La bronchite cronica (più esattamente broncopneumopatia cronica ostruttiva o Bpco) si combatte oltre che con i farmaci anche a tavola. Uno studio presentato alla conferenza internazionale dell'American Thoracic Society di San Diego ha mostrato come una dieta ricca di pesce, banane, pompelmi e formaggio migliori lo stato di salute delle persone colpite dalla grave malattia respiratoria, che nel nostro paese interessa oltre il 6% della popolazione e più del 50 % dei maschi fumatori di età superiore ai 60 anni e che rappresenta la quarta causa di morte. «La dieta è un potenziale fattore di rischio modificabile per lo sviluppo e la progressione di molte malattie – afferma Corinne Hanson, università di Omaha, in Nebraska, autrice principale della ricerca - e oggi abbiamo le prove che l'alimentazione giochi un ruolo sia nello sviluppo sia nelle caratteristiche cliniche della Bpco».
Hanson e colleghi hanno analizzato i dati relativi a più di 2 mila individui che nel corso di 3 anni sono stati sottoposti a valutazioni della funzionalità polmonare, della capacità di esercizio fisico e della qualità della vita attraverso analisi strumentali, questionari specifici e misurazione di marker di infiammazione. Ogni partecipante ha fornito ai ricercatori informazioni dettagliate sul consumo di alcuni alimenti specifici delle 24 ore precedenti alle valutazioni a cui venivano sottoposti. E' stato così scoperto che indipendentemente dall'età, dal sesso di appartenenza, dall'indice di massa corporea (una misura della condizione o meno di sovrappeso o obesità) e dall'essere o meno fumatori, mangiare pesce, pompelmi, banane e formaggi migliora la funzionalità respiratoria, contrasta i sintomi della malattia e riduce i livelli di alcuni marcatori dell'infiammazione associati al malfunzionamento dei polmoni, come il numero di globuli bianchi e la proteina c reattiva.
La dieta può essere quindi un aiuto alle terapie farmacologiche che nel caso della Bpco si basano sull’uso di medicinali per via inalatoria, in grado di indurre la dilatazione delle vie aeree e di contrastare l’infiammazione, disponibili anche come farmaci equivalenti, di pari efficacia e qualità rispetto a quelli griffati, ma con in più il beneficio non trascurabile di un costo decisamente inferiore.
«Dal 2000 a oggi i farmaci equivalenti e i biosimilari hanno prodotto risparmi per oltre 4 miliardi di euro». E’ quanto ha ricordato il presidente di AssoGenerici, Enrique Häusermann, a Roma, in apertura del V Convegno dell’associazione, che raggruppa le aziende produttrici dei medicinali equivalenti e biosimilari. Un bilancio, dunque, estremamente positivo che si traduce in un vantaggio per il Servizio Sanitario Nazionale, come riconosciuto recentemente anche da un’indagine conoscitiva della Camera. «Ma attenzione – avverte Häusermann - se i risparmi generati non rimangono nel settore, non servono ad ampliare l’accesso alle cure dei pazienti o a coprire i costi dei nuovi farmaci che arriveranno sul mercato e nessuno sarà realmente incentivato ad usare i generici, e ancor più i biosimilari, per avere a disposizione nuove risorse».
AssoGenerici dà atto al ministro della Salute Beatrice Lorenzin di essersi adoperata a favore di un’evoluzione in senso europeo della spesa farmaceutica nazionale, ma constata che ancora permangono alcuni ostacoli a una diffusione fisiologica di equivalenti e biosimilari in Italia. «Il primo è il meccanismo del cosiddetto payback, per cui le aziende produttrici di farmaci devono rifondere lo stato per la quota eccedente il tetto di spesa fissato per ogni azienda – spiega il presidente Häusermann – Si tratta di un meccanismo che diventa paradossale per i farmaci ospedalieri perché nel canale ospedaliero gli acquisti dei farmaci avvengono attraverso il meccanismo delle gare e la responsabilità degli sforamenti è perciò interamente da attribuirsi alle regioni e alla determinazione di un tetto non congruo». Ma Häusermann chiede anche al Governo di accelerare, durante il semestre di presidenza italiana del parlamento europeo, sull’iter di approvazione della proposta per una maggiore trasparenza dei criteri con cui vengono stabiliti il prezzo e il livello di rimborso dei farmaci. «Chiediamo in particolare il divieto di collegare la scadenza del brevetto alla contrattazione sul prezzo di rimborso, principio che oggi vige in Italia e che ostacola l’ingresso dei generici sul mercato al momento della effettiva scadenza del brevetto», sottolinea il presidente di AssoGenerici. Che conclude: «Non pretendo che i farmaci equivalenti e i biosimilari rappresentino la soluzione a tutte le criticità del Servizio sanitario, ma certamente non esiste una soluzione reale che non consideri il ruolo di queste risorse fondamentali non soltanto per ridurre la spesa, ma soprattutto per rendere più equo l’accesso alle cure”
Un paziente su quattro non assume correttamente i farmaci anti-ipertensione, esponendosi a un alto rischio di ictus e infarto. A rivelarlo uno studio pubblicato sulla rivista Heart e curato da un gruppo di scienziati degli University Hospitals of Leicester NHS Trust e della University of Leicester nel Regno Unito.
Gli scienziati hanno analizzato i campioni di urine di 208 pazienti con pressione alta testandoli alla ricerca dei più comuni farmaci ipertensivi. Complessivamente, il 25 per cento dei pazienti non prendeva il farmaco in modo corretto (di rado o per niente per lunghi periodi), il 10 per cento non lo prendeva sistematicamente e il 15 lo aveva assunto correttamente solo per un breve periodo di tempo.
I ricercatori hanno anche scoperto che, nella maggior parte dei casi, i pazienti tendevano a non assumere farmaci per il controllo della pressione sanguigna perché l'ipertensione è un tipo di malattia che spesso non si manifesta con sintomi evidenti. Ma un’altra delle cause della mancata assunzione delle pillole contro la pressione alta è il costo dei farmaci di marca. Il ricorso ai farmaci equivalenti consentirebbe un risparmio notevole e quindi la possibilità, anche per le fasce meno abbienti della popolazione, di curarsi con continuità contro una malattia come l’ipertensione che purtroppo non può essere guarita ma solo controllata.
Mentre la popolazione europea invecchia e richiede sempre maggiori cure dal sistema sanitario, l’Europa sta affrontando la necessità di approntare un piano condiviso di rientro dagli enormi costi sostenuti progressivamente dai sistemi sanitari nazionali. L"aumento dell"uso dei farmaci generici offre una soluzione parziale al problema.
Secondo alcuni studi del Comitato di Politica Economica dell’UE (“Le sfide di bilancio poste dall’invecchiamento della popolazione”) dato il numero crescente di anziani tra la popolazione europea, il numero di cittadini in età lavorativa che contribuiscono al finanziamento dei sistemi di welfare nazionali sta rapidamente diminuendo, mentre, nel contempo, aumenta la popolazione di anziani. Si stima che nell’UE, entro il 2050, ci saranno soltanto due cittadini in età lavorativa per ogni anziano, anziché i quattro attuali.
L’aumento del numero di beneficiari dei servizi pubblici di assistenza sanitaria, insieme alla diminuzione di quelli che contribuiscono economicamente al finanziamento di tali sistemi, va a sommarsi al fatto che i cittadini europei ultra sessantacinquenni rappresentano il 30% - 40% della spesa sanitaria - molto più di qualunque altro gruppo della popolazione. Una situazione, questa, pressoché identica in tutti i paesi europei. Il rapporto del comitato di Politica Economica suona l’allarme e avverte le istituzioni che la spesa sanitaria continuerà a crescere, aumentando del 4% - 8% sul PIL durante i prossimi decenni e sottolinea che “…l"effetto di bilancio dato dall’invecchiamento della popolazione renderà ancor più difficile il rispetto dei requisiti del patto di stabilità.”
Una soluzione facilmente disponibile per queste problematiche può essere trovata, almeno in parte, nell"aumento dell"uso dei farmaci generici.
E’ un fungo molto comune che normalmente coabita con il nostro organismo senza grossi problemi, ma qualche volta può rovinare la serenità di coppia e minare lo stato di salute. Si tratta della Candida albicans, microrganismo responsabile della candidosi, che, se localizzata a livello vaginale, rappresenta uno dei più diffusi disturbi della sfera ginecologica, tanto da interessare quasi il 70% delle donne. Questa micosi (cioè un’infezione sostenuta dai funghi) costringe nell’80% dei casi a rinunciare ai rapporti sessuali, a causa di sintomi come prurito intimo, dolore e perdite. In una percentuale simile (83%) la micosi va a minare la qualità della vita nel suo complesso. È la fotografia scattata da un sondaggio online svolto su tremila partecipanti e promosso dalla , nell’ambito della campagna nazionale sui disturbi femminili. «La candida è un problema fastidioso che interessa sempre più donne ma anche uomini - afferma Paolo Scollo, presidente della Sigo -. Il 76% delle italiane afferma che anche il partner ha avuto problemi con l’infezione micotica. Il disturbo, se non curato, può essere trasmesso e crea il cosiddetto effetto 'ping pong' nella coppia, in cui i partner continuano a “passarsi” a vicenda l’infezione».
Ma perché può scatenarsi questa infezione? Le cause vanno ricercate nello stress, in un calo delle difese immunitarie, nell’uso di indumenti eccessivamente stretti e di biancheria non idonea. Per quanto si tratti di un disturbo estremamente comune che colpisce almeno una volta nella vita il 70% delle donne, il 28% delle adolescenti e il 25% delle italiane in gravidanza, solo il 10% delle intervistate dalla SIGO è a conoscenza del fatto che la causa sia un fungo. «La candida è il principale motivo di una visita ginecologica su quattro da parte di donne in età fertile - sottolinea il professore - Per questo la nostra Società scientifica sta conducendo la prima campagna nazionale di informazione, promuovendo la corretta igiene intima e l’utilizzo di soluzioni capaci di sconfiggerla».
La terapia si basa principalmente sui farmaci antimicotici locali e per bocca, disponibili come farmaco equivalente, il che significa la possibilità di una cura efficace a basso costo.
In calo la spesa farmaceutica convenzionata, quella cioè che passa dalle farmacie del territorio, ma aumenta l’esborso dei cittadini per i farmaci di marca. A livello nazionale, fa sapere Federfarma - la Federazione nazionale unitaria dei titolari di farmacia - il primo trimestre di quest’anno ha fatto registrare una riduzione del 2,9% sullo stesso periodo del 2013, confermando così una tendenza osservata da sette anni a questa parte. Ma continua, anche se attenuata, la tendenza all’aumento del numero delle ricette, cresciuto del +0,6%, mentre nel 2013 l’aumento era stato pari al +2,6%. Nel periodo gennaio-marzo 2014 le ricette sono state oltre 158 milioni, pari a 2,65 ricette per ciascun cittadino. Le confezioni di medicinali erogate a carico del SSN sono state oltre 291 milioni, con un aumento del +0,6% rispetto al 2013. Ogni cittadino italiano ha ritirato in farmacia in media 4,9 confezioni di medicinali a carico del SSN.
L’andamento della spesa nei primi mesi del 2014 è influenzato dal calo del valore medio netto delle ricette (-3,4%): vengono, cioè, erogati a carico del SSN farmaci di costo sempre più basso. Il prezzo medio dei medicinali prescritti in regime di SSN è diminuito del 21,6% negli ultimi 5 anni.
A questa situazione fa da contraltare una maggiore compartecipazione alla spesa farmaceutica da parte dei cittadini italiani, che è passata dal 12,4% di marzo 2013 al 13,2% di marzo 2014 a seguito degli interventi regionali sui ticket e soprattutto del crescente ricorso dei connazionali ai medicinali di marca più costosi, con conseguente pagamento della differenza di prezzo rispetto all’equivalente di prezzo più basso. Complessivamente i cittadini hanno pagato oltre 374 milioni di ticket sui farmaci, di cui più del 62% (dati Agenzia italiana del farmaco, AIFA) dovuto alla differenza di prezzo rispetto al farmaco equivalente meno costoso. Letto da un altro punto di vista questo significa che se gli italiani avessero scelto l’equivalente avrebbero risparmiato circa 232 milioni di euro per curarsi con uguale efficacia e sicurezza.
“L’appropriatezza delle prescrizioni e la diffusione dei farmaci equivalenti al posto dei più cari griffati, possono rappresentare un veicolo importante per risparmiare a livello regionale milioni di euro e far registrare un netto calo della spesa farmaceutica”. Lo ha dichiarato Mario Abbruzzese, vicepresidente della 8° Commissione Sviluppo Economico, Lavoro e Piccole e Medie Imprese e consigliere della Regione Lazio.
“Sfogliando le pagine dei quotidiani in questi giorni, sono sempre più convinto della fondatezza di tale teoria e che essa debba essere messa in pratica al più presto”, continua il politico. Abruzzese cita come dimostrazione pratica della possibilità di risparmio attraverso la diffusione dei farmaci generici la performance della Regione Veneto che con questa filosofia ha registrato nel 2013 un risparmio pari al 2,9 % rispetto agli stessi dati del 2012. Che tradotto in cifre significa circa 16 milioni e 349mila euro. “E’ importante in questo delicato periodo storico, fatto di tagli e razionalizzazione delle spese, riuscire a fornire ai cittadini servizi che non vadano a pesare sul loro budget economico – sottolinea Abruzzese -. Pertanto, considerati i dati palesati dalla stampa in questi giorni, credo sia opportuno attivarsi per mettere in piedi un piano di lavoro concertato con farmacisti, medici di base e ad altri professionisti del settore, al fine di procedere alla stesura di una programmazione che possa garantire un calo della spesa farmaceutica. Tale iniziativa, che di certo non graverebbe sulle tasche dei cittadini, può risultare fondamentale e potrebbe produrre effetti positivi anche sul piano di rientro per il deficit sanitario”. Nell’Abruzzese-pensiero la buona politica ha il dovere di prendere spunto dalle esperienze positive degli altri enti non perdendo, tuttavia, di vista le necessità e le peculiarità del territorio che si è demandati ad amministrare. “Spero, dunque, che il presidente della Regione Lazio, Zingaretti, tenga conto di questo appello e che al più presto si metta all’opera in tal senso”, conclude Abbruzzese. Un’iniziativa che il politico laziale spera venga estesa a tutto il territorio nazionale, nel nome di una razionalizzazione intelligente delle sempre più risicate risorse oggi a disposizione della sanità italiana.
“Lo sviluppo e l'utilizzo dei farmaci biosimilari rappresentano un'opportunità essenziale per l'ottimizzazione dell'efficienza dei sistemi sanitari e assistenziali, avendo la potenzialità di soddisfare una crescente domanda di salute, in termini sia di efficacia e di personalizzazione delle terapie, sia di sicurezza d'impiego". E' quanto riporta l'Agenzia italiana del farmaco in un 'position paper' sul tema dei farmaci biosimilari pubblicato sul sito dell'autorità regolatoria.
"L'Aifa - si legge in una nota - ha pubblicato un documento sui farmaci biosimilari che fornisce agli operatori sanitari e ai cittadini informazioni sulla definizione e sui principali criteri di caratterizzazione dei medicinali biologici e biosimilari, sulle normative regolatorie vigenti in Ue e sul ruolo dei biosimilari nella sostenibilità economica del Servizio sanitario nazionale. Il documento è stato prodotto allo scopo di promuovere la conoscenza e l'utilizzo di questi farmaci, in considerazione dell'importanza che i medicinali biologici, inclusi i biosimilari, rivestono per il trattamento di numerose patologie gravi e potenzialmente letali, per molte delle quali in passato non era disponibile alcuna opzione terapeutica efficace".
"I biosimilari - scrive l'Aifa - rappresentano uno strumento irrinunciabile per lo sviluppo di un mercato dei biologici competitivo e concorrenziale, necessario alla sostenibilità del sistema sanitario e delle terapie innovative, mantenendo garanzie di sicurezza e qualità per i pazienti e garantendo loro un accesso omogeneo e tempestivo ai farmaci innovativi, pur in un contesto di razionalizzazione della spesa pubblica".
Gli italiani nel 2013 hanno pagato più di 2,9 mld di ticket sanitari (per farmaci, diagnostica, specialistica, pronto soccorso). Il 25% in più (circa 700 mln di euro) rispetto al 2010 quando avevano speso 2,2 mld. La crescita si ricava dall'analisi dell'ANSA sui Rapporti della finanza pubblica della Corte dei conti degli anni 2012 e 2014. La stessa Corte dei Conti indica la necessità di intervenire sul sistema. Il Governo e le Regioni, al lavoro per la stesura del Patto per la Salute previsto per fine mese, hanno deciso di "ritoccare" lo schema di compartecipazione alla spesa in vigore. Allo studio dei tavoli tecnici ci sono novità su indicatori reddittuali, tetti di spesa e nuovi criteri di esenzioni. L'obiettivo è quello di ottenere un meccanismo con più equità e più attenzione ai nuclei familiari colpiti dalla crisi. A ottobre era d’altronde già stato evidenziato dal Tribunale dei diritti del malato-Cittadinanzattiva un calo del 9% di esami e visite in seguito all’introduzione della compartecipazione alla spesa sanitaria. I cittadini privi dell’esenzione hanno rinunciato a esami e cure considerandoli troppo costosi. Eppure sulle terapie una possibilità di risparmio ingente per le famiglie esiste ed è rappresentata dalla scelta del farmaco equivalente ormai disponibile praticamente per la cura di tutte le malattie, acute e croniche.
Buone notizie per i lavoratori reduci da un infortunio o una malattia. L’Inail (Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro) ha appena emanato una circolare (n30, 4 giugno 2014) che prevede l’estensione del diritto al rimborso alle spese sostenute per l’acquisto di farmaci di fascia C (equivalenti compresi), il cui costo non è sostenuto dal Ssn.
Nel dettaglio, il rimborso può essere richiesto da lavoratori che hanno subito un infortunio o contratto una malattia professionale, oltre che durante il periodo di inabilità temporanea assoluta al lavoro, anche dopo la stabilizzazione dei postumi, pur se non indennizzabili, ed oltre i termini revisionali. La circolare ha ampliato l’elenco dei farmaci ammessi a rimborso a carico dell’Istituto. Sono così rimborsabili i farmaci di fascia C prescritti e acquistati a decorrere dal 13 novembre 2012 (link all’allegato), giudicati necessari al miglioramento dello stato psico-fisico del lavoratore infortunato o affetto da malattia professionale in relazione alla patologia causata dall’evento lesivo di natura lavorativa, anche ai fini del reinserimento socio-lavorativo.
Il termine prescrizionale del diritto al rimborso dei farmaci è decennale e decorre dal giorno in cui il diritto stesso può essere esercitato e cioè dalla data riportata sullo scontrino di acquisto del farmaco.
Il 30% delle ragazze italiane ritiene che il coito interrotto rappresenti un metodo contraccettivo efficace e 4 su 10 affrontano la prima esperienza sessuale senza nessuna protezione. Risultato? In Italia nel 2012 abbiamo avuto oltre 105.000 interruzioni volontarie di gravidanza, hanno partorito 9.000 baby mamme under 19 e il 40% delle gravidanze totali era indesiderato. I dati che il professor Paolo Scollo, presidente della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (Sigo), snocciola in occasione del 13° Congresso della European Society of Contraception and Reproductive Health (ESC), fanno riflettere e documentano la necessità di un’informazione più efficace. “La nostra Società scientifica da anni è impegnata in progetti di educazione sessuale per i giovani – afferma Scollo -. Ma serve anche da parte delle Istituzioni italiane ed Europee un maggiore impegno a promuovere un cambiamento culturale che favorisca la sessualità consapevole tra le donne”. Al Congresso è stata presentata una ricerca internazionale condotta in 17 Paesi, Italia compresa, su poco meno di 9.000 donne (8.837), che evidenzia ancora numerose lacune delle italiane sui temi della contraccezione. “Solo il 16% sostiene di sentirsi ben informata su tutti i metodi a disposizione, il 70% sotto i 30 anni è costantemente preoccupata di dimenticarsi il contraccettivo in uso e il 19% ha affrontato una gravidanza indesiderata”, riferisce il professor Emilio Arisi, Presidente della Società di Medicina Italiana della Contraccezione (SMIC). Nonostante la disponibilità di un metodo contraccettivo di estrema efficacia come la pillola anticoncezionale, ormai da anni presente sul mercato come farmaco equivalente e quindi di qualità e a basso costo - aspetto fondamentale soprattutto per le più giovani - la strada verso una maggiore consapevolezza sulla contraccezione resta ancora in salita. Un aiuto potrebbe venire da una più capillare opera di educazione alla sessualità, da iniziare sui banchi di scuola.
Anche l’ultima relazione della Corte dei Conti conferma che tra i pochi capitoli della spesa pubblica in costante riduzione vi è quello relativo alla farmaceutica convenzionata, che anche nel 2013 ha fatto registrare una riduzione del 3,4%, e non certo perché i cittadini abbiano smesso di curarsi. “Molti sono i fattori che contribuiscono a questo "risultato”, dice il presidente di AssoGenerici Enrique Häusermann, “ma quello fondamentale, come ha ricordato anche questa volta la magistratura contabile, è la presenza sul mercato del generico che, da sola, ha determinato una fortissima riduzione della spesa”. Ciò nonostante, nel nostro paese i produttori di farmaci equivalenti sono tenuti, come i produttori di farmaci branded, al pagamento del cosiddetto pay-back, cioè di un rimborso da parte delle aziende produttrici direttamente allo stato se la spesa per i farmaci supera il tetto fissato per legge per ogni specialità medicinale. “Questo penalizza ingiustamente tutto un settore che è invece all’origine del risparmio”, sottolinea Häusmann. Il sistema del pay-back viene, inoltre, esteso anche ai farmaci ospedalieri. “Il fatto è che il tetto di spesa fissato dal governo per i farmaci ospedalieri è regolarmente sottostimato”, afferma il presidente di Assogenerici. Questo è un ulteriore danno per i produttori dei farmaci equivalenti che già sono intrinsecamente meno costosi e che sono soggetti a gare d’appalto nelle quali “vince” chi si aggiudica il prezzo più basso. “Tali farmaci devono essere esclusi dal sistema del pay-back applicato alla spesa ospedaliera”, sostiene Häusermann. “Se si vuole diminuire ulteriormente la spesa, facendo leva sul farmaco equivalente, si dovrebbe, poi, eliminare dalla normativa italiana il meccanismo del cosiddetto “patent linkage”, una clausola che ritarda l’ammissione alla rimborsabilità dei nuovi farmaci equivalenti, e che comporta un mancato risparmio pari a tre milioni di euro al giorno”, conclude Häusermann. Un meccanismo, peraltro, ormai presente soltanto in Italia e più volte dichiarato illegittimo dalla Commissione Europea e dal Parlamento Europeo, che ha anche votato una proposta di direttiva volta a proibirne l’introduzione nelle normative nazionali.
Si chiama Con-Ter, acronimo di Continuità Terapeutica, la nuova iniziativa voluta dalla Società Italiana di Medicina Generale (Simg) per diffondere una maggiore consapevolezza tra medici e cittadini sul valore del farmaco equivalente per la collettività. I farmaci equivalenti hanno contribuito in maniera sostanziale in molti Paesi Europei, come il Regno Unito e la Germania, a riequilibrare la spesa sanitaria per la farmaceutica senza intaccare la qualità del sistema di cura. Anche nel nostro Paese, sia pur con ritardo, il farmaco equivalente rappresenta oramai una realtà consolidata, nonostante una quota di mercato ancora molto bassa (circa il 10%) rispetto al totale della spesa per farmaci. Un ritardo che sembra soprattutto legato a una mancanza di una politica di sostegno culturale, centrata sulla corretta informazione ai cittadini oltre che di convincimento “scientifico” dei medici prescrittori, basato sulla formazione e sulla discussione nei luoghi appropriati. Una recente indagine ha stabilito che il 95% della popolazione italiana è a conoscenza dell’esistenza dei farmaci equivalenti e che la maggior parte delle persone considera la qualità dell’equivalente uguale a quella del brand. Per quanto riguarda invece l’informazione circa i farmaci equivalenti, la stessa indagine ha stabilito che solo il 14,2% dei pazienti è informato dal suo medico di famiglia, mentre il farmacista è il principale attore in ben il 49% dei casi. Il medico pertanto diventa sempre meno il punto di riferimento per il paziente in merito alla informazione e alla scelta finale del farmaco equivalente. Per questo Simg con il contributo incondizionato di Zentiva (gruppo Sanofi) ha deciso di attuare il progetto Con-Ter con l’obiettivo di aumentare le conoscenze dei medici di base circa le caratteristiche e l’affidabilità\sicurezza dei farmaci equivalenti, di incentivarne la prescrizione, di migliorare la comunicazione medico-paziente sulla sicurezza e affidabilità dei farmaci generici per orientarne le scelte, e ancora di favorire la scelta consapevole e motivata da parte dei cittadini dei farmaci equivalenti e favorire la continuità terapeutica nei malati cronici.
L'italiano compra più specialità di quanto dovrebbe. Secondo i medici di famiglia è perché non vuole confondersi tra tanti generici alternativi proposti in farmacia. Secondo i farmacisti, è una scelta personale: il rischio di confondersi non nasce dalla sostituzione. Quale che sia la causa, Assogenerici, l'associazione di produttori di farmaci equivalenti, ha deciso di pubblicare online ogni giorno il calcolo della spesa che i cittadini sostengono per le i farmaci di marca. La spesa degli italiani è aumentata del 2,1% nel 2013, e quest'anno si aggira sul miliardo di euro.
La vitamina C aiuta i chemioterapici ad uccidere le cellule del cancro all'ovaio riducendone gli effetti collaterali. Per poterne sfruttare i benefici non è però sufficiente assumerla per via orale: solo la somministrazione endovenosa permette di raggiungere le alte dosi necessarie per produrre questo effetto. A svelarlo è uno studio pubblicato su Science Translational Medicine da un gruppo di ricercatori del Medical Center dell'Università del Kansas che grazie alla collaborazione con i National Institutes of Health hanno gettato luce sui meccanismi che permettono a questa molecola naturale di esercitare il suo effetto antitumorale.
In effetti l'uso della vitamina C contro il cancro non è una novità. “Negli anni '70 l'ascorbato, o vitamina C, era una terapia non convenzionale contro il cancro – racconta Qi Chen, responsabile del nuovo studio – Era sicuro, e c'erano racconti della sua efficacia clinica quando somministrato per via endovenosa. Ma dopo che la somministrazione per via orale si è rivelata inefficace in due studi clinici sul cancro, gli oncologi tradizionali hanno abbandonato l'idea”. Ciononostante i sostenitori delle medicine complementari hanno continuato ad utilizzare la vitamina C nelle terapie antitumorali. Chen e collaboratori hanno deciso di cercare di far chiarezza sull'argomento studiando l'effetto della somministrazione di questa molecola sia in laboratorio, sia nei pazienti, arrivando così a definire il suo meccanismo di azione.
“Ciò che abbiamo scoperto - spiega Chen – è che, a causa delle sue differenze farmacocinetiche, la vitamina C somministrata in endovena, contrariamente a quella assunta per via orale, uccide alcune cellule tumorali senza mettere in pericolo i tessuti sani”. In particolare, nei fluidi che circondano le cellule tumorali la vitamina C porta alla formazione di perossido d'idrogeno, induce danni al Dna, riduce i livelli di ATP (fonte di energia per le cellule), attiva la cosiddetta via dell'AMPK e inibisce l'attività di mTOR (coinvolte nella regolazione della crescita e della morte delle cellule). “Ora conosciamo meglio l'azione antitumorale della vitamina C – commenta Jeanne Drisko, coautrice dello studio – cui si aggiungono un chiaro profilo di sicurezza e una credibilità biologica e clinica. Nel loro insieme – conclude la ricercatrice – i nostri dati forniscono forti prove che giustificano la conduzione di studi più ampi e robusti per studiare definitivamente i benefici dell'aggiunta della vitamina C alla chemioterapia convenzionale”.
Fonte salute24.ilsole24ore.com
È un dato acquisito almeno dall’inizio del secolo scorso: ignorare le evidenze scientifiche ha un costo. Nel caso della diffidenza verso i farmaci equivalenti è possibile determinare questo costo al centesimo, giorno per giorno e regione per regione. Questa è infatti la funzione del widget “Il salvadanaio della salute” da ieri on-line sul sito web, che calcola quotidianamente quanto spendono i cittadini italiani per coprire la differenza di prezzo tra l’equivalente e il farmaco di marca.
Si scopre, così, che nel 2013 dalle tasche dei cittadini sono usciti oltre 850 milioni di euro, e che dall’inizio dell’anno a oggi la tendenza si mantiene, tanto che dal 1° gennaio la somma totalizzata è 103 milioni, e 30 milioni solo dal 1° febbraio ad oggi. Insomma, ogni giorno in media si spendono 2,3 milioni di euro sottratti ad altri bisogni sanitari e non solo.
“Questo della spesa privata per l’acquisto del medicinale di marca, è un dato che abbiamo più volte riportato all’attenzione, e intendiamo informare periodicamente il pubblico a questo riguardo. Crediamo, però, che una rappresentazione dinamica possa rendere più concretamente l’idea di che cosa accade dal punto di vista economico, e nell’era dell’informazione in tempo reale e diretta questa soluzione web-based ci sembra la più adeguata”, ha detto il direttore generale di AssoGenerici, Michele Uda.
“La nostra Associazione ha sempre guardato con attenzione alla comunicazione digitale finalizzata alla concretezza e alla trasparenza del messaggio - ha concluso - e questo rispecchia lo spirito stesso del farmaco equivalente: molecole note, di cui si conosce tutto, affidabili e sicure ma prodotte e distribuite con tecnologie al passo con i tempi”.
Fonte quotidianosanita.it - assogenerici.org
Molto spesso sia i pazienti che i medici non sanno che molti medicinali di utilizzo comune sono di derivazione animale, come per esempio le eparine a basso peso molecolare derivate dai maiali, la gelatina dalle mucche, e gli estrogeni coniugati dai cavalli; ma anche per gli eccipienti di uso comune, come il lattosio e il magnesio stearato, la provenienza non è specificata in etichetta. Infatti, un gruppo di ricercatori britannici ha verificato che nei 100 farmaci più prescritti almeno 74 contenevano uno o più eccipienti tra lattosio, gelatina e stearato di magnesio, ma era molto difficile individuarne la provenienza, anche contattando direttamente il produttore. Un problema emergente, se si considera che sono sempre di più le persone che per motivi personali scelgono di seguire una dieta vegetariana o vegana: che si tratti del rispetto di dogmi religiosi o di scelte condizionate da preoccupazione per l’ambiente, il fenomeno riguarda in Gran Bretagna il 5% della popolazione generale, ma il 12% dei cittadini di razza non caucasica. Sarebbe utile per tutte queste persone che la provenienza dei vari ingredienti fosse specificata in etichetta, o nel foglio illustrativo dei medicinali, ma al momento ciò non è permesso dalle norme europee che obbligano i produttori a segnalare solo la presenza di sostanze che possono provocare reazioni cliniche avverse. D’altra parte forse non sarebbe possibile elencare in etichetta tutte le possibili specifiche di ogni singolo ingrediente. La soluzione definitiva, suggeriscono gli autori dell’indagine, potrebbe essere quella di eliminare i prodotti di derivazione animale dai medicinali. Quando possibile, ovviamente. Il lattosio, per esempio, viene già prodotto da alcune aziende senza l'utilizzo di caglio, lo stearato di magnesio può essere ottenuto per sintesi chimica, senza ingredienti di origine animale, e sono già disponibili capsule vegetali per sostituire la gelatina.
Fonte farmacista33.it
Rapporto Osmed. Primi nove mesi 2013: spesa farmaceutica a 19.5 mld. Boom della privata. Continua ad aumentare l'ospedaliera. Diminuisce la territoriale.
In allegato il rapporto dell'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA)
La non-profit inglese Sense About Science ha realizzato un volume guida per aiutare a distinguere la ricerca seria dai venditori di speranze.
Il volume è stato tradotto a cura dell'Aifa ed è disponibile cliccando sul link qui sotto
Luca Pani, Direttore Generale dellAIFA: “E' importante far capire ai cittadini la differenza tra il mondo della ricerca, che lavora per offrire trattamenti efficaci e sicuri, e i venditori di speranze che speculano sulla sofferenza della gente”
Ulteriori info sul sito dell'Agenzia Italiana del Farmaco