C’è uno stretto legame tra la scarsa qualità del sonno e l’obesità. Sebbene alcuni studi collegassero la prima a un aumento del rischio della seconda, in realtà la relazione potrebbe essere invertita. Uno studio condotto dai ricercatori della Perelman School of Medicine presso l’Università della Pennsylvania e dell’Università del Nevada, infatti, suggerisce che l’eccesso di peso provocherebbe difficoltà a dormire. Per arrivare a queste conclusioni, pubblicate sulla rivista PLOS Biology, i ricercatori hanno condotto una serie di test sui vermi “Caenorhabditis elegans”.
Giocare a Guitar Hero non è mai stato così emozionante come quando lo ha fatto la prima volta Ian Burkhart, dopo quel terribile incidente che gli ha causato la paralisi degli arti superiori e inferiori. Il 28enne dell’Ohio è riuscito ad afferrare quella speciale chitarra, muovere le dita sui pulsanti e, soprattutto, sentire veramente quello strumento nella sua mano. Tutto questo grazie a un sofisticatissimo impianto cerebrale e a un’interfaccia cervello-computer (BCI). Un sistema realizzato dagli scienziati del Battelle Memorial Institute negli Stati Uniti in uno studio pubblicato su Cell.
Se ci sono vantaggi per la salute fisica nel rinunciare al consumo di carne, potrebbero non essercene per quella mentale. Uno studio condotto dall’Università dell'Alabama ha infatti dimostrato che una dieta vegetariana o vegana, che non prevede quindi il consumo di carne, potrebbe essere correlata ad un aumento nelle probabilità di sviluppare depressione, ansia o comportamenti autolesivi. I risultati, pubblicati sulla rivista Critical Review in Food Science and Nutrition, suggerirebbe dunque che la carne faccia bene alla salute mentale.
L’emergenza legata alla pandemia Covid-19 non ferma l’eccellenza dei chirurghi pediatrici italiani. L’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, in collaborazione con gli specialisti dell’Ospedale Policlinico di Milano (Clinica Mangiagalli) e dell’Ospedale San Pietro - Fatebenefratelli di Roma, ha eseguito con successo una delicata procedura in utero su un feto di 28 settimane, affetto da una grave forma di ernia diaframmatica congenita. I chirurghi hanno posizionato un palloncino nella trachea del feto, ancora nella pancia della mamma, per consentire lo sviluppo dei polmoni e aumentare le chance di sopravvivenza.
Per gli italiani amanti dell’espresso potrà sembrare un grave affronto, ma il caffè allunga la vita solo se filtrato. In altre parole solo se lo si prepara “all’americana”. A dirlo è uno studio ventennale dell’Università di Göteborg, Svezia, pubblicato sull’European Journal of Preventive Cardiology. I risultati lasciano poco spazio alle interpretazioni. Nell’arco di due decenni, infatti, i ricercatori hanno seguito oltre mezzo milione di uomini e donne norvegesi sani con un’età compresa tra i 20 e i 79 anni. Ebbene, hanno scoperto che bere caffè bollito o non filtrato aumentava il rischio di morte per cause cardiovascolari, negli uomini di età pari o superiore a 60 anni. Mentre, bere caffè filtrato è risultato più salutare che non berlo affatto.
Prima si scopre e più possibilità ci sono per eliminarlo. E' da anni una sorta di mantra che gli oncologi continuano a ripetere con l'obiettivo di rendere il cancro sempre più curabile. Per questo la cosiddetta biopsia liquida può essere considerata un "punto di svolta" nella diagnosi precoce dei tumori. In particolare, per quelli che colpiscono il colonretto. Un gruppo di ricercatori dell’Istituto Tumori Regina Elena e del Gruppo Eurofins Genoma ha svolto uno studio collaborativo che dimostra che la biopsia liquida potrebbe essere determinante, se solo fosse impiegata in modo capillare su soggetti a rischio, e più in là nel tempo anche sulla popolazione generale. I risultati sono stati pubblicati sul Journal of Experimental & Clinical Cancer Research.
Le cellule killer del nostro sistema immunitario potrebbero rappresentare un nuovo bersaglio terapeutico per rallentare la progressione della Sclerosi laterale amiotrofica (Sla) e aumentare la sopravvivenza dei malati. Un nuovo studio internazionale, che ha visto il coordinamento e la collaborazione di tre dipartimenti dell’Università Sapienza di Roma, ha dimostrato per la prima volta il coinvolgimento delle cosiddette cellule Natural Killer (NK) nelle prime fasi di sviluppo della malattia. Il lavoro, pubblicato sulla rivista Nature Communications, aprirebbe la strada allo sviluppo di cure mirate più efficaci.
Praticare uno sport o giocare con un videogioco, anche se di azione, non è affatto la stessa cosa. Non solo per gli effetti sul fisico, ma anche per quelli sulla mente. Uno studio condotto dal Dipartimento di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca ha dimostrato che gli adolescenti che praticano sport con regolarità e in modo intensivo sono più abili a mantenere l’attenzione per un tempo prolungato rispetto a chi non pratica sport, mentre i videogiocatori d’azione sono meno abili dei videogiocatori non di azione. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Quarterly Journal of Experimental Psychology.
Una nuova serie di patologie si aggiunge alla già lunga lista di quelle che l’assunzione regolare di aspirina aiuta a prevenire. Oltre alle malattie cardiovascolari, questo comunissimo farmaco sembra in grado di ridurre anche il rischio di sviluppare diversi tumori dell’apparato gastrointestinale: da quello del colonretto a quello dell’esofago, dal tumore del cardias a quello dello stomaco, fino ai tumori epatobiliari e a quello al pancreas. Lo dimostra la più ampia e completa analisi sull'argomento mai fatta, coordinata dall’Unità di Epidemiologia dei Tumori dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Annals of Oncology.
In apparenza tra asma e carboidrati non sembra esserci alcuna relazione. Ma in realtà il loro consumo o meno potrebbe determinare la gravità dei sintomi della malattia. Uno studio dell'Università di Bonn ha infatti scoperto che una dieta chetogenica, a basso contenuto di carboidrati, potrebbe aiutare a lenire l’asma. I risultati, pubblicati sulla rivista Immunity, potrebbero indurre gli asmatici a riconsiderare la propria alimentazione e potrebbero portare gi scienziati a sviluppare nuovi farmaci più efficaci. Tuttavia, non siamo che all’inizio della comprensione del legame tra dieta “low carb” e sintomi dell’asma.
L’emergenza causata dal Covid-19 potrebbe essere solo una delle molte altre gravi pandemie che avremo in futuro. L’intervento dell’uomo sulla Natura può infatti influire sull'apparizione e la diffusione di nuove malattie infettive. Uno studio condotto da un gruppi di ricercatori della UC Davis School of Veterinary Medicine, in California, ha concluso che lo sfruttamento della natura con la caccia e il commercio, la degradazione degli habitat e l’urbanizzazione alla fine favoriscono il contatto stretto tra esseri umani e animali selvatici, aumentando così il rischio che avvengano passaggi di virus tra le due specie. Le conclusioni degli studiosi, pubblicate sulla rivista Proceedings of the Royal Society B, sembrano quindi suggerire che i fattori che portano al declino e all’estinzione di intere popolazioni di animali sono gli stessi che portano alla diffusione di nuove malattie, come SarsCov2.
In futuro sarà possibile curare un cuore danneggiato quasi come oggi è possibile curare una banale ferita a un braccio, applicando cioè uno speciale cerotto. Un gruppo di ricercatori della North Carolina State University, infatti, ne ha realizzato uno in grado di aiutare le cellule cardiache a riparare la lesione causata da un infarto, fornendo importanti fattori di guarigione. Il cerotto cardiaco, descritto sulla rivista Science Translational Medicine, è stato testato con successo sui ratti e sui maiali. Non è la prima volta che gli scienziati provano a utilizzare un cerotto come terapia cellulare direttamente sul sito di una lesione cardiaca. Tuttavia, quelli sviluppati prima del nuovo studio erano fragili e costosi. Inoltre, richiedevano molto tempo per essere preparati e, poiché utilizzavano materiale cellulare vivo, aumentavano il rischio di tumori e aritmia.
Essere stacanovisti non fa bene alla salute. Anzi chi lavora troppo ha maggiori probabilità di avere una tiroide ipoattiva, una condizione conosciuta come ipotiroidismo e legata a diversi altri disturbi, come malattie cardiache e diabete. Uno studio del National Cancer Center di Goyang-si, in Corea del Sud, ha scoperto che l’ipotiroidismo è due volte più comune nelle persone che lavorano più di 53 ore a settimana, rispetto invece a coloro che lavorano dalle 36 alle 42 ore alla settimana. I risultati dello studio sono stati pubblicati sul Journal of the Endocrine Society e, se non fosse stata per l’emergenza Covid-19, sarebbero stati presentati in occasione del meeting annuale dell’Endocrine Society a San Francisco.
Un solo test in grado di individuare più di 50 tipi di tumore diversi, compresi i “12 big killer”, quelli con la più alta mortalità. E' in sostanza il risultato di una mega-impresa, iniziata qualche anno fa e a cui partecipano i più importanti centri oncologici americani e britannici, tra cui il Dana Farber Cancer Institute di Boston e il Francis Crick Institute di Londra. I risultati, pubblicati sugli Annals of Oncology, non avranno subito implicazioni nella diagnosi e nello screening. Non certamente in tempi brevi. Ma, secondo gli esperti, ci avvicinerebbero all’ambizioso obiettivo di un solo esame per prevedere con molto anticipo lo sviluppo di quasi tutti i tumori
Il fenomeno è noto e non è mai morto. Anzi con l’epidemia di Coronavirus ha ripreso il volo, sulle ali della paura scatenata dalla pandemia e della fantasia dei maestri delle truffe on line. Così, inevitabilmente, col procedere della quarantena è aumentato di pari passo il lavoro di Nas, finanzieri e Antitrust a caccia si siti illegali pronti a vendere agli sprovveduti la cura “anti-Covid” miracolosa.
Le persone esposte continuamente all’inquinamento atmosferico hanno maggiori probabilità di sviluppare la demenza, soprattutto se soffrono anche di malattie cardiovascolari. L’aria inquinata, infatti, favorisce l’insorgenza di disturbi cardiovascolari, tra cui l’ictus. Lo ha scoperto uno studio diretto da Giulia Grande, una scienziata italiana che lavora presso l’Istituto Karolinska di Stoccolma e pubblicato sulla rivista Jama Neurology. Secondo i ricercatori, questi risultati dovrebbero indurre i pazienti con malattie cardiovascolari che vivono in ambienti inquinati a richiedere un supporto aggiuntivo agli operatori sanitari per prevenire la demenza.
E’ un potenziale biomarcatore e al tempo stesso un potenziale bersaglio terapeutico contro la cachessia, una sindrome che colpisce più del 50% dei pazienti con cancro avanzato con gravi conseguenze sulla qualità della vita e, in alcuni casi, sulla prognosi della malattia. Si tratta del recettore RAGE, tecnicamente recettore per i prodotti finali di glicazione avanzata, il cui ruolo nella cachessia è stato descritto per la prima volta dal gruppo di ricerca Myolab del Dipartimento di Medicina Sperimentale dell’Università degli Studi di Perugia, dell'Università Sapienza di Roma e della Sorbona di Parigi. Lo studio, frutto di un ampio progetto finanziato dalla Fondazione AIRC (https://www.airc.it/), è stato pubblicato sul Journal of Cachexia Sarcopenia and Muscle.
Per anni la ricerca delle cause dell’Alzheimer si è concentrata su una proteina in particolare, la beta-amiloide, il cui accumulo nel cervello è considerato un segnale della malattia. Poi l’interesse si è spostato su un’altra proteina, la Tau, che potrebbe giocare un ruolo importante tanto quanto o addirittura superiore alla beta-amiloide. Uno studio coordinato dal gruppo di ricerca di Chimica delle biomacromolecole dell’Università di Verona, condotto in collaborazione dell’Università di Padova, ha aggiunto all’interesse verso la sola Tau anche il suo rapporto con un’altra proteina, l’ubiquitina. I risultati, pubblicati sulla rivista Angewandte Chemie, suggeriscono nuove strategie farmacologiche basate sul sistema Tau-ubiquitina contro la neurodegenerazione legata all’Alzheimer.
Alla già lunghissima lista di effetti collaterali di una dieta ricca di sale se ne aggiunge un altro che può compromettere le nostre difese naturali. Uno studio condotto dal Policlinico universitario di Bonn ha scoperto che troppo sale a tavola può compromettere il funzionamento del sistema immunitarie e, quindi, riduce la possibilità di contrastare efficacemente le infezioni batteriche. I risultati, pubblicati sulla rivista Science Translational Medicine, suggeriscono un altro valido motivo per limitare il consumo di sale a tavola.
Sette o otto ore a notte. Né di più e né di meno. E’ rispettando questi tempi che è possibile proteggere la propria salute cardiovascolare. Sforare le 8 ore o dormire meno di 7 ore a notte, infatti, influisce negativamente sulla rigidità delle arterie, che a sua volta aumenta le probabilità di sviluppare malattie cardiache o di avere un ictus. A dimostrarlo è stato uno studio condotto da Evangelos Oikonomou, scienziato della Yale University, che suggerisce di raggiungere e mantenere la giusta quantità di sonno a notte. I risultati sono stati presentati al meeting annuale dell’American College of Cardiology, il più importante congresso di cardiologia del mondo.