Il rialzo delle temperature costringe i soggetti allergici a confrontarsi con il disturbo per vari motivi: "Gli effetti del calore sono molteplici: l'aumento di anidride carbonica nell'aria si abbina all'incremento dei pollini e delle spore fungine, che grazie ai raggi ultravioletti permangono più a lungo nell'aria. Risultato? Un mix che toglie il fiato agli allergici", spiega Floriano Bonifazi, presidente IFIACI (Federazione italiana delle società immunoallergologiche) e direttore del Dipartimento di medicina interna e malattie immunoallergologiche degli Ospedali Riuniti di Ancona. "La canicola potenzia l'azione infiammatoria diretta dello smog, tipico delle nostre città - spiega Bonifazi - i raggi UV contribuiscono a trasformare l'ossido nitrico in ozono." Questo, abbinato alla pollinazione e al fatto che il caldo aumenta la persistenza di pollini e spore nell'aria, può essere alla base di un'elevata diffusione di crisi allergiche. "Chi sa di avere un'allergia respiratoria, o soffre di asma, deve evitare di fare attività fisica all'aperto, perchè lo sforzo aumenta il pericolo di un attacco", consiglia Bonifazi. Niente corse al parco, dunque. "Meglio rifugiarsi al mare, se si può - conclude - perchè le correnti marine puliscono l'aria dai pollini, oppure in montagna al di sopra dei mille metri".
Nasce in Italia la Carta mondiale dei diritti del paziente con broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO)che sarà ufficialmente presentata il 14 giugno a Roma, in occasione della I conferenza mondiale dei pazienti colpiti dalla malattia. "La conferenza, che si inserisce nelle iniziative dell'Anno del Respiro, ha l'obiettivo di definire la Carta mondiale e promuovere la sua attuazione in tutti i Paesi", spiega Mariadelaide Franchi, co-presidente del Coordinamento internazionale BPCO e presidente dell'Associazione italiana pazienti BPCO. "È un primo decisivo incontro, che vede impegnate associazioni dei pazienti, istituzioni sanitarie, società scientifiche per il riconoscimento dei diritti dei pazienti e la predisposizione di un piano di tutela in tutto il mondo". I punti salienti della Carta riguardano: diagnosi precoce e accurata; corretta informazione ed educazione; supporto per affrontare la malattia; migliore trattamento disponibile; adeguati investimenti in assistenza e cura, e solidarietà; collaborazione tra le varie associazioni pazienti del mondo; miglioramento della qualità dell'aria.
Una persona diabetica su due presenta segni di disfunzione ventricolare sinistra, che può portare a scompenso cardiaco.I dati rilevati dall'Associazione Medici Diabetologi (AMD) e dall'Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO) sono stati presentati al XVII Congresso nazionale dell'AMD. È emerso infatti che, oltre al rischio di infarto, il diabete espone anche un elevato rischio di scompenso cardiaco. "Abbiamo visitato 960 persone con diabete e abbiamo scoperto che circa il 50% di loro mostrava la disfunzione al ventricolo - ha detto Marco Comaschi, coordinatore del Centro studi AMD - inoltre abbiamo visto che peggiore è il controllo della glicemia, maggiore è il rischio di scompenso cardiaco, e che il pericolo aumenta al crescere di sovrappeso, circonferenza vita e ridotta attività fisica". Lo studio, iniziato nel 2007, intende valutare proprio il rapporto tra diabete e scompenso cardiaco e quali siano le condizioni associate alla comparsa di questa grave complicanza cardiovascolare in chi già soffre di diabete, cioè oltre 4 milioni di italiani. I risultati definitivi sono attesi per il 2011.
A fronte di una maggiore consapevolezza sul melanoma permangono alcuni comportamenti sbagliati, segnalati dai dermatologi dell'Associazione dei Dermatologi Ospedalieri Italiani (ADOI): secondo gli esperti almeno otto italiani su 10 commettono errori frequenti nell'esporsi al sole. Soprattutto uomini, donne molto giovani e sopra i 50 anni, mentre sono più attente e preparate le donne nella fascia dei 35-40 anni. Tra gli sbagli più comuni quello di mettersi al sole nelle ore più calde del giorno, superficialità nell'impiego degli schermi solari e nell'uso dei reidratanti dopo l'esposizione. Inoltre, le regole non vengono rispettate al mare, nè in montagna e nemmeno in città. "Spesso si dimentica che anche il sole di città ha i suoi rischi, oltre che i suoi benefici", spiega Patrizio Mulas, presidente ADOI. "Ormai si raccomanda di applicare le creme solari anche in città dove è sempre più diffusa l'abitudine di prendere il sole in pausa pranzo nei parchi cittadini." Recenti dati epidemiologici, peraltro, hanno evidenziato come il fattore di rischio sia rappresentato non tanto dalla fotoesposizione cronica ai raggi ultravioletti ma dalle ustioni solari avvenute in età giovanile, soprattutto in soggetti con pelle chiara che si scotta facilmente e si abbronza con molta difficoltà.
Secondo uno studio internazionale, pubblicato da un team di ricercatori canadesi, italiani e spagnoli sul New England Journal of Medicine, le sigarette aprono la strada alla BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva), una malattia che causa gravi difficoltà respiratorie.Tuttavia, finora non si era capito perchè questa bronchite cronica colpisse solo alcuni fumatori, ignorandone altri, che pure non risparmiano pacchetti e accendino. Ora, il team diretto da Manuel Cosio del McGill University Health Center (Canada), insieme a Marina Saetta dell'Università di Padova e Alvar Agusti dell'Ospedale Universitario San Dureta (Spagna), ha scoperto un meccanismo autoimmune - abbinato a una predisposizione genetica alla BPCO - che può spiegare come mai la malattia colpisce in modo pesante alcun fumatori, evitandone altri. Benchè il fumo sia un fattore di rischio primario per la BPCO, anche gli inquinanti da combustioni per la cottura del cibo in casa rappresentano un'importante insidia, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Al contrario di quanto si pensava, gli scienziati hanno osservato che la BPCO non procede nello stesso modo in tutti i fumatori.
Un gruppo di ricercatori giapponesi ha scoperto un legame tra i geni che regolano i ritmi circadiani (il cosiddetto orologio biologico) e quelli che scatenano la cascata infiammatoriaall'origine dei sintomi dell'artrite reumatoide. È stato osservato che, su 200 pazienti esaminati, il 61% lamentava una cattiva qualità del sonno. Gli scienziati, inoltre, hanno notato che il sonno disturbato si associava a numerosi parametri tipici dell'artrite reumatoide. L'èquipe ha analizzato l'espressione genetica su modelli animali della malattia verificando che, quando veniva meno l'attività del gene CRY, coinvolto nella regolazione dei ritmi circadiani, raddoppiava l'espressione dei geni che attivano la proteina TNF-alfa (Tumor Necrosis Factor-alfa), responsabile della catena infiammatoria alla base dell'artrite. Lo studio dimostra che alcuni geni regolatori dell'orologio biologico assumono un ruolo cruciale nell'attivazione del TNF-alfa.
Uno studio condotto da Bruno Marcello Fusco, responsabile del Centro di Medicina del Dolore dell'Istituto di Ricerca e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) Neuromed di Venafro (Is), ha riscontrato un legame tra la comparsa del mal di testa e l'attività sessuale.L'indagine ha rilevato che il 45% delle persone prese in esame sostiene di avere una vita sessuale regolare, mentre il 13% vede scomparire il mal di testa durante il rapporto o subito dopo. "I disturbi che dipendono principalmente dallo stress, le cosiddette cefalee tensive - spiega Fusco - possono essere migliorati con un rapporto sessuale perchè aumentano i livelli di serotonina e dopamina, i neurotrasmettitori che influiscono sulle emozioni e sugli stati d'animo. Il rapporto sessuale attiva il sistema autonomo neurovegetativo, che agisce sui visceri del corpo e sull'equilibrio interno, quindi è in grado di alleviare i fastidiosi mal di testa da stress".
Due terzi degli astronauti soffrono di cefalea (mal di testa) anche quando non sono in missione nello spazio: lo evidenziano, sulla rivista Cephalalgia, i ricercatori del Leiden University Medical Centre (Olanda), che hanno intervistato 17 astronauti. La cefalea viene descritta dagli astronauti come esplosiva, nel senso che insorge all'improvviso e si scatena con velocità, con un'intensità media, ma che richiede comunque l'assunzione di un farmaco specifico per calmare i sintomi. Gli studiosi vorrebbero che fosse classificata come una malattia a sè: non appare infatti correlata agli altri malesseri di cui si soffre quando si viaggia tra un pianeta e l'altro, benchè sembri anch'essa dovuta all'assenza di gravità. Questa circostanza può causare un abbassamento dei livelli di ossigeno nel sangue e un aumento della pressione intracranica, che possono essere causa di mal di testa. "Spesso gli astronauti sono riluttanti nel confessare i loro problemi fisici - sottolinea Alla Vein, a capo dell'indagine - e dunque la stima di quanti soffrono di mal di testa potrebbe essere molto più alta di quella riscontrata nei nostri studi. Occorre saperne di più e considerare la questione come un problema di prim'ordine in queste attività".
I ricercatori dell'Istituto neurologico Carlo Besta di Milano stanno valutando l'efficacia di un pacemaker mininvasivo, applicato attraverso una piccola incisione sul collo, per trattare i casi più gravi di cefaleada suicidio, così chiamata per l'intensità del dolore. La tecnica si chiama stimolazione del nervo vagale (Vagal Nerve Stimulation, VNS) ed è stata presentata al convegno organizzato ogni due anni dal Centro Cefalee dell'IRCCS milanese. Il pacemaker è stato sperimentato su una decina di pazienti, spiegano gli esperti, e i primi risultati di follow-up, a un anno di distanza dal trattamento, hanno dato esito positivo. Il pacemaker agisce sul nervo vago di sinistra, che viene usato come canale per veicolare microimpulsi elettrici a particolari centri cerebrali che controllano il dolore, centri diversi da quelli su cui interviene la stimolazione cerebrale profonda.
Il 15% delle ragazze anoressiche non riesce a risolvere il disturbo e oltre il 20% inevitabilmente ricade nella malattia e ci convive per sempre.Tra i pazienti con disturbi del comportamento alimentare vi sono anche neonati di pochi mesi e bimbi sotto i tre anni: si nutrono solo con il biberon e non vogliono essere svezzati, rifiutano i cibi solidi e ingurgitano solo frullati. Secondo le stime, nella fascia 0-3 anni soffre di disturbi alimentari il 2-3% della popolazione generale. Problemi che possono essere temporanei o sfociare in patologie più complesse, ma in genere sono frutto di difficoltà nella relazione mamma-bambino. Diversa, invece, la molla che fa scattare in un'adolescente o pre-adolescente la trappola dell'anoressia, della bulimia o di altre sindromi alimentari meno nette, ma altrettanto gravi. Dietro la malattia si nascondono diversi fattori scatenanti: vi è una componente genetica e vi sono l'effetto di un cattivo esempio in famiglia, un disagio psicologico personale o un problema di educazione... persino la cultura sale sul banco degli imputati.
Il monitoraggio quotidiano della glicemia fatto a casa, nei casi di diabete gestazionale lieve o trattato con la dieta, è efficace nel controllo del peso del nascituro.La pratica risulta più efficace del monitoraggio ambulatoriale settimanale ed era già stata valutata per il diabete gestazionale più importante e trattato con farmaci. Ora è stato chiarito che l'introduzione dell'automonitoraggio glicemico anche per i casi più lievi porta benefici alla gravidanza, sebbene non comporti alcun miglioramento nel controllo dei livelli glicemici. Il coinvolgimento più intenso delle donne con diabete gestazionale controllato con la dieta nel proprio monitoraggio glicemico, con un frequente feedback sull'effetto delle scelte dietetiche, si traduce in una riduzione sia del peso materno sia dell'incidenza della macrosomia neonatale.
Anche la fotodermatosi va annoverata tra le reazioni provocate dall'esposizione ai raggi solari, un problema spesso ignoratoo confuso con l'eritema solare; in Italia colpisce una persona su 10, soprattutto donne giovani, e il numero dei casi è in continuo aumento: dal 2000 a oggi è raddoppiato. Il problema è stato uno dei temi proposti durante l'84° Congresso Nazionale della Società Italiana di Dermatologia medica, chirurgica, estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse (SIDeMaST). Si tratta di una vera e propria intolleranza al sole che si manifesta con una reazione allergica dopo pochi minuti di esposizione. I sintomi dell'allergia al sole, che in genere nei pazienti si manifestano alla fine della primavera o all'inizio dell'estate, sono semplici: la pelle esposta alla luce si arrossa e si copre di vescicole e piccole bolle. In Italia è più frequente la forma meno aggressiva, che vede coinvolte soprattutto braccia e decolletè e non interessa il viso.
Le donne italiane soffrono 3 volte di più degli uomini di forti mal di testa, con attacchi di dolore violenti 3-4 volte al mese: 4.500.000 Italiane contro 1.500.000 Italiani. Hanno un'età compresa fra 35 e 44 anni, sono casalinghe, sposate, con figli e soffrono in media di 3 attacchi al mese. Per il 60% di loro l'emicrania ha un impatto molto pesante sulla vita lavorativa e personale. Il profilo emerge da un'indagine di Gfk Eurisko. Le donne più colpite, in pratica, sono quelle in età attiva e, oltre alle casalinghe (34%), a soffrire di più sono impiegate e insegnanti (19%). Quasi tutte (84%) hanno descritto il dolore così forte da compromettere seriamente la qualità della propria vita; tuttavia, molte non sono consapevoli della differenza tra il mal di testa generico e l'emicrania, motivo per cui il ricorso alle terapie è spesso scarso.
Da qualche giorno circola la notizia che sia allo studio del viceministro alla salute Ferruccio Fazio un provvedimentoche potrebbe limitare la libertà del farmacista di sostituire un generico con un altro.
Come si profilerebbe la gestione del farmaco generico se questo provvedimento venisse attuato?
1) se la ricetta indicherà solo il nome della molecola, il farmacista potrà scegliere liberamente il generico;
2) se la ricetta presenterà il nome della molecola e dell'azienda produttrice del generico, il farmacista dovrà attenersi all'indicazione del medico;
3) se la ricetta presenterà il nome del farmaco di marca, il farmacista potrà decidere di sostituirlo con un farmaco generico di sua scelta, a meno che sulla ricetta stessa non venga dichiarata la non sostituibilità.
Il viceministro Fazio - in un incontro cui erano presenti il presidente di Assogenerici, Giorgio Foresti, e i leader di Fimmg e Snami, Giacomo Milillo e Mauro Martini - si è impegnato ad analizzare e esprimersi al più presto in merito a questo provvedimento.
Sono molti i cardiologi che stanno rivisitando il ruolo del colesterolo nelle patologie coronariche che potrebbe ridisegnare le linee guida.In particolare, non vi sono dubbi sugli effetti negativi di livelli elevati di LDL ("colesterolo cattivo"), che restano ancora associati a un'alta incidenza di eventi coronarici. Ciò che invece viene ora messo in discussione è la convinzione che la loro riduzione porti a un parallelo calo della casistica dei decessi per malattie cardiovascolari. "Un discorso speculare si può fare, inoltre - spiega Mario Marzilli, ordinario di Malattie Cardiovascolari dell'Università di Pisa - per quello cosiddetto buono (HDL). Più alti sono i livelli, minore è l'incidenza di malattie coronariche, o almeno questo si credeva finora. In chiave critica generale, si può parlare invece di esperienze deludenti. Il colesterolo HDL effettivamente può raggiungere livelli elevati, ma non sempre gli eventi coronarici si riducono parallelamente". "Non sorprende quindi - conclude l'esperto - che la cardiologia mondiale stia riflettendo su come riscrivere le nuove strategie diagnostico-terapeutiche".
Un team di chirurghi italiani lancia una nuova tecnica che non prevede la classica incisione con il bisturi per intervenire nei casi di reflusso gastroesofageo.Si passa dalla bocca per raggiungere lo stomaco del paziente e intervenire sul cardias, la valvola che lo separa dall'esofago. A sperimentare la nuova procedura chirurgica è un gruppo di ricercatori dell'ospedale San Raffaele di Milano che, parallelamente a un'èquipe belga, l'ha utilizzata per la prima volta al mondo per intervenire su 25 pazienti, poi seguiti per due anni. "Il 93% non manifestava più alcun sintomo - spiega Pier Alberto Testoni, direttore dell'Unità Operativa di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva dell'Istituto Scientifico Universitario San Raffaele di Milano - mentre nel 30% dei casi vi era anche una riduzione dei farmaci antireflusso". La tecnica si affianca ai due trattamenti tradizionali utilizzati finora per combattere il reflusso gastroesofageo: l'intervento chirurgico con incisione sull'addome e la terapia farmacologica. La nuova tecnica si avvale di una sonda che arriva fino allo stomaco del paziente; l'intervento dura 50 minuti.
Sulla menopausa la popolazione femminile si spacca: da una parte (28%) c'è chi l'accoglie quasi con sollievo perchè spariscono dolori mestrualie paura di gravidanze indesiderate. Una buona parte (60%), invece, dice di sentirsi nel complesso peggio di prima. Qualunque sia l'atteggiamento, ben l'86% presenta qualche disturbo e appena il 6,5% ricorre alla terapia ormonale sostitutiva per risolverlo, mentre solo il 45,5% è consapevole che, dopo la fine dell'età fertile, il rischio cardiovascolare cresce fino a diventare la prima causa di morte femminile. I dati emergono da un sondaggio della Società Italiana della Menopausa (SIM), che ha coinvolto 760 donne nel maggio 2009. "I risultati confermano la scarsa cultura che regna anche tra gli specialisti, dal momento che una donna su due dichiara di non utilizzare la terapia ormonale sostitutiva perchè il medico la sconsiglia", ha commentato Gian Benedetto Melis, ordinario di Ginecologia e Ostetricia all'Università di Cagliari e presidente della Sim. Secondo il sondaggio, inoltre, l'ipertensione è uno tra i disturbi meno segnalati, proprio perchè silente (solo il 14% delle donne la dichiara). Sono invece molto riportati vampate (78,5%), aumento di peso (52%), sudorazione eccessiva (51,5%), palpitazioni (51%), sbalzi di umore (42,5%), alterazioni del sonno (41%) e irritazione e secchezza vaginali (35%).
Uno studio pubblicato su Osteoporosis International ha valutato gli effetti degli antiossidanti e dell'attività fisica sulla densità di massa ossea, noto indice di osteoporosi.Per sei mesi, 34 donne in menopausa con un'età media di 66 anni e indice di massa corporea di 25,98 kg/m2, sono state avviate in maniera casuale in quattro tipologie diverse di programma con le seguenti caratteristiche: somministrazione di un placebo e nessuna attività fisica; somministrazione giornaliera di antiossidanti, come vitamina C e vitamina E, e nessuna attività fisica; somministrazione di un placebo ed esercizio fisico; antiossidanti ed esercizio fisico. Dall'analisi della densità di massa ossea dell'anca e della spina lombare è emerso che nel gruppo che non svolgeva attività fisica e a cui era stato somministrato un placebo si era verificata una perdita di densità ossea, mentre negli altri gruppi questa era rimasta costante. I risultati suggerirebbero quindi un ruolo protettivo delle vitamine antiossidanti contro la perdita di massa ossea e confermerebbero l'importante ruolo svolto dall'attività fisica.
I primi due mesi dopo la dimissione dall'ospedale dopo un infarto rappresentano un periodo molto critico.Infatti, se durante il ricovero la mortalità è in costante diminuzione e da anni non supera il 7-8%, subito dopo il 10% dei 25.000 pazienti ad alto rischio sopravvissuti a un infarto non sopravvive. I dati emergono dalla valutazione di circa 100.000 casi di infarto che si verificano ogni anno in Italia. Nella popolazione generale dei pazienti sopravvissuti all'attacco cardiaco si attesta attorno al 4%, ma nei casi ad alto rischio supera il 10%. Secondo i cardiologi ciò accade perchè il percorso riabilitativo viene intrapreso da non più di due terzi dei pazienti e i Centri in grado di offrirlo non sono ben distribuiti sul territorio. Il 55% dei pazienti in riabilitazione ha subito un'operazione al cuore, ma meno del 10% vi arriva dopo un infarto. E in questi casi, quasi sempre, la riabilitazione è poco incisiva: consigli generici sullo stile di vita, prescrizione di una dieta, qualche sessione di esercizio fisico.
La tecnologia della realtà virutale diventa uno strumento terapeutico per risolvere i disturbi della condotta alimentare, anoressia e bulimia."La realtà virtuale può fare molto", sostiene Giuseppe Riva, psicologo dell'Istituto Auxologico Italiano. "Aiuta, per esempio, le ragazze con problemi di anoressia a vedere e accettare la loro immagine reale. Si parte da una visione distorta del corpo, come appare agli occhi della paziente. Poi comincia un percorso assistito, che gradualmente corregge l'immagine fino ad avvicinarsi a quella reale". La stessa strategia viene applicata anche per gestire i disturbi d'ansia che spesso affliggono le persone colpite da obesità. Una volta indossato, il caschetto per la realtà virutale propone scenari che vanno dall'isola deserta fino alla riva di un lago, per poi proiettare il paziente davanti a uno specchio a contemplare la propria immagine riflessa. "Tutto suggerisce relax: l'acqua, mentre il respiro rallenta, smette di incresparsi, il fuoco lentamente si spegne - racconta lo psicologo - e il paziente impara a usare altre tecniche di rilassamento come, appunto, intervenire sul respiro. Abbiamo osservato che unire la realtà virtuale alla terapia alimentare aumenta l'efficacia della cura a lungo termine".