore: un paziente su 4 ha meno di 50 anni, il 10% ha meno di 40 anni e le famiglie con figli in età scolare, dove uno dei genitori è malato, sono più di 30mila. Inoltre, nei giovani la malattia ha un decorso più veloce e un’aggressività maggiore. Il problema, quindi, non è solo clinico, ma sociale e ha un forte impatto sulla vita di migliaia di famiglie. Oltretutto, sono ancora pochi i centri di cura specializzati e si valuta che il 65% dei malati non riceve cure adeguate alla sua condizione.
Il Parkinson è una malattia neurodegenerativa causata dalla progressiva morte di cellule nervose (neuroni) situate nella cosiddetta “sostanza nera”, una piccola zona del cervello che produce una sostanza detta dopamina, necessaria per controllare i movimenti di tutto il corpo. Chi ha il Parkinson produce sempre meno dopamina, perdendo il controllo del suo corpo. Arrivano così tremori, rigidità, lentezza nei movimenti, fino all’invalidità totale. È stato dimostrato che i sintomi iniziano a manifestarsi quando sono già andati perduti il 50-60% dei neuroni dopaminergici; da qui la necessità di diagnosi precoci e di centri specializzati e competenti, oggi ancora poco diffusi sul territorio.
Purtroppo, tuttora non esiste una cura definitiva ma solo trattamenti sintomatici, che sono, tuttavia, disponibili anche come farmaci generici, quindi medicinali che uniscono efficacia a sicurezza e convenienza.
Uomini in terapia con antidepressivi di seconda generazioni a rischio di maggior “freddezza” verso le loro partner.
A evidenziare questo potenziale effetto farmacologico, a cui le donne sarebbero meno soggette, è stato un team di ricerca italo-statunitense, coordinato dalla psichiatra Donatella Marazziti, del Dipartimento Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Pisa, e pubblicato sulla rivista Journal of affective disorder. «Il nostro studio – spiega Marazziti - era volto a indagare le eventuali modifiche di alcune dinamiche dei rapporti d'amore durante il trattamento a lungo termine della depressione con farmaci antidepressivi di prima generazione, i cosiddetti triciclici, e con quelli di seconda generazione, definiti inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (Ssri)». L'indagine si è svolta tramite un questionario su un campione di 192 pazienti composto da 123 donne e 69 uomini'". «I risultati hanno mostrato che gli antidepressivi più recenti possono avere un impatto sui sentimenti d'amore soprattutto negli uomini, potendo ostacolare l'attaccamento del maschio verso la partner», riferisce la psichiatra toscana. Che sottolinea: «In pratica durante terapia antidepressiva determinarsi un appiattimento affettivo, legato al sesso di appartenenza». Analizzando questo parametro emozionale, gli studiosi hanno osservato nei maschi una più frequente insorgenza di una sorta di apatia verso le partner, maggiore se i farmaci venivano assunti da più tempo. Si tratta, tuttavia, di un’osservazione che dovrà essere confermata da altri studi. E d’altronde la stessa Marazziti evidenzia anche aspetti positivi della ricerca: «Se il rapporto di coppia è stabile e di lunga durata, l'effetto di distacco osservato negli uomini è minore».
La depressione resta comunque una malattia estremamente seria, che vede nell’uso a lungo termine degli antidepressivi un cardine centrale della sua terapia. La disponibilità di farmaci equivalenti rende questa cura, fortunatamente, accessibile a tutti.
«Ormai non è più possibile rimandare un intervento sulla disciplina di generici e biosimilari che metta fine a una serie di incongruenze che non sono questioni formali, ma costano ogni mese milioni di euro al Servizio sanitario nazionale», dice il presidente di AssoGenerici Enrique Häusermann. «Dopo i moniti della Commissione europea, le ripetute pronunce dei giudici amministrativi i costanti richiami dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato in merito alle condizioni di accesso al mercato da parte di imprese produttrici di farmaci generici o biosimilari, non è più possibile mantenere l’attuale assetto normativo». Il presidente di AssoGenerici commenta con queste parole gli interventi registrati negli ultimi giorni su un aspetto cruciale per lo sviluppo del generico: il cosiddetto “patent linkage”, cioè le norme che vincolano l’ammissione al rimborso di un nuovo generico alla scadenza del brevetto del farmaco originale. «A questo proposito, la sentenza emessa dal TAR del Lazio lo scorso 26 giugno è esemplare: non spetta all’AIFA controllare se un brevetto è scaduto o meno, quindi una volta che ha ottenuto l’autorizzazione all’immissione in commercio, deve essere inserito nelle liste di trasparenza», prosegue Häusermann. La sentenza, peraltro, interviene anche su un altro aspetto e cioè la natura stessa della copertura brevettuale, che riguarda soltanto il principio attivo, cioè l’elemento innovativo, e non per esempio l’associazione tra un principio attivo in scadenza e un altro scaduto da tempo, come nel caso esaminato dal TAR del Lazio, che verteva sui generici dell’associazione di un sartano (farmaco contro la pressione alta del sangue), a brevetto scaduto dal 2013, e di un diuretico introdotto addirittura negli anni ‘60. «Se si fossero applicati da subito i principi stabiliti nella sentenza, si sarebbero risparmiati da gennaio a giugno di quest’anno 18 milioni di euro», sottolinea il presidente di AssoGenerici. «Per inciso, la pratica di prolungare la durata dei brevetti attraverso operazioni per così dire cosmetiche era stata da tempo denunciata dalla Commissione Europea. In questo quadro va però apprezzata la rapidità dell’AIFA che ha immediatamente inserito nelle liste di trasparenza i farmaci equivalenti in questione che erano stati “parcheggiati” nella classe C».
Il sole in soccorso della pressione del sangue troppo alta (o ipertensione arteriosa).
Una ricerca, condotta presso l’università di Edinburgo e pubblicata sul Journal of Investigative Dermatology, ha scoperto che i raggi Uva, responsabili di scottature se ci si espone al sole senza adeguate protezioni, hanno anche il benefico effetto di ridurre la pressione arteriosa e il battito cardiaco. In particolare, una volta penetrati nella pelle, sembrano in grado di stimolare il rilascio di una particolare molecola, l’ossido nitrico, che riduce la pressione del sangue, indipendentemente dall'effetto vasodilatatore dovuto al calore.
I ricercatori, che hanno eseguito i test su 24 donne, affermano: «Sono sufficienti 20-30 minuti di esposizione per far calare la pressione di 3-4 millimetri di mercurio. Basti pensare che a una diminuzione di 5 millimetri di mercurio corrisponde una diminuzione del rischio di ictus del 34% e di ischemia del 21%». Lo studio dimostra che un’esposizione al sole naturale, nelle giornate assolate nelle aree del Sud Europa, assicura una dilatazione delle arterie attraverso la pelle. «Questo cambia la nostra valutazione del rapporto rischio/beneficio per l'esposizione al sole», dicono gli autori. E aggiungono: «Una moderata esposizione al sole è benefica per lo sviluppo della vitamina D nelle ossa, ma ora sappiamo che c'è dell'altro. Da evitare però che l'esposizione induca danni profondi, eritemi e scottature che facilitano l'insorgenza di tumori. Si può stare dunque al sole, con moderazione e le adeguate protezioni, senza scottarsi».
Resta comunque il fatto che la terapia dell’ipertensione passa, dopo un adeguato stile di vita con più esercizio fisico e dieta bilanciata, dall’uso di medicinali, disponibili oggi come equivalenti per tutte le diverse classi farmacologiche.
Sono sedici milioni gli italiani che hanno problemi 'sotto le lenzuola' e non si curano. Disfunzioni erettili ed eiaculazione precoce, per gli uomini, calo del desiderio e anorgasmia, per le donne: problemi tanto diffusi, quanto sottaciuti, visto che, dati alla mano la percentuale di chi non ne parla con uno specialista arriva fino al 90%. «In particolare gli uomini hanno difficoltà a rivolgersi a un medico e convivono per anni con questi disagi», spiega Vincenzo Mirone, Segretario Generale della Società Italiana di Urologia (SIU), a margine della presentazione, a Napoli, dei nuovi Dipartimenti per il Benessere di Coppia (DBC), promossi dalla SIU e dall'Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani(AOGOI). Il fatto è che le disfunzioni sessuali «viaggiano sempre in due e difficilmente riguardano solo uno dei due componenti della coppia, tanto che si può parlare di 'danni di coppia'» sottolinea Mirone. «Se ad esempio - prosegue - lui ha una disfunzione erettile, non è difficile che lei lamenti vaginismo. Quando l’uomo soffre di eiaculazione precoce, la donna quasi certamente avrà problemi di anorgasmia». Per questo, «le nuove terapie di coppia si basano su un approccio condiviso. Considerare entrambi i partner cercando di stabilire un dialogo profondo, empatico, e senza reticenze", conferma Antonio Chiàntera, Segretario Nazionale AOGOI, è "un cambiamento rivoluzionario nell'approccio e nella gestione delle più comuni patologie e dei disturbi sessuali».
Un aiuto a queste problematiche può arrivare anche dai farmaci specifici per la disfunzione erettile, oggi disponibili anche come equivalenti e quindi di costo più accessibile, a fronte di una identica efficacia e sicurezza rispetto a quelli di marca.
Circa il 50% delle persone in terapia con le statine, cioè farmaci per abbassare il colesterolo troppo alto nel sangue, non assume il medicinale come dovrebbe o non lo prende affatto, nonostante sia prescritto dal medico. Il risultato è che, secondo uno studio finlandese, un evento cardiovascolare acuto (come l’infarto miocardico o l’ictus) su dieci è dovuto alla mancata assunzione delle statine.
Gli studiosi dell’università di Turku, in Finlandia, hanno scoperto che alcune caratteristiche legate allo stile di vita rendono più probabile la tendenza a non prendere i farmaci prescritti contro il colesterolo. Dopo avere studiato quasi 12.000 persone, i medici finlandesi hanno visto che le persone non obese o in sovrappeso, quelle che non avevano malattie cardiovascolari o che non erano fumatori erano più facilmente propense a non prendere correttamente i farmaci rispetto ai fumatori e agli obesi. Ma come, verrebbe da chiedersi, proprio le persone apparentemente più virtuose sono poi quelle più distratte? «In effetti è così – dicono gli autori dello studio – Chi ha più malattie concomitanti e quindi corre un rischio più elevato di malattie acute cardiovascolari è in genere più attento ai farmaci che deve prendere, come le statine».
Come fare per aumentare l’aderenza alla terapia ai farmaci contro il colesterolo? Una possibile risposta arriva da un altro studio, italiano, condotto in cinque Asl lombarde, che ha mostrato come il ricorso al farmaco equivalente anticolesterolo rispetto a quello di marca consenta una accettazione maggiore della terapia. «Uno dei motivi – spiega il professor Giorgio Colombo coordinatore dello studio – va individuato nel minore costo del farmaco equivalente che può essere acquistato pagando soltanto il ticket e senza ulteriori costi come invece avviene per lo stesso farmaco ma di marca. Questo consente un accesso più ampio alla cura contro il colesterolo che deve essere continuata per un lungo periodo».
Sono un alleato prezioso per la salute, capaci di ridurre i grassi in eccesso nel sangue e prevenire così le malattie cardiovascolari. Si tratta degli acidi grassi omega-3, sostanze di estrazione naturale definite essenziali, in quanto il nostro organismo non è in grado di produrle e che, pertanto, devono essere assunte con la dieta (soprattutto pesce) o attraverso una specifica integrazione. «Gli omega-3 esplicano i loro benefici attraverso vari meccanismi protettivi: riducono i trigliceridi, prevengono o riducono l’ostruzione delle arterie (azioni cosiddette antiaterogene e antitrombotiche) e prevengono le aritmie cardiache», spiega Roberto Volpe, lipidologo e ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) di Roma. «Uno studio condotto dal GISSI (Gruppo Italiano per lo Studio della Sopravvivenza nell'Infarto miocardico) – puntualizza Luigi Tavazzi, Direttore Scientifico di GVM Care & Research e membro del comitato scientifico del GISSI - ha valutato la prevenzione dell’infarto cardiaco testando l’efficacia degli Omega-3 e ha evidenziato che queste molecole riducono del 50% i casi di morte improvvisa nelle persone con malattie cardiache».
Ma per poter svolgere funzioni tanto importanti quanto delicate, queste sostanze devono essere assunte a precise concentrazioni. «Gli omega-3, chiarisce Alessandro Mugelli, Ordinario di Farmacologia, Direttore Dipartimento Neurofarba di Firenze, si trovano in commercio a diverse concentrazioni: gli integratori hanno una concentrazione di acidi grassi polinsaturi inferiore a quella garantita dai farmaci, dove la concentrazione di omega-3 è superiore all’85%, un valore necessario per ottenere i risultati osservati negli studi clinici. È importante – sottolinea Mugelli - utilizzare i farmaci a base di omega-3 perché i risultati positivi degli studi clinici condotti sono stati ottenuti con concentrazioni superiori all’85%». Gli omega-3 sono disponibili anche come farmaci equivalenti che a parità di efficacia e sicurezza, consentono di proteggere cuore e vasi sanguigni a un costo decisamente inferiore rispetto a quelli di marca, aspetto importante per un’ampia azione di prevenzione cardiovascolare, sia a carico del SSN sia se sostenuta dai singoli cittadini.
Non fanno solo risparmiare a parità di efficacia, sicurezza e qualità della cura, ma consentono anche un indirizzamento delle risorse economiche per lo sviluppo di nuove terapie. Sono molti i vantaggi offerti da una più ampia diffusione dei farmaci generici. Come spiega il Centro Studi di AssoGenerici, il tema dell’evoluzione degli investimenti per la ricerca è un aspetto vitale per lo sviluppo della sanità moderna e per la cura delle patologie più gravi.
È solo da un cospicuo impegno in Ricerca e Sviluppo che è possibile attendersi l"individuazione di nuove molecole e la capacità di aggredire in modo efficace anche patologie oggi inguaribili. Un monopolio permanente sui prodotti farmaceutici fornirebbe pochi incentivi alle aziende “griffate” per investire in innovazione e ricerca. Come in tutti i settori, la concorrenza è uno stimolo importante verso l’innovazione.
E’ particolarmente interessante al proposito quanto accade negli USA che sono il paese con il più alto tasso di innovazione farmaceutica globale. Gli “States” rappresentano anche e non a caso il paese che gode di uno dei più alti tassi di penetrazione generica (circa 80% in volume) e che vanta una storia di campagne di sensibilizzazione governative sull’uso degli equivalenti. La maggiore concorrenza nel settore farmaceutico fuori brevetto negli USA, generatasi con una combinazione di leggi sul diritto alla sostituibilità del farmacista, sull’approvazione rapida dell’autorizzazione all’immissione in commercio dei generici, ha portato ad un massiccio aumento degli investimenti in ricerca e sviluppo delle aziende americane. Questo ha determinato conseguentemente, il miglioramento della loro posizione competitiva come innovatori farmaceutici sullo scenario mondiale. L’approvazione di queste disposizioni nella metà degli anni ‘80, corrisponde esattamente al crescere della spesa compita in ricerca e sviluppo negli USA, che risulta significativamente cresciuta come percentuale sul prodotto interno lordo del paese. Un modello da prendere ad esempio.
Arriva una piccola rivoluzione in farmacia. Dal 3 luglio nelle farmacie italiane verrà distribuito direttamente dalle mani del farmacista il foglietto illustrativo dei medicinali che abbiano avuto delle modifiche di natura amministrativa o nuove indicazioni alla modalità d’uso. Perché una rivoluzione? Fino a ieri (per la precisione fino al 2 giugno 2014) qualunque tipo di modifica del foglio illustrativo di un farmaco (non ancora riportata quindi nel documento presente all’interno della confezione) faceva scattare immediatamente un meccanismo complesso che prevedeva: il ritiro di tutti i medicinali presenti nelle farmacie e la sostituzione dei lotti contenenti la documentazione non aggiornata, che andavano distrutti, dato che non è consentito aprire e manomettere la confezione di un medicinale. Un processo articolato, evidentemente costoso in termini di tempo e risorse, nonché moltiplicatore di sprechi, dato che l’imprevisto “cambio di programma” condannava ogni anno una grande dose di confezioni al macero, per motivi di sicurezza.
Con l’entrata in vigore della Determina Aifa 371 del 14 aprile 2014 (“Criteri per l’applicazione delle disposizioni relative allo smaltimento delle scorte dei medicinali”, pubblicata in Gazzetta Ufficiale lo scorso 3 maggio) l’Agenzia ha disciplinato le modalità di attuazione del dettato normativo, stabilendo che il foglio illustrativo aggiornato deve essere consegnato al cittadino direttamente dal farmacista. Come? Semplicemente collegandosi a una banca dati costantemente aggiornata e stampando il nuovo “bugiardino”.
Le Organizzazioni dei Produttori hanno realizzato il “Progetto Farmastampati”, un utile strumento per la gestione delle scorte dei medicinali che hanno subito modifiche al proprio foglio illustrativo, sulla base di quanto stabilito dalla suindicata Determina AIFA. Per informare i cittadini di questa importante innovazione, è stata promossa una Campagna di comunicazione rivolta al pubblico, con la diffusione di una Locandina esplicativa delle motivazioni per cui, all'atto della dispensazione di un farmaco, il farmacista potrebbe consegnare anche una copia del foglio illustrativo aggiornato, sottolineando altresì l'importanza del ruolo professionale del farmacista. E’ possibile scaricare la locandina cliccando qui
«I dati forniti dal rapporto di Farmindustria sul “biotech”, con l’annuncio dell’arrivo di centinaia di nuovi trattamenti, sono incoraggianti anche per noi: significa che in futuro ci saranno altrettante opportunità per i farmaci biosimilari», sostiene Francesco Colantuoni, vicepresidente di AssoGenerici, commentando i dati diffusi dall’associazione che riunisce le industrie del farmaco. «Come emerso chiaramente anche dall’andamento del Congresso annuale della Società Americana di Oncologia Clinica (ASCO) recentemente tenutosi a Chicago – dice Colantuoni - è ormai evidente che in alcuni settori chiave della medicina, come l’oncologia, ma anche l’infettivologia e l’endocrinologia, si sia arrivati a una svolta grazie alle terapie biologiche. E’ però altrettanto evidente che l’arrivo di queste terapie, tanto innovative quanto costose, pone un problema etico centrato sull’accesso alle cure». Trattamenti dal costo pari a centinaia di migliaia di dollari/anno non sono, infatti, facilmente sostenibili. «Anche in Italia, una della principali preoccupazioni dei clinici è riuscire a garantire i nuovi trattamenti al maggior numero di pazienti per i quali sono indicati, stanti le limitazioni dei budget», prosegue il vice presidente di AssoGenerici. «Però, e lo abbiamo visto anche nel corso del nostro Convegno nazionale, a questa preoccupazione non seguono a volte comportamenti coerenti». Se da una parte ci sono specialisti che ricorrono al biosimilare come farebbero con qualsiasi altro medicinale approvato dall’EMA, solo meno costoso dell’originator, quindi più accessibile e capace di liberare risorse da destinare ai nuovi trattamenti, dall’altra ci sono prese di posizione opposte, nelle quali si viene a chiedere di condurre sperimentazioni locali per stabilire se e a quali condizioni sia possibile usare il biosimilare. «Una situazione assurda: se un farmaco biosimilare è registrato come tale è perché ha già superato il vaglio della sperimentazione», afferma Colantuoni. Il vice presidente di AssoGenerici è convinto che le chiavi per orientare l’allocazione delle risorse del Servizio sanitario nazionale siano in mano al medico, il quale ha la possibilità di fare in modo di concentrare la spesa sui trattamenti innovativi pur continuando a garantire i trattamenti consolidati, grazie al ricorso ai biosimilari. «Ma quando si vede che in alcune Regioni la prescrizione di questi medicinali è pari al 40% e in altre al 10% soltanto si ha l’impressione che questa occasione di equità e razionalità la si voglia perdere», conclude Colantuoni.
Mare o montagna, qualunque sia la meta delle vacanza per non rischiare di rovinarsi le ferie è bene non dimenticare di mettere in valigia, oltre alle medicine prescritte dal medico, anche un kit di primo soccorso. Ma quali medicine portare con sé? Un suggerimento arriva da Assosalute, l'Associazione nazionale farmaci di automedicazione. Gli esperti dell'Associazione consigliano di non dimenticare a casa antidolorifici-antinfiammatori e antipiretici; creme e pomate contro le irritazioni della pelle (antistaminici e cortisonici a bassa media potenza); disinfettanti per la gola; farmaci contro la cattiva digestione (antiacidi e pro cinetici); lassativi; melatonina e altri prodotti contro il jet-lag; antidiarroici e anticinetosi (mal di mare, mal d’auto e mal d’aereo). Inoltre, non devono mancare disinfettanti, garze sterili e cerotti. Si tratta di prodotti di automedicazione, per i quali non vige l’obbligo della ricetta e che sono disponibili anche come equivalenti, quindi anche a costi contenuti, ma di uguale qualità ed efficacia.
«È possibile ricorrere all’automedicazione per quei disturbi lievi che si conoscono ormai per comune esperienza - spiega Ornella Cappelli, Past President dell’Associazione Italiana Donne Medico -. Anche durante le vacanze è bene attenersi ad alcune semplici regole per una corretto ricorso ai farmaci di automedicazione: l’impiego non va protratto oltre quanto stabilito dal foglietto illustrativo e se il disturbo non si risolve entro 3-4 giorni è bene rivolgersi a un medico».
Il kit di medicinali deve però essere conservato in maniera adeguata, per non alterarne le caratteristiche. Assosalute suggerisce di evitare forti sbalzi di temperatura verso l’alto o verso il basso (i medicinali vanno conservati a una temperatura intorno ai 25° centigradi, e comunque mai superiore ai 30°); prestare attenzione all'umidità (che può alterare forma e composizione di compresse, capsule e cerotti medicati); non sostituire mai la confezione originale (che oltre a riportare la data di scadenza, aiuta a rendere sempre riconoscibile il farmaco e contiene il foglietto illustrativo), e comunque tenere i farmaci fuori dalla portata dei bambini.
«I biosimilari sono un’occasione unica per smentire la convinzione che quanto più una cura è innovativa, tanto più è ristretta la platea dei pazienti che possono accedervi, per operare una sintesi tra scelte razionali dal punto di vista economico e scelte di equità nell’accesso alle cure». Così il vicepresidente di AssoGenerici, Francesco Colantuoni, sintetizza l’andamento della tavola rotonda che ha caratterizzato il pomeriggio del Convegno nazionale di AssoGenerici. Per cogliere l’opportunità offerta dai biosimilari di coniugare cure innovative a costi contenuti, però, serve un’informazione non viziata da preconcetti sui requisiti di sicurezza ed efficacia di questi medicinali, così come una maggiore pubblicità dei dati raccolti in questi primi anni di impiego. «Va ricordato, a questo proposito, che nel database di farmacovigilanza dei biosimilari istituito dall’AIFA (Agenzia italiana del farmaco) a oggi non risulta alcuna segnalazione che metta anche solo in discussione le caratteristiche di sicurezza di questi farmaci», sottolinea Colantuoni. Che conclude: «E’ importante che i medici, a cui spetta la scelta dei trattamenti, comprendano l’importanza di linee guida che tengano conto della disponibilità dei biosimilari, ampiamente utilizzati in altre realtà europee, come in Gran Bretagna e in Germania, dove alcune molecole, rappresentano il 70% delle prescrizioni».
Un farmaco biosimilare è un farmaco biologico (cioè prodotto con tecniche biologiche e non chimiche) sviluppato per essere simile (non identico) a un medicinale biologico di riferimento, per il quale sia scaduta la copertura brevettuale. Il principio attivo di un biosimilare e del suo farmaco di riferimento sono essenzialmente la stessa sostanza biologica, ma potrebbero esserci differenze di minore entità a causa della natura complessa delle molecole e dei metodi di produzione, che, tuttavia, sono ininfluenti su sicurezza ed efficacia.
L’Italia è tra i paesi europei quello con i livelli più elevati di resistenza agli antibiotici, un fenomeno che rischia di 'spuntare' le uniche armi a nostra disposizione contro le infezioni sostenute dai microbi. L’aumento dell’antibiotico-resistenza si osserva in realtà un po’ in tutti i paesi del Vecchio Continente, ma all’Italia spetta la maglia nera. Sono i dati resi noto dall'Istituto Superiore di Sanità (Iss), provenienti dall’Europa e forniti dalla rete di sorveglianza EARS-Net. La fotografia che ne emerge è poco confortante: nel giro di 4 anni due specie di batteri molto diffusi, Escherichia coli (responsabile di gastroenteriti anche molto gravi e infezioni urinarie) e Klebsiella pneumoniae (capace di indurre quadri di polmonite severi, specialmente in ospedale) sono diventati sempre più insensibili agli antibiotici.
Un quadro - sottolinea l'Iss - che mostra la necessità di tenere alta la guardia su questo fenomeno, mettendo in atto iniziative volte a mantenere il più a lungo possibile l’efficacia di questi preziosi medicinali nel trattamento delle infezioni.
I due 'supebatteri' sotto sorveglianza mostrano un aumento nelle percentuali di resistenza alle cefalosporine di terza generazione, fluorochinoloni ed aminoglicosidi. Negli ultimi anni tra le resistenze si è aggiunta anche quella ai carbapenemi, antibiotici di ultima frontiera di norma impiegati nei reparti ospedalieri.
L'antibiotico-resistenza, sottolinea l'Iss, "non è uniforme nei Paesi dell'Unione europea, ma è maggiore al sud e nell'est Europa, tra cui soprattutto l’Italia". Il fenomeno nel nostro paese è monitorato dal progetto Ar-Iss, una sorveglianza sentinella coordinata dall’Iss, che riversa i dati nel progetto di sorveglianza europea Ears-Net. Sono necessari, indica l'Istituto, interventi multi-settoriali che riguardano un uso più attento degli antibiotici e strategie di controllo delle infezioni in tutti gli ambiti dell’assistenza sanitaria (ospedali per acuti, lungodegenti, strutture territoriali e cure ambulatoriali).
Il messaggio degli esperti è, quindi, ok agli antibiotici, ma a patto che siano davvero necessari e vengano usati contro i batteri sensibili. In queste circostanze i molti preparati equivalenti disponibili rappresentano la scelta migliore per combattere le infezioni efficacemente e vantaggiosamente da un punto di vista economico.
Vitamina D sempre più al centro dell’attenzione dei medici. Si moltiplicano le ricerche che stanno svelando i molti e talvolta inattesi effetti benefici di questo micronutriente, al di là del noto ruolo di rinforzo delle ossa. Qualche esempio? Al recente congresso della Società italiana di diabetologia, tenutosi a Bologna, sono stati presentati studi che dimostrano come la vitamina D e i suoi derivati siano in grado, nelle persone affette da diabete, di proteggere il rene dai danni dovuti all’eccessiva quantità di zucchero nel sangue. Ma non sono solo i reni a ringraziare questo prezioso alleato.
La vitamina D sembrerebbe anche capace di dare un valido supporto all'apparato respiratorio contro l'asma e la tubercolosi. Una recentissima ricerca condotta dalla Washington University School of Medicine, di St. Louis (Missouri) su 402 adulti con asma, trattati con farmaci specifici per la malattia, ha riscontrato come le persone che avevano ricevuto vitamina D e nelle quali i livelli del microelemento nel sangue erano aumentati sopra un cero valore soglia, avessero un miglioramento del controllo della malattia, con una riduzione di quasi il 50% del numero di attacchi acuti.
Per quanto riguarda la tubercolosi, malattia che sta ritornando con una certa frequenza anche in Italia, diversi studi dimostrano come la supplementazione con vitamina D migliori l’efficacia delle cure e velocizzi la convalescenza dei malati. Sembra, poi, che basse quantità di vitamina D siano implicate anche nello sviluppo delle allergie. Ma la vitamina D sembra essere amica anche del cuore. Molte ricerche in corso stanno osservando come i deficit di questo microelemento si associno a un aumentato rischio di malattie cardiocircolatorie, dall’infarto, all’insufficienza cardiaca, all’occlusione delle arterie periferiche. La carenza di vitamina D è stata anche associata al decadimento delle funzioni cognitive nelle persone anziane e sembra essere in grado di dare una mano nel controllare il peso corporeo in eccesso. Insomma un vero elisir di salute. Nei casi di carenza del microelemento può essere necessario ricorrere a supplementazioni che oggi possono essere effettuate con farmaci equivalenti grazie ai quali si uniscono qualità delle cure e costi contenuti.
La bronchite cronica (più esattamente broncopneumopatia cronica ostruttiva o Bpco) si combatte oltre che con i farmaci anche a tavola. Uno studio presentato alla conferenza internazionale dell'American Thoracic Society di San Diego ha mostrato come una dieta ricca di pesce, banane, pompelmi e formaggio migliori lo stato di salute delle persone colpite dalla grave malattia respiratoria, che nel nostro paese interessa oltre il 6% della popolazione e più del 50 % dei maschi fumatori di età superiore ai 60 anni e che rappresenta la quarta causa di morte. «La dieta è un potenziale fattore di rischio modificabile per lo sviluppo e la progressione di molte malattie – afferma Corinne Hanson, università di Omaha, in Nebraska, autrice principale della ricerca - e oggi abbiamo le prove che l'alimentazione giochi un ruolo sia nello sviluppo sia nelle caratteristiche cliniche della Bpco».
Hanson e colleghi hanno analizzato i dati relativi a più di 2 mila individui che nel corso di 3 anni sono stati sottoposti a valutazioni della funzionalità polmonare, della capacità di esercizio fisico e della qualità della vita attraverso analisi strumentali, questionari specifici e misurazione di marker di infiammazione. Ogni partecipante ha fornito ai ricercatori informazioni dettagliate sul consumo di alcuni alimenti specifici delle 24 ore precedenti alle valutazioni a cui venivano sottoposti. E' stato così scoperto che indipendentemente dall'età, dal sesso di appartenenza, dall'indice di massa corporea (una misura della condizione o meno di sovrappeso o obesità) e dall'essere o meno fumatori, mangiare pesce, pompelmi, banane e formaggi migliora la funzionalità respiratoria, contrasta i sintomi della malattia e riduce i livelli di alcuni marcatori dell'infiammazione associati al malfunzionamento dei polmoni, come il numero di globuli bianchi e la proteina c reattiva.
La dieta può essere quindi un aiuto alle terapie farmacologiche che nel caso della Bpco si basano sull’uso di medicinali per via inalatoria, in grado di indurre la dilatazione delle vie aeree e di contrastare l’infiammazione, disponibili anche come farmaci equivalenti, di pari efficacia e qualità rispetto a quelli griffati, ma con in più il beneficio non trascurabile di un costo decisamente inferiore.
«Dal 2000 a oggi i farmaci equivalenti e i biosimilari hanno prodotto risparmi per oltre 4 miliardi di euro». E’ quanto ha ricordato il presidente di AssoGenerici, Enrique Häusermann, a Roma, in apertura del V Convegno dell’associazione, che raggruppa le aziende produttrici dei medicinali equivalenti e biosimilari. Un bilancio, dunque, estremamente positivo che si traduce in un vantaggio per il Servizio Sanitario Nazionale, come riconosciuto recentemente anche da un’indagine conoscitiva della Camera. «Ma attenzione – avverte Häusermann - se i risparmi generati non rimangono nel settore, non servono ad ampliare l’accesso alle cure dei pazienti o a coprire i costi dei nuovi farmaci che arriveranno sul mercato e nessuno sarà realmente incentivato ad usare i generici, e ancor più i biosimilari, per avere a disposizione nuove risorse».
AssoGenerici dà atto al ministro della Salute Beatrice Lorenzin di essersi adoperata a favore di un’evoluzione in senso europeo della spesa farmaceutica nazionale, ma constata che ancora permangono alcuni ostacoli a una diffusione fisiologica di equivalenti e biosimilari in Italia. «Il primo è il meccanismo del cosiddetto payback, per cui le aziende produttrici di farmaci devono rifondere lo stato per la quota eccedente il tetto di spesa fissato per ogni azienda – spiega il presidente Häusermann – Si tratta di un meccanismo che diventa paradossale per i farmaci ospedalieri perché nel canale ospedaliero gli acquisti dei farmaci avvengono attraverso il meccanismo delle gare e la responsabilità degli sforamenti è perciò interamente da attribuirsi alle regioni e alla determinazione di un tetto non congruo». Ma Häusermann chiede anche al Governo di accelerare, durante il semestre di presidenza italiana del parlamento europeo, sull’iter di approvazione della proposta per una maggiore trasparenza dei criteri con cui vengono stabiliti il prezzo e il livello di rimborso dei farmaci. «Chiediamo in particolare il divieto di collegare la scadenza del brevetto alla contrattazione sul prezzo di rimborso, principio che oggi vige in Italia e che ostacola l’ingresso dei generici sul mercato al momento della effettiva scadenza del brevetto», sottolinea il presidente di AssoGenerici. Che conclude: «Non pretendo che i farmaci equivalenti e i biosimilari rappresentino la soluzione a tutte le criticità del Servizio sanitario, ma certamente non esiste una soluzione reale che non consideri il ruolo di queste risorse fondamentali non soltanto per ridurre la spesa, ma soprattutto per rendere più equo l’accesso alle cure”
Un paziente su quattro non assume correttamente i farmaci anti-ipertensione, esponendosi a un alto rischio di ictus e infarto. A rivelarlo uno studio pubblicato sulla rivista Heart e curato da un gruppo di scienziati degli University Hospitals of Leicester NHS Trust e della University of Leicester nel Regno Unito.
Gli scienziati hanno analizzato i campioni di urine di 208 pazienti con pressione alta testandoli alla ricerca dei più comuni farmaci ipertensivi. Complessivamente, il 25 per cento dei pazienti non prendeva il farmaco in modo corretto (di rado o per niente per lunghi periodi), il 10 per cento non lo prendeva sistematicamente e il 15 lo aveva assunto correttamente solo per un breve periodo di tempo.
I ricercatori hanno anche scoperto che, nella maggior parte dei casi, i pazienti tendevano a non assumere farmaci per il controllo della pressione sanguigna perché l'ipertensione è un tipo di malattia che spesso non si manifesta con sintomi evidenti. Ma un’altra delle cause della mancata assunzione delle pillole contro la pressione alta è il costo dei farmaci di marca. Il ricorso ai farmaci equivalenti consentirebbe un risparmio notevole e quindi la possibilità, anche per le fasce meno abbienti della popolazione, di curarsi con continuità contro una malattia come l’ipertensione che purtroppo non può essere guarita ma solo controllata.
Mentre la popolazione europea invecchia e richiede sempre maggiori cure dal sistema sanitario, l’Europa sta affrontando la necessità di approntare un piano condiviso di rientro dagli enormi costi sostenuti progressivamente dai sistemi sanitari nazionali. L"aumento dell"uso dei farmaci generici offre una soluzione parziale al problema.
Secondo alcuni studi del Comitato di Politica Economica dell’UE (“Le sfide di bilancio poste dall’invecchiamento della popolazione”) dato il numero crescente di anziani tra la popolazione europea, il numero di cittadini in età lavorativa che contribuiscono al finanziamento dei sistemi di welfare nazionali sta rapidamente diminuendo, mentre, nel contempo, aumenta la popolazione di anziani. Si stima che nell’UE, entro il 2050, ci saranno soltanto due cittadini in età lavorativa per ogni anziano, anziché i quattro attuali.
L’aumento del numero di beneficiari dei servizi pubblici di assistenza sanitaria, insieme alla diminuzione di quelli che contribuiscono economicamente al finanziamento di tali sistemi, va a sommarsi al fatto che i cittadini europei ultra sessantacinquenni rappresentano il 30% - 40% della spesa sanitaria - molto più di qualunque altro gruppo della popolazione. Una situazione, questa, pressoché identica in tutti i paesi europei. Il rapporto del comitato di Politica Economica suona l’allarme e avverte le istituzioni che la spesa sanitaria continuerà a crescere, aumentando del 4% - 8% sul PIL durante i prossimi decenni e sottolinea che “…l"effetto di bilancio dato dall’invecchiamento della popolazione renderà ancor più difficile il rispetto dei requisiti del patto di stabilità.”
Una soluzione facilmente disponibile per queste problematiche può essere trovata, almeno in parte, nell"aumento dell"uso dei farmaci generici.
E’ un fungo molto comune che normalmente coabita con il nostro organismo senza grossi problemi, ma qualche volta può rovinare la serenità di coppia e minare lo stato di salute. Si tratta della Candida albicans, microrganismo responsabile della candidosi, che, se localizzata a livello vaginale, rappresenta uno dei più diffusi disturbi della sfera ginecologica, tanto da interessare quasi il 70% delle donne. Questa micosi (cioè un’infezione sostenuta dai funghi) costringe nell’80% dei casi a rinunciare ai rapporti sessuali, a causa di sintomi come prurito intimo, dolore e perdite. In una percentuale simile (83%) la micosi va a minare la qualità della vita nel suo complesso. È la fotografia scattata da un sondaggio online svolto su tremila partecipanti e promosso dalla , nell’ambito della campagna nazionale sui disturbi femminili. «La candida è un problema fastidioso che interessa sempre più donne ma anche uomini - afferma Paolo Scollo, presidente della Sigo -. Il 76% delle italiane afferma che anche il partner ha avuto problemi con l’infezione micotica. Il disturbo, se non curato, può essere trasmesso e crea il cosiddetto effetto 'ping pong' nella coppia, in cui i partner continuano a “passarsi” a vicenda l’infezione».
Ma perché può scatenarsi questa infezione? Le cause vanno ricercate nello stress, in un calo delle difese immunitarie, nell’uso di indumenti eccessivamente stretti e di biancheria non idonea. Per quanto si tratti di un disturbo estremamente comune che colpisce almeno una volta nella vita il 70% delle donne, il 28% delle adolescenti e il 25% delle italiane in gravidanza, solo il 10% delle intervistate dalla SIGO è a conoscenza del fatto che la causa sia un fungo. «La candida è il principale motivo di una visita ginecologica su quattro da parte di donne in età fertile - sottolinea il professore - Per questo la nostra Società scientifica sta conducendo la prima campagna nazionale di informazione, promuovendo la corretta igiene intima e l’utilizzo di soluzioni capaci di sconfiggerla».
La terapia si basa principalmente sui farmaci antimicotici locali e per bocca, disponibili come farmaco equivalente, il che significa la possibilità di una cura efficace a basso costo.
In calo la spesa farmaceutica convenzionata, quella cioè che passa dalle farmacie del territorio, ma aumenta l’esborso dei cittadini per i farmaci di marca. A livello nazionale, fa sapere Federfarma - la Federazione nazionale unitaria dei titolari di farmacia - il primo trimestre di quest’anno ha fatto registrare una riduzione del 2,9% sullo stesso periodo del 2013, confermando così una tendenza osservata da sette anni a questa parte. Ma continua, anche se attenuata, la tendenza all’aumento del numero delle ricette, cresciuto del +0,6%, mentre nel 2013 l’aumento era stato pari al +2,6%. Nel periodo gennaio-marzo 2014 le ricette sono state oltre 158 milioni, pari a 2,65 ricette per ciascun cittadino. Le confezioni di medicinali erogate a carico del SSN sono state oltre 291 milioni, con un aumento del +0,6% rispetto al 2013. Ogni cittadino italiano ha ritirato in farmacia in media 4,9 confezioni di medicinali a carico del SSN.
L’andamento della spesa nei primi mesi del 2014 è influenzato dal calo del valore medio netto delle ricette (-3,4%): vengono, cioè, erogati a carico del SSN farmaci di costo sempre più basso. Il prezzo medio dei medicinali prescritti in regime di SSN è diminuito del 21,6% negli ultimi 5 anni.
A questa situazione fa da contraltare una maggiore compartecipazione alla spesa farmaceutica da parte dei cittadini italiani, che è passata dal 12,4% di marzo 2013 al 13,2% di marzo 2014 a seguito degli interventi regionali sui ticket e soprattutto del crescente ricorso dei connazionali ai medicinali di marca più costosi, con conseguente pagamento della differenza di prezzo rispetto all’equivalente di prezzo più basso. Complessivamente i cittadini hanno pagato oltre 374 milioni di ticket sui farmaci, di cui più del 62% (dati Agenzia italiana del farmaco, AIFA) dovuto alla differenza di prezzo rispetto al farmaco equivalente meno costoso. Letto da un altro punto di vista questo significa che se gli italiani avessero scelto l’equivalente avrebbero risparmiato circa 232 milioni di euro per curarsi con uguale efficacia e sicurezza.