Digiunare per molte ore prima di un pasto potrebbe portare a benefici metabolici molto simili a quello associati a una dieta ipocalorica. Almeno questo è quanto emerso da una serie di esperimenti condotti sui topolini da un gruppo di ricercatori dell’Università del Wisconsin–Madison. I risultati, pubblicati sulla rivista Nature Medicine, aiutano a comprendere l'importanza del legame tra restrizione calorica e longevità.
Dalla ricerca dei tumori arriva la scoperta di un nuovo composto chimico potenzialmente in grado di contrastare la malaria e la toxoplasmosi. Un gruppo di ricercatori del Paul Scherrer Institute, in Svizzera, ha concluso che il blocco della proteina tubulina, che è quello che fa la chemioterapia per impedire alle cellule di dividersi con successo, può essere efficaci contro diversi parassiti unicellulari. Questa nuova strategia è stata descritta sulla rivista EMBO Molecular Medicine.
C'è un modo per rallentare la crescita di un tumore: affamarlo, letteralmente. Uno studio condotto dagli scienziati del Massachusetts Institute of Technology ha dimostrato che una dieta ipocalorica può ridurre la disponibilità di acidi grassi, il che può portare a un rallentamento nello sviluppo dei tumori. I risultati, pubblicati sulla rivista Nature, si sono basati su esperimenti condotti sui topi che hanno permesso di esaminare i meccanismi tramite cui l’alimentazione può influenzare la crescita di cellule tumorali.
Il nostro cervello non è “programmato"” per calcolare la via più breve per raggiungere a piedi una determinata destinazione. Può sembrare strano ma i pedoni scelgono i percorsi senza valutare quale sia il più corto. Uno nuovo studio dell’Istituto di informatica e telematica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iit) di Pisa in collaborazione con il Massachusetts Institute of Technology e con il Politecnico di Torino, dimostra che il nostro cervello non è ottimizzato per calcolare il cosiddetto “cammino minimo” quando lo spostamento è pedonale. Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista Nature Computational Science.
Nuovi biomarcatori individuabili nel sangue potrebbe facilitare l’identificazione della demenza. A scoprirli sono stati gli scienziati del Centro medico universitario di Göttingen (UMG) in uno studio pubblicato sulla rivista EMBO Molecular Medicine. I ricercatori hanno esaminato i livelli di alcuni microRNA nel sangue di volontari sani e di pazienti con demenza a vari stadi. Il loro obiettivo è quello di sviluppare un esame del sangue che possa essere utilizzato nelle cure mediche di routine per valutare il rischio di demenza.
Le variazioni nella durata del ciclo mestruale, che possono verificarsi prima della menopausa, potrebbero contribuire a prevedere il rischio di una donna di sviluppare problemi cardiaci in età più avanzata. Questo è quanto ha scoperto un gruppo di ricercatori dell’Università di Pittsburgh in uno studio pubblicato sulla rivista Menopause.
Non solo i fumi, ma anche il rumore del traffico stradale potrebbe compromettere la salute cardiaca. A lanciare l'allarme è stato un gruppo di ricercatori dell’Università di Copenaghen in uno studio pubblicato sulla rivista Journal of the American Heart Association. I ricercatori hanno esaminato i dati raccolti da uno studio prospettico avviato nel 1993, Danish Nurse Cohort, su oltre 22mila partecipanti, per il quale erano state coinvolte solo donne di età pari o superiore ai 44 anni.
Si chiama fenchol ed è un composto naturale presente in grandi quantità in diverse piante, come il basilico. Secondo uno studio condotto dagli scienziati dell’University of South Florida Health il fenchol potrebbe essere utile per fornire una protezione di base dalla malattia di Alzheimer. I risultati, pubblicati sulla rivista Frontiers in Aging Neuroscience, mostrano che il composto può ridurre la neurotossicità legat aalla malattia.
Il farmaco ozanimod, da poco approvato per il trattamento della sclerosi multipla, si è rivelato efficace nella cura della rettocolite ulcerosa. Si tratta di una malattia infiammatoria cronica che colpisce l’ultimo tratto dell’intestino e per la quale attualmente non è ancora disponibile un trattamento efficace sul lungo periodo, soprattutto nei casi più gravi. Ma un nuovo studio clinico internazionale di fase III, pubblicato sulla rivista New England Journal of Medicine, offre nuove speranze per chi è affetto dalla patologia. A firmare lo studio c'è Silvio Danese, nuovo direttore dell’Unità Operativa di Gastroenterologia ed endoscopia digestiva dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e professore ordinario di gastroenterologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele.
Non sono molto amate dai bambini, ma sono un vero e proprio toccasana, non solo per il corpo, ma anche per la mente. A confermarlo è uno studio coordinato da Ailsa Welch della Norwich Medical School dell’Università dell’East Anglia, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista BMJ Nutrition, Prevention & Health. Si tratta del primo studio che ha indagato sull'associazione tra la quantità di frutta e verdura che mangiano gli scolari del Regno Unito, le scelte di colazione e pranzo e il benessere mentale. In particolare, i ricercatori hanno concluso che i bambini che mangiano cinque o più porzioni di frutta e verdura al giorno hanno i livelli più alti di benessere mentale.
L'altitudine della propria abitazione può fare la differenza tra la vita e la morte, letteralmente. Uno studio condotto dagli scienziati dell’Universidad de las Americas in Ecuador ha scoperto che abitare ad altitudini comprese tra i 2.000 e i 3.500 metri può contribuire a ridurre le probabilità di subire un ictus mortale. Per arrivare a queste conclusioni, pubblicate sulla rivista Frontiers in Physiology, i ricercatori hanno esaminato l’incidenza di ospedalizzazione e decesso nelle persone in base al luogo di abitazione. Il team, guidato da Esteban Ortiz-Prado, ha considerato i dati raccolti in 17 anni, relativi a più di 100mila pazienti che hanno avuto un ictus.
Centotrenta, non di più. È questo il numero massimo di candeline che un essere umano potrà arrivare a soffiare entro la fine di questo secolo. A ipotizzarlo è stato uno studio condotto da un gruppo di scienziati della Business School di Montreal in uno studio pubblicato sulla rivista Royal Society Open Science. Ad oggi la persona più longeva della storia è Jeanne Calment, riportano gli autori, deceduta nel 1997 a 122 anni e 164 giorni. Stando alle nuove stime fra qualche decessi questo record sarà certamente battuto.
Tra gli effetti più temuti dalle donne in menopausa, la caduta dei capelli è certamente il primo per il forte impatto sull'autostima e sul benessere emotivo. Sfortunatamente, ad oggi le opzioni terapeutiche sul mercato sono limitate e invece, è un problema molto frequente: colpisce circa il 40% delle donne sopra i 60 anni. Ora però, al meeting annuale della North American Menopause Society, che si è tenuto a Washington, è stata presentata una nuova opportunità di cura che riaccende le speranze di molte pazienti che sperimentano il disagio della perdita di capelli, a causa dei cambiamenti ormonali. Si tratta dei nutraceutici, composti bioattivi derivati da fonti alimentari, le cui proprietà sono state descritte in uno studio dell’Ablon Skin Institute and Research Center in California.
Ha un nome un po' complicato: CD14+ DC3. E' una cellula presente nella pelle umana che potrebbe essere responsabile di una serie di infiammazioni della cute, comuni in malattie come la dermatite atopica e la psoriasi. A formulare questa nuova ipotesi è un gruppo di ricercatori del Singapore Immunology Network, del Dipartimento di Dermatologia presso la Kyoto University Graduate School of Medicine, del partner industriale Galderma, e dello Research Institute of Singapore (https://www.a-star.edu.sg/sris), in uno studio pubblicato sul Journal of Experimental Medicine.
L'Alzheimer colpisce prevalentemente il cervello, ma la malattia può svilupparsi anche a causa del fegato. Uno studio condotto dalla Curtin University di Bentley, in Australia, ha scoperto che la proteina amiloide prodotta nel fegato può contribuire alla neuro-degenerazione associata all’Alzheimer. I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista Plos Biology, possono aprire la strada a nuove strategie di prevenzione e nuovi trattamenti più efficaci contro una delle più diffuse malattie neurodegenerative.
Una nuova strategia terapeutica potrebbe riaccendere la speranza dei malati di neuroblastoma, una forma rara di cancro che colpisce principalmente i bambini. Si tratta di un'immunoterapia innovativa che utilizza cellule immunitarie “ingegnerizzate” in laboratorio per attaccare due antigeni presenti sulle cellule tumorali. A metterla a punto e a testarla con successo nei topi è stato un gruppo di ricercatori del Lineberger Comprehensive Cancer Center e della Facoltà di Medicina dell’Università della Carolina del Nord in uno studio pubblicato sulla rivista Nature Cancer.
È un nuovo complesso multienzimatico, un gruppo di enzimi, l'interruttore in grado di bloccare la “senescenza cellulare”, ovvero il processo per il quale cellule invecchiando smettono di dividersi. A individuarlo è stato un gruppo di ricercatori dell’Università di Montréal e della McGill University in uno studio pubblicato su Molecular Cell. I risultati mostrano che il complesso enzimatico chiamato HTC (hydride transfer complex) può inibire le cellule dall’invecchiamento, aprendo la strada a nuove strategie di lotta contro il cancro. “L’HTC protegge le cellule dall’ipossia, una mancanza di ossigeno che normalmente porta alla loro morte”, spiega l’autore dello studio Gerardo Ferbeyre, professore di biochimica all'Università di Montreal e scienziato presso il CRCHUM, il centro di ricerca dell’ospedale universitario affiliato.
Uno studio italiano ha individuato una nuova possibile chiave per contrastare il declino cognitivo. Si tratta di ridurre la molecola infiammatoria CCL11 e, in questo modo, accrescere i benefici prodotti dall’allenamento fisico e mentale sull’invecchiamento cerebrale. A mettere a punto questa nuova strategia sono stati i ricercatori del progetto “Train the Brain”, svolto con il sostegno di Fondazione Pisa e coordinato da Lamberto Maffei, che è stato direttore dell’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa. È una realtà attiva sul territorio pisano e in quasi dieci anni ha coinvolto centinaia di anziani.
E’ possibile monitorare e combattere lo stress anche attraverso un semplice esame del sangue. Basta controllare i livelli delle staminali, quelle cellule che hanno il compito di “riparare” i danni che ogni giorno si verificano nel nostro organismo. E’ quanto afferma Eugenio Caradonna, presidente della Società Italiana di Medicina e Chirurgia Rigenerativa Polispecialistica (SIMCRI). “Il cambio di stagione, il Covid e i consueti problemi personali possono trasformare settembre in un mese 'nero' per milioni di italiani. Si calcola infatti che un italiano su tre soffre di alti livelli di stress", sottolinea Caradonna. "Non si tratta quindi di trascurabile e limitato problema di salute - continua - in quanto l’esaurimento svolge un’azione molto dannosa sull’intero organismo e sulla nostra capacità di rigenerare i tessuti delle cellule. E’ un fattore di rischio che a lungo andare può anche portare ad invecchiamento precoce oppure a gravi malattie cardio-circolatorie o neurodegenerative”.
L’esposizione a lungo termine al rumore del traffico su strade e ferrovie potrebbe essere associata a un rischio più elevato di sviluppare demenza, in particolare la malattia di Alzheimer. E' questa l’allarmante ipotesi che emerge da uno studio condotto dagli scienziati della University of Southern Denmark, del Danish Cancer Society Research Center, dell’Università di Copenaghen e della Aarhus University, che hanno valutato la correlazione tra l’inquinamento acustico e la possibilità di sviluppare demenza. I risultati sono stati pubblicati sul British Medical Journal.