Bere tè è associato alla preservazione della struttura dell'anca nelle donne anziane.La presenza di danni a carico della struttura dell'anca rappresenta un fattore predittivo indipendente di fratture d'anca di natura osteoporotica. Già studi precedenti avevano dimostrato che l'assunzione di tè è associata a una maggiore densità minerale ossea (BMD) e a una riduzione del rischio di frattura d'anca. Quanto rilevato conferma ulteriormente i benefici del consumo di tè per lo scheletro, e l'assunzione di calcio e caffè con la dieta, l'attività fisica e il fumo non appaiono come fattori interferenti importanti nella correlazione fra tè e BMD. Nell'arco di quattro anni, le donne che bevono tè regolarmente presentano una perdita dell'1,6% della BMD areale dell'anca, a fronte del 4% delle donne che non ne consumano.
Ricercatori francesi dell'ateneo Louis Pasteur stanno studiando una molecola simile al resveratrolo, antiossidante presente nel vino.Il principio attivo in sperimentazione, nominato Srt1720, agisce su una proteina, la Sirt1, che rallenta l'invecchiamento cellulare associato al consumo di alimenti poco sani (cibo spazzatura o junk food), spiegano gli autori nel lavoro pubblicato su Cell Metabolism. Il meccanismo è semplice: la molecola "inganna l'organismo, suggerendogli che il cibo ingerito è scarso e dunque è necessario intaccare le riserve di grasso per sopravvivere". Ma le osservazioni condotte su modelli animali hanno evidenziato un altro inaspettato e benefico effetto. Srt1720 sembrerebbe infatti contrastare l'insulino-resistenza, diminuendo dunque il rischio di insorgenza del diabete.
Gli italiani a tavola cambiano le abitudini e scelgono sempre più spesso il pasto al ristorante.Infatti, se nel 1983 mangiare fuori casa assorbiva una quota pari al 16% del budget riservato all'alimentazione, nel 2007 pranzi e cene al bar e al ristorante coprono il 32% della spesa complessiva. I dati sono stati diffusi da Federalimentare, che in un'indagine rileva come nel 1983 la spesa alimentare riservata ai consumi casalinghi fosse già più alta rispetto agli anni Settanta; e oggi, nonostante la crisi economica, gli italiani non vogliono rinunciare a un'uscita serale al ristorante. Inoltre, sughi e piatti pronti, surgelati, sostituti del pane hanno mostrato negli ultimi cinque anni una crescita del 47%. Prodotti etnici e salutistici registrano la crescita più alta: dal 2003 a oggi l'etnico è cresciuto del 60%, prodotti dietetici e integratori alimentari hanno raggiunto il 59%. Anche a livello nutrizionale c'è stata un'oscillazione dei consumi: dalle 2.546 calorie giornaliere a persona dei primi anni Cinquanta si è passati alle circa 3000 del 1983 e alle circa 2.200 attuali.
Alcuni ricercatori sono giunti alla conclusione che la vicinanza a fonti che rilasciano mercurio nell'ambiente determina un aumento del rischio di autismonei bambini. Alcuni studi osservazionali condotti in Finlandia e Cina sono stati integrati con l'ipotesi secondo cui i bambini autistici avrebbero minori capacità di detossificazione e sarebbero pertanto più predisposti all'accumulo di sostanze neurotossiche nel proprio organismo. Le conclusioni sono state tratte dai dati forniti da un ente americano che si occupa della gestione dei rifiuti industriali, posti in correlazione con la prevalenza di autismo negli studenti di 1040 scuole distrettuali di 254 contee del Texas. L'opportuna valutazione statistica ha evidenziato che la distanza da fonti di mercurio è un fattore predittivo: con un incremento di 10 miglia (16 km circa) di distanza da sorgenti industriali o centrali elettriche il rischio di autismo si riduce rispettivamente del 2% e dell'1,4%.
Il fumo passivo, oltre al danno fisico vero e proprio, può anche creare dipendenza già in tenera età.Un'indagine condotta in Canada su quasi 2000 studenti (10-12 anni) ha raccolto una varietà di informazioni sui bambini e sulle loro famiglie: numero di familiari fumatori (con le rispettive abitudini), esposizione al fumo in auto, sintomi che potevano suggerire dipendenza da nicotina, predisposizione e curiosità personale nei confronti della sigaretta. I 1801 questionari raccolti hanno evidenziato che 1488 bambini non avevano mai fumato e che 69 di questi, pari al 5%, avevano riportato uno o più sintomi da dipendenza da nicotina e la predisposizione a incominciare a fumare. La variabile che si è associata in maniera più forte e indipendente al fenomeno era l'esposizione al fumo passivo nelle auto.
I cardiologi dell'University of Maryland Medical Center di Baltimora hanno notato che i vasi sanguigni si dilatano durante l'ascolto di un brano del genere musicale preferito.I ricercatori hanno monitorato la funzione circolatoria di dieci soggetti sani, con un'età media di 36 anni, intenti ad ascoltare per mezz'ora della buona musica, e per altrettanto tempo una musica capace di generare ansia. Hanno potuto così osservare che l'ascolto della musica preferita è in grado di aumentare del 26% il diametro dell'arteria del braccio (usata di routine nel test di dilatazione dei vasi), mentre ascoltare musica sgradita e percepita come fonte di ansia produce esattamente l'effetto opposto, restringendo del 6% il diametro del vaso. "Abbiamo riscontrato effetti veramente impressionanti - spiega Michael Miller, direttore della cardiologia preventiva del centro di Baltimora - i vasi si aprono in modo significativo, come avviene quando si fa del salutare esercizio fisico". È ipotizzabile, concludono gli autori, che l'ascolto della musica preferita stimoli la produzione di endorfine e che queste abbiano un'influenza sul controllo del livello di dilatazione dei vasi sanguigni.
Le donne in gravidanza che vivono in un contesto rurale rischiano di più, che in città, di sviluppare ipertensione gestazionale.Secondo uno studio dell'Health Sciences Center dell'Università del Colorado di Denver - presentato a Philadelphia al 41esimo meeting annuale dell'American Society of Nephrology - si osserva un aumento del 56% del rischio di ipertensione e pre-eclampsia, che aumenta ancora del 19% se il livello di istruzione è basso. Gli autori, coordinati da Rebecca Moore, hanno analizzato i fattori di rischio per ipertensione gestazionale e pre-eclampsia in oltre 362mila madri, esaminando i certificati di nascita di bimbi nati in Colorado tra il 2000 e il 2006. Complessivamente, la frequenza delle due condizioni cliniche risultava pari al 3,3%. Valutando le caratteristiche e gli stili di vita delle donne coinvolte, è stato, innanzitutto, confermato il peso di fattori di rischio già noti. È stato notato, inoltre, un rischio più basso per le fumatrici (che però mostravano un aumentato rischio per altre complicanze gestazionali) ma significativamente più alto per le donne che vivevano in zone rurali. I motivi restano da chiarire, ma gli studiosi ipotizzano che il risultato possa essere collegato a condizioni di povertà e privazioni sociali più probabili nelle campagne che nelle città.
Presso l'Università del Missouri è stata fatta una valutazione mediante ecografia dello spessore delle arterie di bambini obesio con livelli alti di colesterolo. I ricercatori hanno notato che l'aspetto dei vasi della maggior parte del campione, circa 70 soggetti, era simile a quello che si può osservare in un soggetto di 45 anni in un quadro clinico accompagnato, nei bambini sovrappeso, anche da elevati livelli di trigliceridi. "L'età delle arterie, che in genere indica lo stato di salute di un individuo - ha sottolineato Geetha Raghuveer, che ha partecipato alla ricerca scientifica - è risultata più avanzata e dunque preoccupante nei bambini obesi e con troppi trigliceridi nel sangue. Due indicatori che dovrebbero dunque far scattare l'allarme al medico che li ha in cura, anche se quelli con ipercolesterolemia hanno mostrato risultati simili". Lo stato di salute del sistema vascolare di un bambino è più facile da ristabilire rispetto a un soggetto adulto, ma la preoccupazione da parte degli esperti rimane: "Questi bambini stanno perdendo decine di anni di aspettativa di vita", commentano.
Uno studio condotto dai ricercatori della Ohio State University riabilita la cannabis quale fonte di principi attivi per prevenire o ritardare il morbo di Alzheimer.Gary Wenk e il suo team hanno già dimostrato che il tetraidrocannabinolo, riprodotto in una versione sintetica, aiuta la memoria negli animali. Ora i ricercatori statunitensi stanno compiendo il passo successivo: capire esattamente come funziona e in quale modo questo agente agisce sul cervello. Un precedente studio su modelli animali, del resto, aveva già dimostrato che ben tre recettori cerebrali vengono attivati da una sostanza sintetica che lavora come la cannabis. Si tratta di recettori legati al sistema endocannabinoide, coinvolto nella memoria, ma anche in processi fisiologici che regolano l'appetito, l'umore e la percezione del dolore. "Non stiamo certo dicendo alle persone che hanno casi di Alzheimer in famiglia di fumare marijuana - chiarisce Wenk - ma siamo al lavoro per comprendere se vi sono alcune proprietà di questa sostanza che possono essere riprodotte in farmaci legali per contrastare la perdita di memoria. È una speranza reale".
Secondo gli esperti del Dipartimento Malattie Infettive dell'Istituto Superiore di Sanità, gli attuali antibiotici hanno ancora 10 anni di carriera per poi diventare del tutto inefficaci.L'uso scorretto in Italia, come in Europa, è sempre più frequente e sta facendo aumentare esponenzialmente la resistenza ai farmaci, ormai non più compensata dall'arrivo di nuove molecole più potenti. Due sono i comportamenti dei consumatori che maggiormente favoriscono la resistenza dei batteri ai farmaci: il loro uso per combattere l'influenza e il raffreddore e l'uso senza l'indicazione data dal medico. "Dobbiamo abituarci a considerare l'antibiotico come un bene non rinnovabile - suggerisce Antonio Cassone, direttore del Dipartimento Malattie Infettive dell'Istituto Superiore di Sanità - così come accade per alcune fonti di energia: non ne abbiamo a disposizione risorse infinite. Sarebbe utile una Kyoto per questi farmaci. Combattere le infezioni, infatti, è un problema globale visto che i batteri non conoscono confini".
I bambini nati in autunno, cioè circa 4 mesi prima del picco di freddo, hanno il 30% in più di probabilità di soffrire di asma.Lo rivela uno studio del Center of Asthma Research della Vanderbilt University, che per la prima volta ha indagato sul potenziale legame tra le comuni infezioni che colpiscono i bambini nei mesi invernali e l'insorgenza di asma. La ricerca, pubblicata sull'American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine, è stata condotta su 95.000 bimbi del Tennessee. Monitorando la storia clinica di ciascuno, gli studiosi statunitensi hanno potuto osservare che i bambini nati in autunno erano più vulnerabili alla bronchiolite, patologia causata dal virus respiratorio sinciziale (VRS). "Vi sono fattori genetici che predispongono all'asma - spiega Tina Hartert, a capo dello studio - ma pensiamo che l'esposizione in inverno alle infezioni virali, in particolare al VRS, finisca in qualche modo per attivare i geni responsabili del disturbo. Questo è il punto a cui siamo giunti oggi - prosegue la ricercatrice - il successivo consiste nel dimostrare che la prevenzione di queste infezioni può aiutarci a prevenire una malattia cronica come l'asma".
Anche i fast food si mettono a dieta e rivedono la composizione dei loro prodotti. L'accordo tra le sei maggiori catene e la Food Standards Agency(FSA) è stato siglato in Gran Bretagna e le impegnerà a rivisitare preparazioni e menu. Per esempio, dovranno disporre di una maggiore varietà di insalate e abbattere il contenuto di grassi e sale nei loro menù. Verrà adottato un olio da frittura con un contenuto di grassi più basso, verranno proposti nuovi dessert (per esempio alla frutta) in alternativa al gelato e verrà ridotto del 15% il contenuto di sale (anche rifiutandolo nel caso il cliente ne faccia richiesta). Inoltre, i classici hamburger potranno essere preparati senza salse, saranno in vendita succhi di frutta oltre alle bevande gasate e frutta e verdura dovranno essere abbinate al merchandising dello sponsor.
Il doping con testosterone può provocare impotenza (disfunzione erettile): lo hanno sostenuto gli endocrinologi durante l'VIII Congresso Nazionale della Società italiana di Andrologia e Medicina della Sessualità (SIASM). "Le persone più a rischio - sostiene Andrea Lenzi, docente di endocrinologia all'università Sapienza di Roma e presidente del Congresso - sono i ragazzi sotto i 25 anni che frequentano abitualmente le palestre. A molti vengono offerti intrugli a base di testosterone, bloccando di fatto la normale produzione di ormoni maschili generata dal nostro organismo". Il rischio riguarda principalmente le palestre perchè è lì che spesso vengono assunte sostanze contenenti l'ormone della crescita (GH).
Uno studio condotto dall'Imperial College di Londra e pubblicato su Environmental Health Perspectives ha osservato che l'eccessiva esposizione agli ftalati in gravidanza aumenta il rischio di ipospadia nella progenie maschile.In particolare, gli autori hanno notato un raddoppio dell'anomalia congenita nei bambini nati da donne che, durante la gravidanza, avevano avuto un'esposizione doppia a queste sostanze a causa dell'uso (personale o professionale) di lacca per capelli, prodotto che notoriamente contiene ftalati. Tuttavia, gli stessi autori tendono alla cautela: "Questo studio - spiega Paul Elliot, a capo della ricerca - aggiunge un tassello al quadro già esistente su queste sostanze chimiche, ma ne occorrono molti altri prima di affermare con certezza che esiste un legame tra i difetti genitali e l'esposizione ai ftalati". Si tratta di una ricerca importante, che dovrebbe indurre i governi a seguire l'esempio delle autorità danesi, che, sulle confezioni dei prodotti interessati, hanno previsto avvisi per le donne sui possibili legami tra gravidanze a rischio e sostanze chimiche particolari.
Intervistati per un'indagine Eurisko, in un campione di mille maschi di età compresa tra 18 e 54 anni, due uomini italiani su tre confessano di avere rapporti sessuali non protettie solo uno su cinque usa, ma "qualche volta", il profilattico. Meno di 4 su 10 affrontano l'argomento con la partner e appena la metà sa come funziona la contraccezione ormonale femminile. Tuttavia, quasi tutti (il 91% e fino al 100% degli studenti e dei 25-39enni) conoscono perfettamente la contraccezione di emergenza. Non solo: il 16% ammette che la compagna l'ha provata e tra il restante 84% c'è chi non esclude che l'abbia assunta a sua insaputa. Il 70% ha un rapporto stabile e il 14% dichiara "relazioni occasionali", ma tra questi due gruppi poco più di un terzo (36%) utilizza metodi anticoncezionali, con particolare predilezione per il profilattico (22%), seguito dalla pillola per lei (14%). Le percentuali di chi si protegge aumentano tra i giovani: ricorre alla contraccezione l'83% degli studenti e il 71% dei 18-24enni, fascia di età in cui il preservativo viene usato dal 63%. Infine, il 36% conosce l'esistenza di un cerotto contraccettivo, mentre il 64% non si domanda che cosa sia neppure quando lo vede sulla pelle della partner.
Dubbi, attese, aspettative e incertezze generano più stress di risposte o esiti negativi.In realtà, il grado di ansia sperimentato dipende dal tipo di personalità e possedere tratti nevrotici è predittivo di quanto un periodo di incertezza potrà risultare davvero stressante. Queste considerazioni sono la conclusione di una ricerca pubblicata su Psychological Science da due psicologi dell'Università di Toronto (Canada). È stato esaminato un gruppo di volontari, che sono stati sottoposti a un test per monitorare la reazione a una risposta negativa o al dubbio tramite risonanza magnetica funzionale. In particolare, è stata studiata l'attività della corteccia cingolata anteriore, un'area associata all'ansia e al controllo di eventuali errori. L'attività di queste aree era decisamente più marcata quando soggetti nevrotici ottenevano risposte incerte dal test rispetto a quando la risposta era subito negativa. "L'incertezza può essere molto stressante - spiega Hirsh - e i tratti nevrotici contribuiscono a questo disamore rispetto al dubbio e a ciò che non si conosce".
I ricercatori dell'università di Uppsala (Svezia) hanno rilevato in casi di ansia sociale la presenza di un gene che potrebbe spiegare l'effetto placebo.Il gene in questione è quello che regola la produzione dell'enzima triptofano idrossilasi-2, che ha un ruolo chiave nella sintesi di serotonina. Gli autori hanno osservato 25 persone con diagnosi di ansia sociale che, prima e dopo il trattamento con un placebo, prospettato come terapia con ansiolitico, hanno dovuto sostenere un discorso in pubblico. Circa metà del campione di volontari, dopo la presunta cura, ha dichiarato un miglioramento dell'ansia e alla fine del periodo di osservazione il punteggio relativo ad ansia e nervosismo era dimezzato. Inoltre, le tecniche di imaging hanno mostrato un calo del 3% nell'attività dell'amigdala. L'analisi genetica ha infine evidenziato che otto dei soggetti che avevano risposto al placebo avevano due copie della variante G del gene per il triptofano idrossilasi-2. Una mutazione assente negli altri, collegata in precedenza a un'ansia ridotta nei classici test sulla paura. I pazienti, dunque, senza saperlo erano geneticamente meglio preparati a risolvere da soli il loro problema.
L'Istituto per gli Affari Sociali (IAS) ha condotto uno studio, "Obesità e stili di vita in età evolutiva", su oltre 2mila studenti fra i 6 e i 17 annidelle scuole elementari, medie e superiori delle città di Varese, Roma e Catanzaro. Dai risultati è emerso che ben il 27,7% dei ragazzi è sovrappeso: il problema è presente più fra i maschi (30,5% di obesi) che tra le femmine (25%) e la diffusione dei casi di obesità è maggiore al Sud con il 34%, a fronte del 27% al Centro e del 19,1% al Nord. I minori obesi hanno, rispetto ai coetanei normopeso, un rischio quattro volte superiore di essere ipertesi e un rischio doppio di soffrire di scoliosi. Quanto agli stili di vita, sono soprattutto i maschi (41%) i maniaci del telecomando, impegnati a trascorrere più di 3 ore al giorno di fronte alla tv, contro il 31% delle femmine; nel Sud queste percentuali aumentano, arrivando al 59,8% (maschi) e al 44,7% (femmine). Sotto accusa anche le cattive abitudini a tavola: il 35% dei ragazzi non mangia frutta e solo il 25% assume settimanalmente verdure cotte, mentre il consumo settimanale di pesce è estremamente basso (17,8%).
Gli anziani sono la categoria che rischia maggiormente i danni alla salute per assunzione impropria di farmaci.Infatti, il 60-80% degli ultrasessantacinquenni assume abitualmente almeno un farmaco, il 10% anche cinque o più. Le reazioni avverse da farmaci rappresentano fino al 15% di tutti i ricoveri e determinano il 5-10% dei costi ospedalieri. Sono questi i dati diffusi durante il 53esimo Congresso nazionale della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG). "I pazienti anziani - ha spiegato Graziano Onder, geriatra del Policlinico Gemelli di Roma - sono particolarmente suscettibili al rischio di reazioni avverse in considerazione della loro ridotta capacità di gestirle." I quattro errori che più comunemente vengono riscontrati dai clinici sono il difetto di conoscenza delle terapie in corso, l'applicazione di metodi sbagliati o l'applicazione scorretta di metodi adeguati, azioni sbagliate o semplici sviste, e infine le dimenticanze.
Una ricerca, tutta anglosassone, ha verificato da parte delle donne ben poca pazienza di fronte alle sindromi influenzali dei rispettivi partner.Tra gli oltre 1300 adulti intervistati è, infatti, emersa una tendenza tutta femminile ad avere al massimo cinque minuti di comprensione davanti a sintomi influenzali quali tosse, starnuti, naso chiuso, sostituita subito da pensieri che auspicano e atteggiamenti che sollecitano la pronta guarigione. In questa direzione ha risposto il 52% del campione e un 18% ammette anche di tenersi lontana per evitare il contagio. Un atteggiamento decisamente diverso da quello degli uomini che di fronte a partner influenzate: il 70% degli intervistati assicura di essere affettuoso e vicino alla partner influenzata, il 60% si offre di fare i lavori domestici e il 64% di preparare la cena. Affermazioni supportate dal dato sulle assenze dal lavoro: solo il 19% delle donne ha preso un giorno di ferie per assistere il partner raffreddato, contro il 37% degli uomini.