L’uso delle sigarette elettroniche è associato a un aumento delle probabilità di sviluppare il prediabete, una condizione che predispone al diabete vero e proprio. A suggerirlo è uno studio della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health di Baltimora, pubblicato sull’American Journal of Preventive Medicine. I risultati aggiungono nuove importanti evidenze sugli effetti delle sigarette elettroniche sulla salute e possono aiutare a plasmare le migliori pratiche di salute pubblica. “Il nostro studio ha dimostrato una chiara associazione tra il rischio di prediabete e l’uso di sigarette elettroniche”, spiega il ricercatore capo Shyam Biswal della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health. “Con l’uso di sigarette elettroniche e la prevalenza del prediabete in drammatico aumento nell’ultimo decennio, la nostra scoperta che le sigarette elettroniche comportano un rischio simile alle sigarette tradizionali per quanto riguarda il diabete è importante per comprendere e curare le persone vulnerabili”, aggiunge.
Un solo test, rapido e accurato, capace di riconoscere oltre 50 malattie genetiche neurologiche e neuromuscolari rare, come la malattia di Huntington, la sindrome dell’X fragile, le atassie cerebellari ereditarie, le distrofie miotoniche, le epilessie miocloniche o la malattia dei motoneuroni. E' quanto sviluppato da un gruppo di ricercatori del Garvan Institute of Medical Research di Sydney e da diversi altri enti internazionali affiliati a istituti in Australia, Regno Unito, Stati Uniti e Israele. Stando a quanto riportato dalla rivista Science Advances, il gruppo di ricerca ha diagnosticato una serie di condizioni provocate da sequenze di DNA ripetitive insolitamente lunghe.
È l'incubo di molte mamme e di molti papà. Il virus respiratorio sinciziale (RSV), infatti, è uno dei più comuni e subdoli nemici dei bambini molto piccoli. Tutti i neonati sono infatti a rischio di essere colpiti da questo virus e di sviluppare di conseguenza una polmonite, che può richiedere il ricovero in ospedale. Ma presto potrebbe arrivare una soluzione: il primo anticorpo monoclonale in grado di ridurre del 74,5 per cento le infezioni del tratto respiratorio inferiore causate da RSV. Si tratta di nirsevimab, la cui efficacia a lunga durata è stata dimostrata in uno studio di fase 3 pubblicato sul New England Journal of Medicine.
Ci sono benefici inaspettati nel fare le faccende domestiche, come lavare i piatti, cucinare e fare giardinaggio. Uno studio dell’Università della California di San Diego ha dimostrato che per gli anziani anche il semplice “stare in piedi” per svolgere le classiche attività di routine può essere d'aiuto nel ridurre il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari. I risultati, pubblicati sul Journal of the American Heart Association, suggeriscono nuovi modi più facili e semplici per proteggere la propria salute cardiaca.
Più i quartieri offrono spazi percorribili facilmente a piedi, minori sono le possibilità che i residenti soffrano di obesità e diabete. In questo senso l’organizzazione urbana - edifici, quartieri, parchi, piste cicalabili, ecc - può avere un impatto diretto sulla salute delle persone. A confermarlo è stata una metanalisi condotta dall’Università di Toronto in Canada, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Endocrine Reviews.
Il Parkinson potrebbe essere causato, almeno in parte, da eventi biochimici legati allo stress cellulare, che interrompono un sistema chiave di pulizia delle cellule, portando alla formazione di aggregati proteici che danneggiano il cervello. L’ipotesi emerge da uno studio di un gruppo di scienziati della Scripps Research di La Jolla, pubblicato sul Journal of Neuroscience, che potrebbe portare allo sviluppo di nuovi trattamenti. “Riteniamo che i nostri risultati su questo processo che apparentemente guida la malattia siano importanti per lo sviluppo di composti che possono inibire specificamente il processo di diffusione della malattia nel cervello”, dice Stuart Lipton del dipartimento di medicina molecolare dello Scripps Research e ricercatore che ha guidato lo studio.
Coloro che fanno uso di anfetamine hanno un maggior rischio di sviluppare sintomi legati alla psicosi. Più precisamente il consumo di queste sostanze aumenta di ben 5 volte le probabilità di sviluppare questo terribile disturbo. A individuare questo preoccupante legame è stato uno studio condotto dagli scienziati del China Medical University Hospital e pubblicato sulla rivista Evidence Based Mental Health. Stando a quanto emerge dal lavoro, tutte le fasce d’età, ma in particolare per gli over 45 anni, sono risultate più a rischio di sviluppare psicosi in caso di consumo di sostanze anfetaminiche.
Una miscela di sostanze chimiche ambientali a cui siamo continuamente esposti aumenta il rischio di deficit neurologico nei nascituri, in particolare un ritardo del linguaggio. A dimostrarlo è stato lo studio europeo EDC-MixRisk, pubblicato sulla rivista Science, che richiama così l'attenzione sulla necessità di rivedere le politiche di valutazione del rischio chimico, ad oggi limitate all'analisi di ciascuna sostanza singolarmente. Allo studio hanno contribuito anche ricercatori italiani dell'Università degli Studi di Milano e dell'Istituto Europeo di Oncologia e Human Technopole.
Un nuovo tipo di linfociti ingegnerizzati, capaci di riconoscere in modo altamente specifico le cellule della leucemia mieloide acuta e di restare in circolo più a lungo, pronti a riattivarsi in caso di recidiva. È questa l’innovativa terapia – che utilizza recettori TCR in grado di riconoscere la proteina tumorale WT1 – messa a punto nei laboratori dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, sotto la guida di Chiara Bonini, vice direttrice della Divisione di Ricerca in Immunologia Trapianti e Malattie Infettive e professore ordinario di Ematologia presso Università Vita-Salute San Raffaele. La ricerca è frutto della collaborazione con la company statunitense Intellia Therapeutics. Sulla base dei risultati di sicurezza ed efficacia ottenuti in laboratorio, pubblicati su Science Translational Medicine, Intellia ha già ottenuto il via libera dagli enti regolatori americani e inglesi per iniziare la prima sperimentazione clinica in pazienti con leucemia mieloide acuta.
Il rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer è strettamente legato alle nostre abitudini di sonno. Un gruppo di ricercatori del Rensselaer Polytechnic Institute (Usa) ha dimostrato che la capacità del cervello di eliminare una proteina legata all’Alzheimer potrebbe essere in parte guidata da un regolare ciclo circadiano. I risultati, pubblicati sulla rivista Plos Genetics, aprono la strada a nuovi modi per contrastare questa malattia neurodegenerativa sempre più diffusa.
È in corso una pandemia più grande e più subdola di quella causata da Covid-19. È la solitudine, un sentimento così diffuso e forte che, in molti casi, arriva a provocare veri e propri disturbi fisici e mentali. A lanciare l'allarme è stato un gruppo di scienziati Università di Sydney in uno studio pubblicato sul British Medical Journal. I risultati mostrano come, nei Paesi industrializzati, almeno una persona su 12 sperimenta conseguenze sul piano fisico o mentale derivanti dalla solitudine.
Le donne che durante la gravidanza soffrono di apnea notturna potrebbero avere maggiori probabilità di mettere al mondo bambini a cui verrà diagnosticato l'autismo. Il rischio riguarda solo i bambini di sesso maschile. Almeno secondo quanto rilevato da un gruppo di ricercatori dell’Università del Wisconsin-Madison negli USA in uno studio pubblicato sulla rivista PLOS Biology. I risultati evidenziano un legame tra apnea notturna e disturbi dello sviluppo neurologico e forniscono un potenziale meccanismo per spiegare il collegamento.
Una nuova terapia genica potrebbe rivoluzionare il trattamento della talassemia, una malattia del sangue ereditaria molto grave causata da un difetto genetico che provoca la distruzione dei globuli rossi. Uno studio internazionale, a cui hanno preso parte ricercatori dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma, ha dimostrato che la terapia “betibeglogene autotemcel” (beti-cel) è in grado di liberare il 91 per cento dei pazienti con talassemia dalla “schiavitù” delle trasfusioni. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista New England Journal of Medicine.
Non c'è solo la riabilitazione fisica. Dopo un ictus cerebrale, molto spesso, serve anche uno specifico supporto psicologico. Si stima infatti che dopo un ictus cerebrale un terzo dei sopravvissuti sviluppi la depressione. Nonostante questi numeri, questa condizione viene largamente sotto-diagnosticata e spesso non trattata. A puntare i riflettori sull’argomento è A.L.I.Ce. Italia Odv, Associazione per la Lotta all’ictus cerebrale.
Coloro che fanno sport vivono meglio e più a lungo. Forse è per questo, secondo uno studio della Harvard Medical School, gli esseri umani potrebbero essersi evoluti addirittura per fare attività fisica anche in età avanzata. Stando ai risultati pubblicati sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, l'attività fisica sembra associata a una serie di benefici che si possono sperimentare a tutte le età, per cui è fondamentale dedicare del tempo all’esercizio per una vita più sana e longeva.
Un nuovo marcatore di rischio per il tumore della prostata potrebbe aggiungersi al più noto e controverso dosaggio del PSA, cioè del cosiddetto “antigene prostatico specifico”. Uno studio condotto dagli scienziati dell’Imperial College London ha scoperto che un aumento dei livelli ematici della lipoproteina A, responsabile del trasporto del colesterolo nel sangue, potrebbe essere collegato a un maggiore rischio di cancro alla prostata. Lo studio, pubblicato sulla rivista Plos One, si è basat sui dari della Biobanca inglese e del consorzio Prostate Cancer Association Group to Investigate Cancer Associated Alterations in the Genome (PRACTICAL), che esamina i fattori di rischio del cancro alla prostata.
E' possibile sapere in anticipo se un paziente affetto da tumore risponderà più o meno bene all'immunoterapia. Basta infatti guardare alla frequenza di un sottogruppo di cellule immunitarie, i linfociti CD137+, che sono un segnale di benessere del sistema immunitario. A individuare questo nuovo potenziale biomarcatore è stato uno studio condotto dal Laboratorio di Immunologia dei tumori e terapie cellulari del Dipartimento di Medicina sperimentale della Sapienza Università di Roma, dall’Unità di Oncologia B e dal Dipartimento di Radiologia, oncologia e patologia del Policlinico Umberto I, in collaborazione con il Dipartimento di Oncologia del Policlinico Universitario Agostino Gemelli. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Clinical Cancer Research.
L'allergia alle arachidi può essere trattata con successo nei bambini. L'immunoterapia orale sembra infatti funzionare bene prima dei 4 anni d'età. Lo ha dimostrato un gruppo di ricercatori dell'Università della Arkansas for Medical Sciences (Usa) in uno studio pubblicato sulla rivista The Lancet che ha coinvolto un totale di 146 bambini allergici alle arachidi. I test condotto hanno permesso di misurare la desensibilizzazione, tramite un consumo "sicuro" di 5000 mg di proteine in polvere di arachidi, e la remissione, ovvero la capacità di ripetere questa sfida alimentare 26 settimane dopo la fine del trattamento.
Una restrizione calorica severa e ciclica, sotto supervisione medica, attiva il sistema immunitario e aiuta a combattere più efficacemente il cancro. A dimostrare la sicurezza e l'efficacia della cosiddetta dieta mima-digiuno è uno studio condotto da un gruppo di ricercatori presso la Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, in collaborazione con l’Istituto FIRC di Oncologia Molecolare (IFOM) e con il supporto di Fondazione AIRC. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Cancer Discovery, pochi giorni prima dell'inizio della campagna “Le Arance della Salute” di AIRC previsto per il prossimo sabato, dedicata alla promozione degli stili di vita.
Mentre siamo tutti concentrati nella battaglia contro il virus Sars-CoV-2, continuano a farsi largo i “super-batteri” che solo nel 2019 hanno ucciso direttamente ben 1,27 milioni di persone. Un bilancio molto più pesante rispetto a quello die morti per AIDS e malaria, secondo quanto si legge in un report pubbliccato sulla rivista The Lancet. Si stima che l’AIDS e la malaria abbiano causato rispettivamente 860.000 e 640.000 morti nel 2019. Non solo. Le infezioni resistenti agli antibiotici hanno avuto un ruolo chiave in 4,95 milioni di decessi.