Centotrenta, non di più. È questo il numero massimo di candeline che un essere umano potrà arrivare a soffiare entro la fine di questo secolo. A ipotizzarlo è stato uno studio condotto da un gruppo di scienziati della Business School di Montreal in uno studio pubblicato sulla rivista Royal Society Open Science. Ad oggi la persona più longeva della storia è Jeanne Calment, riportano gli autori, deceduta nel 1997 a 122 anni e 164 giorni. Stando alle nuove stime fra qualche decessi questo record sarà certamente battuto.
Tra gli effetti più temuti dalle donne in menopausa, la caduta dei capelli è certamente il primo per il forte impatto sull'autostima e sul benessere emotivo. Sfortunatamente, ad oggi le opzioni terapeutiche sul mercato sono limitate e invece, è un problema molto frequente: colpisce circa il 40% delle donne sopra i 60 anni. Ora però, al meeting annuale della North American Menopause Society, che si è tenuto a Washington, è stata presentata una nuova opportunità di cura che riaccende le speranze di molte pazienti che sperimentano il disagio della perdita di capelli, a causa dei cambiamenti ormonali. Si tratta dei nutraceutici, composti bioattivi derivati da fonti alimentari, le cui proprietà sono state descritte in uno studio dell’Ablon Skin Institute and Research Center in California.
Ha un nome un po' complicato: CD14+ DC3. E' una cellula presente nella pelle umana che potrebbe essere responsabile di una serie di infiammazioni della cute, comuni in malattie come la dermatite atopica e la psoriasi. A formulare questa nuova ipotesi è un gruppo di ricercatori del Singapore Immunology Network, del Dipartimento di Dermatologia presso la Kyoto University Graduate School of Medicine, del partner industriale Galderma, e dello Research Institute of Singapore (https://www.a-star.edu.sg/sris), in uno studio pubblicato sul Journal of Experimental Medicine.
L'Alzheimer colpisce prevalentemente il cervello, ma la malattia può svilupparsi anche a causa del fegato. Uno studio condotto dalla Curtin University di Bentley, in Australia, ha scoperto che la proteina amiloide prodotta nel fegato può contribuire alla neuro-degenerazione associata all’Alzheimer. I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista Plos Biology, possono aprire la strada a nuove strategie di prevenzione e nuovi trattamenti più efficaci contro una delle più diffuse malattie neurodegenerative.
Una nuova strategia terapeutica potrebbe riaccendere la speranza dei malati di neuroblastoma, una forma rara di cancro che colpisce principalmente i bambini. Si tratta di un'immunoterapia innovativa che utilizza cellule immunitarie “ingegnerizzate” in laboratorio per attaccare due antigeni presenti sulle cellule tumorali. A metterla a punto e a testarla con successo nei topi è stato un gruppo di ricercatori del Lineberger Comprehensive Cancer Center e della Facoltà di Medicina dell’Università della Carolina del Nord in uno studio pubblicato sulla rivista Nature Cancer.
È un nuovo complesso multienzimatico, un gruppo di enzimi, l'interruttore in grado di bloccare la “senescenza cellulare”, ovvero il processo per il quale cellule invecchiando smettono di dividersi. A individuarlo è stato un gruppo di ricercatori dell’Università di Montréal e della McGill University in uno studio pubblicato su Molecular Cell. I risultati mostrano che il complesso enzimatico chiamato HTC (hydride transfer complex) può inibire le cellule dall’invecchiamento, aprendo la strada a nuove strategie di lotta contro il cancro. “L’HTC protegge le cellule dall’ipossia, una mancanza di ossigeno che normalmente porta alla loro morte”, spiega l’autore dello studio Gerardo Ferbeyre, professore di biochimica all'Università di Montreal e scienziato presso il CRCHUM, il centro di ricerca dell’ospedale universitario affiliato.
Uno studio italiano ha individuato una nuova possibile chiave per contrastare il declino cognitivo. Si tratta di ridurre la molecola infiammatoria CCL11 e, in questo modo, accrescere i benefici prodotti dall’allenamento fisico e mentale sull’invecchiamento cerebrale. A mettere a punto questa nuova strategia sono stati i ricercatori del progetto “Train the Brain”, svolto con il sostegno di Fondazione Pisa e coordinato da Lamberto Maffei, che è stato direttore dell’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa. È una realtà attiva sul territorio pisano e in quasi dieci anni ha coinvolto centinaia di anziani.
E’ possibile monitorare e combattere lo stress anche attraverso un semplice esame del sangue. Basta controllare i livelli delle staminali, quelle cellule che hanno il compito di “riparare” i danni che ogni giorno si verificano nel nostro organismo. E’ quanto afferma Eugenio Caradonna, presidente della Società Italiana di Medicina e Chirurgia Rigenerativa Polispecialistica (SIMCRI). “Il cambio di stagione, il Covid e i consueti problemi personali possono trasformare settembre in un mese 'nero' per milioni di italiani. Si calcola infatti che un italiano su tre soffre di alti livelli di stress", sottolinea Caradonna. "Non si tratta quindi di trascurabile e limitato problema di salute - continua - in quanto l’esaurimento svolge un’azione molto dannosa sull’intero organismo e sulla nostra capacità di rigenerare i tessuti delle cellule. E’ un fattore di rischio che a lungo andare può anche portare ad invecchiamento precoce oppure a gravi malattie cardio-circolatorie o neurodegenerative”.
L’esposizione a lungo termine al rumore del traffico su strade e ferrovie potrebbe essere associata a un rischio più elevato di sviluppare demenza, in particolare la malattia di Alzheimer. E' questa l’allarmante ipotesi che emerge da uno studio condotto dagli scienziati della University of Southern Denmark, del Danish Cancer Society Research Center, dell’Università di Copenaghen e della Aarhus University, che hanno valutato la correlazione tra l’inquinamento acustico e la possibilità di sviluppare demenza. I risultati sono stati pubblicati sul British Medical Journal.
La serotonina potrebbe svolgere un ruolo chiave nello sviluppo della dipendenza da cocaina. Almeno questo è quanto ha ipotizzato un gruppo di scienziati dell’Okinawa Institute of Science and Technology in uno studio pubblicato sulla rivista Science. In particolare, i risultati mostrano che livelli elevati di serotonina potrebbero prevenire lo sviluppo dei sintomi della dipendenza. Lo studio è stato condotto sui topi e si è basato sulla valutazione dei marcatori biologici associati al rischio di tossicodipendenza.
Curare le ginocchia utilizzando il naso, letteralmente. Un gruppo internazionale di ricercatori, tra cui alcuni italiani dell'IRCCS Istituto Ortopedico Rizzoli e del Politecnico di Milano, hanno utilizzato le cellule provenienti dalla cartilagine del naso per rigenerare i danni causati alla cartilagine delle ginocchia dall'osteoartrite. La procedura d'impianto è stata eseguita su topi, pecore e due pazienti in stato avanzato di degenerazione. Lo studio è stato descritto sulla rivista Science Translational Medicine. Secondo i ricercatori, con ulteriori test, la cartilagine nasale ingegnerizzata potrebbe diventare uno dei primi trattamenti rigenerativi efficaci per l'osteoartrite, che colpisce milioni di persone in tutto il mondo.
Può sembrare strano ma con l'avanzare dell'età alcune abilità cognitive possono migliorare. Uno studio condotto dal Brain and Language Lab presso l’Università di Georgetown e dell'Università di Lisbona ha scoperto che la concentrazione o l’acquisizione di nuove informazioni aumentano dopo i 50 anni d'età. I risultati, pubblicati sulla rivista Nature Human Behavior, potrebbero aiutare sia nella diagnosi che nel trattamento delle demenze.
Si aprono nuove opportunità di cura mirate e personalizzate contro l’epilessia infantile. Uno studio condotto da un team di ricercatori del Centro danese per l'epilessia Dianalund, in Danimarca, ha individuato nuove cause genetiche legate allo sviluppo della malattia. i risultati sono stati presentati in occasione della conferenza annuale dell'European Society of Human Genetics. L’epilessia è la più diffusa malattia neurologica e colpisce 50 milioni di persone nel mondo, con una buona fetta di popolazione infantile. Anche se è noto che una gran parte delle epilessie ad esordio infantile sia causata da cambiamenti genetici, non è chiaro esattamente quanti di questi pazienti soffrano di una malattia genetica e quando il trattamento possa essere mirato alla loro specifica alterazione genetica.
Si può proteggere il cervello intervenendo sull'intestino. Più precisamente un gruppo di scienziati dell’University College di Cork, in Irlanda, ha dimostrato che il trapianto di microbiota intestinale da un organismo giovane a uno più anziano potrebbe contrastare specifici cambiamenti nel cervello associati all'invecchiamento. Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature Aging, è stato condotto utilizzando un modello murino. Ma i risultati sono stati sorprendenti.
Negli ultimi 30 anni le persone affette da ipertensione sono più che raddoppiate, arrivando a superare quota 1,2 miliardi nel 2019. E' la stima effettuata recentemente in uno studio pubblicato sulla rivista The Lancet, che ha analizzato una grossa mole di dati riguardanti oltre 100 milioni di persone residenti in 184 paesi. In particolare, dai risultati è emerso che negli ultimi 3 decenni il numero di adulti di età compresa tra 30 e 79 anni che convive con l'ipertensione è cresciuto da 331 milioni di donne e 317 milioni di uomini nel 1990, a 626 milioni di donne e 652 milioni di uomini nel 2019.
Una nuova variante proteica, espressa unicamente dai vasi sanguigni tumorali, contribuisce a rendere il cancro più aggressivo e rappresenta un nuovo marcatore tumorale e un possibile bersaglio molecolare. A scoprirlo è stato uno studio diretto da Claudia Ghigna dell’Istituto di genetica molecolare Luigi Luca Cavalli-Sforza del Consiglio nazionale delle ricerche di Pavia (Cnr-Igm), in collaborazione con diversi centri di ricerca e università italiane e internazionali. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nature Communications.
L'uso quotidiano di prodotti chimici, come vernici e pesticidi, nonché l'utilizzo di combustibili potrebbe provocare un numero di decessi dieci volte superiore rispetto a quanto precedentemente stimato. L’allarmante ipotesi emerge da uno studio dell’Università del Colorado a Boulder, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Atmospheric Chemistry and Physics.
Si chiama reelin ed è una glicoproteina che potrebbe giocare un ruolo determinante nel glioblastoma, il tumore del cervello più aggressivo e maligno. A individuare questo nuovo possibile bersaglio terapeutico è stato un gruppo di ricercatori dell’Università Cattolica - Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e dell’Università di Roma “Sapienza” in uno studio pubblicato sulla rivista Brain Sciences.
Può far bene alla “gola”, ma fa sicuramente male al cuore. Uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell'Università di Oxford ha suggerito che il consumo di carne rossa o lavorata può incrementare il rischio di sviluppare malattie cardiache, tanto che per ogni 50 grammi di carne lavorata consumati su base settimanale, il pericolo di problemi coronarici aumenta del 18 per cento. Queste conclusioni, pubblicate sulla rivista Critical review in Food Science and Nutrition, suggeriscono di fare molta attenzione a quanta carne rossa e lavorata si mette a tavola. Pollame e carni bianche sembrano invece non influenzare la salute cardiaca
Grazie allo sviluppo di una nuova nanoparticella, in futuro, arrivare a una diagnosi di cancro sarà molto più semplice. Un gruppo di scienziati del Massachusetts Institute of Technology ha infatti messo a punto un test che sfrutta questa nanoparticella per rivelare nelle urine la presenza di proteine cancerose e la usa come agente per imaging, aiutando a individuare la posizione del tumore. In linea di principio, questo nuovo sistema potrebbe essere utilizzato per rilevare il cancro in qualsiasi parte del corpo, compresi i tumori che hanno creato metastasi. “Questo è un sensore davvero ampio destinato a rispondere sia ai tumori primari che alle loro metastasi. Può innescare un segnale urinario e permetterci anche di visualizzare dove si trovano i tumori", afferma Sangeeta Bhatia, principale autore dello studio pubblicato sulla rivista Nature Materials.