Correva tra i prati con una capretta, proprio come faceva da piccola. E' questo quello che una donna di 82 anni ricorda dell'eccezionale intervento a cui è stata sottoposta senza anestesia, ma con l'ipnosi. L'operazione, effettuata nella sala ibrida dell'ospedale Niguarda di Milano, consiste nella sostituzione di una valvola cardiaca per via percutanea durato poco più di un’ora. Normalmente questo intervento richiede la somministrazione di farmaci sedativi. Si tratta infatti di una procedura mini-invasiva con cateteri sottilissimi “che viaggiano all’interno” del corpo con al loro interno una valvola di bio-materiale auto-espandibile.
Il liquido seminale potrebbe essere una vera e propria sentinella per il rischio Covid-19. Un gruppo di ricercatori italiani ha scoperto infatti che la valutazione della qualità seminale per la rilevazione precoce del rischio di Covid-19 rappresenta un possibile nuovo approccio metodologico in sanità pubblica. Il lavoro, pubblicato in preprint ha preso in esame la sovrapposizione sorprendente fra aree a maggiore tasso di mortalità al mondo per Covid-19, tasso di inquinamento atmosferico e declino della qualità del seme negli ultimi decenni. Ebbene, i risultati sembrano indicare come la maggiore suscettibilità di una data popolazione ad insulti patogeni, compreso il coronavirus, possa essere valutato attraverso la qualità del seme maschile.
L'acqua potrebbe fare la differenza nel recupero da un ictus cerebrale. E' quella che si chiama idrochinesiterapia, una forma di riabilitazione in acqua che si effettua per diverse patologie. In particolare, la Fondazione Santa Lucia IRCCS ha validato un nuovo protocollo di idrochinesiterapia che, rispetto alla terapia in acqua tradizionale, offre un incremento del 30 per cento nel livello di recupero delle funzioni motorie e dell’equilibrio. I pazienti che hanno partecipato al nuovo protocollo, denominato “Approccio Propedeutico Sequenziale”, hanno recuperato maggiormente rispetto ai pazienti del gruppo di controllo, riuscendo a camminare senza la necessità di un ausilio e migliorando l’equilibrio con una riduzione del rischio di cadute da “medio” a “basso”.
Il trial clinico, diretto da Marco Tramontano e pubblicato sulla rivista Frontiers in Neurology, ha coinvolto 33 pazienti tra i 25 e gli 80 anni, colpiti da ictus e con diagnosi di emiplegia, cioè deficit dovuto ad una lesione neurologica che paralizza un lato del corpo. I pazienti sono stati seguiti con trattamento ambulatoriale 2 volte a settimana. Sia il gruppo di pazienti inclusi nel nuovo protocollo che il gruppo di controllo, hanno riscontrato un miglioramento sostanziale delle loro condizioni fisiche, misurate attraverso numerosi indici tra cui lo Stroke Specific Quality Of Life Scale (SS-QoL) e il Barthel Index Modificato (BIM). Nel gruppo sottoposto al nuovo protocollo terapeutico si è registrato un incremento medio del 30% superiore al gruppo di controllo su tutti gli indici, dimostrando la validità del metodo applicato. Il risultato è stato confermato anche nella verifica di follow-up ad un mese dal termine di entrambi i protocolli di idrochinesiterapia.
L’idrochinesiterapia è un approccio terapeutico che si avvale delle proprietà fisiche dell’acqua per incrementare l’efficacia delle terapie incluse nel percorso di neuroriabilitazione. Questo approccio terapeutico, per alcune tipologie di pazienti, è da tempo considerato efficace soprattutto se somministrato in modo complementare alla terapia in palestra. L’accesso ad una piscina di idrochinesiterapia è per questo inserito tra gli standard necessari per gli ospedali di neuroriabilitazione. “Lo studio ha diversi risvolti clinici rilevanti", spiega Tramontano. “Il primo è che un approccio sequenziale e propedeutico è applicabile anche in ambiente acquatico e non solo in Palestra, il secondo è che in entrambi i gruppi la spasticità non è aumentata ma bensì ridotta alla fine della sperimentazione confermando gli effetti terapeutici dell’idrochinesi terapia sull’ipertono", conclude.
Ancora un nuovo record per il nostro sistema trapianti. Per la prima volta al mondo è stata ricostruita la caviglia di una bambina di 9 anni, affetta da una rarissima forma di sarcoma, usando un osso da donatore e un chiodo allungabile in modo da permettere la regolare crescita dell’arto senza necessità di ulteriori interventi. Questo nuovo ed eccezionale intervento è stato effettuato presso l'ospedale Infantile Regina Margherita di Torino da un’équipe di chirurghi ortopedici della Città della della Salute di Torino e dell'Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna. Grazie all’intervento, la piccola paziente potrà tornare a camminare.
Per una malattia incurabile come la Sclerosi laterale amiotrofica (Sla) arrivare a una diagnosi precocemente è fondamentale per garantire ai pazienti un accesso tempestivo ai trattamenti. Per questo la scoperta di un nuovo biomarcatore, rilevabile dalla saliva, rappresenta un traguardo importante nella lotta alla Sla. A farla è stato un gruppo di ricercatori dell’IRCCS Fondazione Don Gnocchi e dell’IRCCS Istituto Auxologico Italiano in uno studio pubblicato sulla rivista Scientific Reports.
La ricerca medica non si limita soltanto alla creazione di farmaci nuovi, ma si concentra anche sulla messa a punto di metodi produttivi più economici ed efficienti. E' per questo che un gruppo di ricerca guidato da Goetz Laible di AgResearch, un istituto di ricerca situato in Nuova Zelanda, ha modificato geneticamente delle capre: dal latte di questi animali "ingegnerizzati" è possibile ottenere farmaci costosi. In uno studio pubblicato su bioRxix, i ricercatori hanno manipolato geneticamente le capre affinché possano produrre nel loro latte un comune ed esoso farmaco anti-cancro, riducendo così i costi di produzione.
Molti dei nuovi farmaci di successo che vengono utilizzati come trattamenti per il cancro sono molto costosi perché sono proteine complesse, chiamate anticorpi monoclonali, notoriamente complicati da produrre. Il farmaco cetuximab usato per il cancro intestinale, ad esempio, è prodotto da cellule di topo che sono state geneticamente progettate per produrre un anticorpo monoclonale specifico. Questo costoso processo di produzione implica che il farmaco, venduto con il nome di Erbitux, abbia sul mercato un costo abbastanza elevati. Nel nuovo studio i ricercatori volevano scoprire se si potesse produrre il cetuximab a un prezzo più basso ingegnerizzando geneticamente le capre in modo da farle produrre il farmaco nel loro latte. Così gli scienziati hanno inserito alcuni geni in embrioni di capra che contenevano le "istruzioni" su come produrre il cetuximab nelle ghiandole mammarie. Gli embrioni sono stati impianti nelle capre femmina che hanno dato alla luce la loro progenie geneticamente modificata cinque mesi dopo.
Ebbene, la progenie era tutta di sesso femminile ed è risultata in grado di produrre circa 10 grammi di cetuximab in ogni litro di latte. "È molto più economico produrre cetuximab negli animali perché le loro ghiandole mammarie possono produrre grandi quantità di proteine", afferma Laible. Inoltre, la manipolazione genetica non sembra influenzare la salute delle capre. Secondo i ricercatori, lo stesso processo potrebbe potenzialmente essere utilizzato per produrre altri farmaci anticorpali monoclonali. Tuttavia, bisogna ancora dimostrare di poter garantire che i farmaci derivati dal latte animale abbiano gli stessi standard e la stessa purezza di quelli prodotti nelle cellule. Il prossimo passo di Laible e dei suoi colleghi sperano è di testare il cetuximab derivato dalle capre negli esseri umani per confermare che sia sicuro ed efficace come il prodotto originale.
C'è un modo per diagnosticare l’encefalopatia traumatica cronica (CTE), una malattia progressiva degenerativa del cervello che può verificarsi dopo un trauma cranico reiterato e che solitamente si rileva solo attraverso la biopsia del tessuto cerebrale post mortem. L'esame proposto è un particolare test di risonanza magnetica che potrebbe rivelarsi utilissimo specialmente per i calciatori, i soggetti più esposti alla CTE. A suggerirlo è stato uno studio condotto da un gruppo di ricercatori della Ben-Gurion University of the Negev (BGU) e pubblicato sulla rivista Brain.
C'è una buonissima ragione per evitare la sedentarietà e non ha che fare con la prova costume. O almeno non solo quella. Uno studio dell'Anderson Cancer Center presso la University of Texas ha mostrato infatti che stare troppo seduti aumenta il rischio di sviluppare cancro, mentre sostituire 30 minuti di sedentarietà con attività fisica di livello da lieve a moderato, come per esempio passeggiare normalmente e con passo rapido rispettivamente, riduce il rischio di morte per tumori dall'8% al 31%. I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista Jama Oncology, confermano l'importanza del movimento fisico nella prevenzione oncologca.
Dal connubio di genetica, virologia e oftalmologia è nato un nuovo approccio che potrebbe in futuro rivelarsi rivoluzionario per il trattamento di alcune gravi malattie oculari. Un gruppo di ricercatori del Trinity College di Dublino e dell'University College London (UCL) ha infatti sviluppato una terapia genica che, si spera, possa portare a una cura contro la retinite pigmentosa, un gruppo di malattie ereditarie della retina che provocano perdita progressiva della vista fino ad arrivare, nei casi più gravi, alla cecità totale. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Stem Cell Reports.
Sappiamo da tempo che fa bene alle ossa e l'emergenza Covid-19 ci ha ricordato il suo ruolo fondamentale per il sistema immunitario. Ora un'ampia ricerca condotta dall'Università della Finlandia orientale e dall'Università autonoma di Madrid mostra che una buona quantità di vitamina D nell'organismo è utile sia per la prevenzione del cancro sia per la prognosi di alcuni tumori, tra cui quelli del colon e del sangue. I risultati, pubblicati sulla rivista Seminars in Cancer Biology, potrebbero aprire la strada a un nuovo e più attento utilizzo della vitamina D nella prevenzione del cancro.
È possibile sapere in anticipo, cioè prima dell'intervento chirurgico, se un paziente rischia l'occlusione del bypass aortocoronarico impiantato. Un gruppo d ricercatori dell’Unità di Biologia cellulare e molecolare cardiovascolare del Centro Cardiologico Monzino ha infatto identificato un biomarcatore che può fornire al cardiochirurgo informazioni preziose per ottimizzare la terapia farmacologica e quindi il risultato dell'operazione di bypass. Si tratta di un insieme specifico di microvescicole, particelle infinitesimali che vengono rilasciate dalle cellule dei vasi sanguigni e del sangue, che rispecchiamo uno stato di attivazione delle piastrine e di produzione di trombina, due condizioni favorevoli ai processi che portano all’occlusione del bypass. I risultati del lavoro italiano sono stati pubblicato sul Journal of the American College of Cardiology.
Le borracce di alluminio potrebbero non essere così tanto sicure come immaginiamo. Anche se nei limiti di legge, infatti, questo tipo di borracce rilascerebbero nell’acqua che beviamo, tracce di metalli e di altri composti chimici, con possibili conseguenze sulla salute. A scoprirlo è stata una ricerca effettuata dal Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive dell’Università La Sapienza di Roma, commissionata da Fondazione Acqua. Si tratta di uno studio unico nel suo genere perché incentrato sul rilascio chimico-fisico di elementi dalle borracce, mentre sino ad ora erano stati valutati solo gli aspetti batteriologici.
Le sigarette elettroniche sono tutt'altro che innocue per la nostra bocca. Uno studio della Ohio State University suggerisce infatti che le e-cig potrebbero favorire la comparsa di parodontite anche in assenza di altri fattori di rischio. La parodontite è una malattia delle gengive che colpisce nelle sue forme più gravi oltre 5 milioni di italiani e che, se non curata, può portare alla perdita di denti, oltre ad essere correlata con malattie sistemiche gravi come il diabete e le malattie cardiovascolari. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Sciences Advances.
Ridare la vista a chi vede sempre e solo buio. È l'ambizioso obiettivo di una nuova promettente terapia genica, sviluppata da un gruppo di ricercatori dell'Istituto di Oftalmologia Molecolare e Clinica di Basilea (IOB) e descritta in un articolo pubblicato sulla rivista Science. Gli scienziati sono riusciti a rendere rendere sensibili alcune cellule di retina cieche a una particolare frequenza di luce. In particolare, dopo il trattamento le cellule di retina sono tornate ad essere sensibili alla luce del vicino infrarosso (NIR), una regione dello spettro elettromagnetico nella banda dell'infrarosso.
Il cancro si diffonde riattivando gli stessi meccanismi con cui si sviluppano l'embrione e la placenta. A fare luce sulle strategie da cui originano le metastasi sono stati due studi, entrambi sostenuto dalla Fondazione AIRC e condotte dal gruppo di ricerca guidato da Vincenzo Costanzo, responsabile del laboratorio che studia il metabolismo del DNA presso IFOM (https://www.ifom.eu/it/) e professore di patologia generale dell'Università di Milano. I risultati, pubblicati sulle riviste Nature Communications ed Elife, potrebbero aprire la strada allo sviluppo di nuove terapie basate sulle risposte immunitarie contro i tumori.
Una rivoluzionaria terapia cellulare per trattare ustioni e gravi difetti cutanei verrà testata in Italia con studi clinici di fase II. L'Agenzia italiana del farmaco, infatti, ha dato il suo via libera al trattamento DenovoSkin che consente di creare in laboratorio, a partire da una piccola biopsia cutanea del paziente, ampi innesti a doppio strato dermo-epidermale da re-impiantare senza rischi di rigetto e con un risultato clinico con cicatrici minime. Le fasi includono studi con bambini e adulti affetti da ustioni o che necessitano di chirurgia ricostruttiva.
Lo chiamano "la culla della vita". Si tratta di un sistema portatile di perfusione del sangue del donatore di cuore che permette di conservare caldo e battente - insomma, vivo - il muscolo cardiaco una volta espiantato, prolungando il tempo necessario per il trapianto. È così che al Cardiocenter dell’ospedale Niguarda di Milano, sostenuto dalla Fondazione De Gasperis, è stato possibile un trapianto con il cuore mantenuto battente e vitale per sei ore dopo il prelievo, salvando la vita a un paziente di 45 anni. "Era necessario prolungare i tempi - spiega il direttore della Cardiochirurgia Claudio Russo - perché in questo caso il donatore presentava un nodulo sospetto al polmone e quest’apparecchiatura, permettendo di mantenere il cuore battente, ha consentito di far passare sei ore tra espianto e trapianto, invece delle quattro ore che sono il massimo per conservare un muscolo cardiaco in condizioni di ischemia, cioè senza sangue". “Il nuovo apparecchio - aggiunge - prevede la presenza di un ossigenatore in cui viene fatto circolare il sangue del donatore stesso, grazie a una pompa e in questo modo è possibile mantenere il cuore caldo e battente e quindi non ischemico come invece avviene in tutte le normali procedure di prelievo”.
Il drumming di gruppo stimola la sincronizzazione comportamentale e fisiologica che contribuisce alla formazione di legami sociali e conseguentemente migliora la capacità di cooperare. Questi i risultati di uno studio, pubblicato sulla rivista Nature, condotto dagli esperti dell’Università israeliana Bar-Ilan, che hanno osservato l’intervallo cardiaco tra i battiti dei partecipanti, che si sono esibiti in una performance di gruppo con i tamburi. “Il lavoro di gruppo e la cooperazione sono fondamentali nella vita di tutti i giorni. Pertanto, è importante esplorare le possibilità che consentono di migliorare la coesione e influenzare le prestazioni”, afferma Ilanit Gordon del Dipartimento di psicologia presso l'Università di Bar-Ilan. “Abbiamo coinvolto 51 gruppi da tre partecipanti per i quali abbiamo monitorato i dati IBI, o battiti cardiaci individuali. Ai soggetti è stato chiesto poi di sincronizzare il tamburo con il ritmo ascoltato grazie a degli altoparlanti”, prosegue il ricercatore, spiegando che metà dei gruppi ha ascoltato un ritmo costante e prevedibile, mentre per i restanti era in continuo cambiamento, praticamente impossibile da seguire.
Cosa avvantaggia quell’1% di popolazione che può mangiare qualsiasi cosa e può anche risparmiarsi la fatica dell’allenamento fisico riuscendo a non ingrassare mai?
A rivelare il “segreto” della costante magrezza di questi rari e fortunati soggetti sono stati i ricercatori della British Columbia University che hanno individuato l’interruttore della magrezza nel gene Alk (linfoma chinasi anaplastico), prodotto in grandi quantità dal cervello, già noto per essere coinvolto nell’insorgenza di alcuni tumori e divenuto dunque bersaglio delle relative terapie oncologiche.
Presto basterà scaricare una App sullo smartphone per misurare i livelli di emoglobina nel sangue. Un gruppo di ricercatori della Purdue University (Usa), del Moi University Teaching and Referral Hospital in Kenya, dell'Università di Indianapolis e della Vanderbilt University School of Medicine (https://medschool.vanderbilt.edu/) negli Stati Uniti ha sviluppato a un software che, tramite uno scatto in primo piano dell’interno della palpebra, può effettuare un conteggio preciso dell’emoglobina. I risultati sono stati descritti sulla rivista Optica.