Il motoaliante "Stella stellina" torna a volare per Telethon.Dopo il successo del 4 maggio scorso, quando alcuni disabili sono partiti dall'aeroporto del Cinquale (Massa) con il motoaliante di Guido Bastianelli, chirurgo otorinolaringoiatra, si rinnova l'operazione "Toccare il cielo con un dito", grazie alla quale altri disabili verranno portati in volo in alcuni aeroporti d'Italia. In programma, un tour di oltre 4mila chilometri: "Stella stellina", il motoaliante Hoffmann Dimona che porta sulle ali e sulla fusoliera le insegne di Telethon, partirà mercoledì 16 luglio da Firenze, effettuando soste a Massa, Salerno, Palermo, Foggia, per arrivare a Venezia domenica 20 luglio. L'aliante sorvolerà le coste italiane a soli 150 metri di altezza; sarà quindi visibile ai milioni di italiani già in vacanza in molte delle più note e affollate località balneari. Ma il lunghissimo tour sarà anche un'occasione per ricordare la necessità di sostenere sempre più la ricerca di Telethon sulle malattie genetiche, "nel fondamentale passaggio dagli studi di base alle terapie in sperimentazione per alcune delle oltre 6mila patologie conosciute", ricorda la fondazione in una nota. Le donazioni potranno essere effettuate attraverso il sito internet www.telethon.it o il c.c. postale 260.000 intestato al Comitato Telethon Fondazione onlus. Salvo modifiche, i voli con passeggero sono previsti a Salerno mercoledì 16 luglio alle 17.20, giovedì 17 a Palermo alle 15.15, venerdì 18 a Foggia alle 17.45, domenica 20 alle 10.00 a Venezia.
I succhi di frutta aumentano del 18% le probabilità di insorgenza del diabete mellito di tipo 2, quello cosiddetto alimentare.Queste bevande compromettono "in un sol bicchiere" i benefici di una dieta sana, quella composta di verdure e frutta fresca. A rivelare la responsabilità delle bevande a base di frutta e zuccheri sono i risultati, pubblicati su Diabetes Care, di una ricerca realizzata dalla Scuola di salute pubblica dell'Università di Tulane, in USA.
Le conclusioni che incriminano i succhi provengono da un ampio studio condotto su 71.346 donne, tenute sotto osservazione per ben 18 anni: 4529 hanno sviluppato il diabete di tipo 2. L'intero campione era stato diviso in 5 gruppi in base alle abitudini alimentari, anche in relazione alle quantità di frutta e verdura fresche consumate o di succhi di frutta bevuti. Ebbene, "tre porzioni di frutta fresca al giorno, da sole, riducono del 18% le probabilità di insorgenza del diabete, e una sola portata di verdure incrementa i benefici di un ulteriore 9%. Basta però una porzione di succo di frutta - spiega la coordinatrice della ricerca, Lydia Bazzano - per mandare in fumo per intero i benefici delle tre porzioni di frutta fresca". All'origine del meccanismo, secondo la scienziata, risiederebbe "la grande quantità di zuccheri contenuta nelle bevande, che introdotta in forma di liquidi viene assorbita molto velocemente".
Fonte: Adnkronos Salute
Per difendere la salute degli italiani alle prese con maratone al pc, telefonino sempre acceso e sindrome da chat, il Network dei tecnostressati organizza la prima edizione di "NoTecnostressDays: 100 giornate di prevenzione in tutta Italia".
Iniziative benessere e serate di formazione, informazione e relax in programma dal 20 luglio al 28 ottobre. Running, gite in montagna, meditazione, aperitivi con massaggi shiatsu e yoga gratis, tecniche di respirazione, un concerto di percussioni e danza africana, coccoloterapia in acqua termale. Gli eventi si terranno prevalentemente tra Roma e Milano, le città più tecnostressate d'Italia, in collaborazione con Assodigitale e Viadeo, il network dei professionisti in rete, sponsor della manifestazione. Il rebirther Paolo Cericola, presidente dell'Associazione Scuola di Respiro, spiega "Le persone tecnostressate dal sovraccarico informativo per prima cosa tendono a bloccare il respiro, con frequenti micro-apnee. È il primo segnale di uno stato di tensione che può generare numerosi disturbi. Imparare a respirare e rilassare il corpo è un ottimo rimedio preventivo".
Per informazioni: www.netdipendenza.it
Troppo alluminio nel cibo degli europei, secondo l'EFSA (European Food Safety Authority).Gli esperti stimano, infatti, che le dosi di alluminio assunte inconsapevolmente attraverso il cibo superino il quantitativo ritenuto sicuro per la salute "in una parte significativa della popolazione europea". Nel rapporto gli scienziati dell'EFSA hanno anche stabilito la massima quantità di alluminio, proveniente da fonti alimentari, sicura per la nostra salute. Secondo il panel, l'assunzione tollerabile ogni settimana è pari a 1 mg di questo metallo per chilo di peso corporeo. Oltre questa soglia si rischiano disturbi anche seri, come hanno mostrato alcuni studi condotti sugli animali, in particolare a livello del sistema nervoso e di quello riproduttivo.
E il pericolo si cela nel piatto. Sembra, infatti, che la dieta sia la prima fonte di esposizione a questo metallo per gli abitanti del Vecchio Continente. Sotto accusa l'uso di additivi e conservanti alimentari, ma anche la presenza di questo metallo in diversi materiali, dai contenitori agli utensili, che entrano in contatto con il cibo. L'acqua potabile, invece, è una fonte minore di potenziale esposizione all'alluminio.
Quattro italiani su cinque dichiarano di trovarsi pieni di difetti e di affrontare l'estate con un senso di insoddisfazione e scontentezza.Lo rivela uno studio condotto dall'associazione "Donne e qualità della vita", su un campione di 300 uomini e donne fra i 20 e i 50 anni, raggiunti sulle spiagge italiane. Stando agli intervistati, lo stato d'animo che caratterizza i vacanzieri del 2008 non è di sollievo (15%) per l'arrivo delle tanto sospirate ferie, ma di forte depressione dovuta a una serie di problemi estetici (35%). E se per le donne i punti deboli sono cellulite e smagliature (38%), piuttosto che un seno troppo piccolo (30%) o i segni del tempo (25%), gli uomini invece sono infastiditi dalla pancetta (35%). Tutti, poi, puntano il dito sull'insopportabile tessuto adiposo sulle braccia (25%) e la gobbetta che insidia il profilo del naso (30%).
Fonte: Adnkronos SaluteSembra che un menù ricco di sushi e sashimi, tipico della dieta nipponica, sia un elisir per il cuore e le arterie, anche in presenza di fattori di rischio cardiovascolari. Lo testimonia uno studio che sarà pubblicato ad agosto sul Journal of the American College of Cardiology, condotto passando al microscopio tre gruppi di uomini ultraquarantenni. Secondo gli scienziati l'effetto cardioprotettivo registrato fra i giapponesi è dovuto proprio all'alta quantità di acidi grassi omega-3 presente nel pesce. Rispetto agli uomini di mezza età di origine giapponese che vivono negli Stati Uniti, infatti, quelli che sono rimasti nella terra natia presentano un livello doppio di omega-3 nel sangue. Un elemento collegato a una presenza più limitata di aterosclerosi. "Il tasso di morte per malattie coronariche e cardiovascolari in Giappone è sempre stato più basso che in Occidente", spiega Akira Sekikawa, assistente di epidemiologia dell'Università di Pittsburgh (USA), che insegna anche alla Shiga University of Medical Science di Otsu (Giappone). "Il nostro studio suggerisce che i tassi molto bassi di coronaropatie fra i giapponesi che abitano ancora nel Paese del sol levante può essere dovuto all'alto consumo di pesce, che dura da tutta una vita". Ma in che cosa consiste il menù tipicamente nipponico, rivelatosi amico del cuore? I giapponesi, in media, mangiano più di 85 grammi di pesce al giorno (l'equivalente di cinque alici medie o di un merluzzo, già puliti) mentre gli americani se lo concedono al massimo due volte a settimana. Non solo. Sembra che il quantitativo di preziosi omega-3 ottenuti dal cibo sia pari a 1,3 grammi al giorno in Giappone, contro appena 0,2 grammi al giorno negli Stati Uniti.
Fonte: Adnkronos Salute
Lo stress psicologico apre le porte al diabete mellito. Ma solo negli uomini: ansia, depressione e insonnia sono in grado di sconvolgere il metabolismo maschile raddoppiando il rischio di diabete, anticamera di gravi problemi cardiovascolari.A osservare questo fenomeno sono stati gli esperti del Karolinska Institute di Stoccolma (Svezia), che ne parlano sulla rivista Diabetic Medicine. Per lo studio, che ha riguardato 2127 uomini e 3100 donne nati fra il 1938 e il 1957, è stato richiesto a tutti i partecipanti di sottoporsi a test del sangue per misurare i livelli di glucosio e a esami dello stato psicologico per rilevare eventuali problemi di ansia o stress. Dopo dieci anni dall'ingresso nello studio, i volontari sono stati sottoposti una seconda volta a questi test. Dalle osservazioni dei risultati è emerso che gli uomini con il più alto livello di stress psicologico corrono un rischio più alto di 2,2 volte di incappare nel diabete rispetto a quelli meno ansiosi o depressi. Analisi più approfondite hanno dimostrato che il collegamento fra questi due elementi è indipendente dall'età, dall'indice di massa corporea, dalla storia familiare di diabete, dalla presenza del vizio del fumo e dall'inattività fisica. E che le donne ne sono invece immuni. "Questo fenomeno - spiegano gli autori della ricerca - potrebbe essere il risultato del danno che lo stress apporta alla capacità del cervello di regolare il rilascio di ormoni 'chiave' nell'insorgenza del diabete, oppure dell'influenza negativa che la depressione può avere sulla dieta e sugli stili di vita: e in questo le donne sono meno 'chiuse' degli uomini. Tendono a parlare di più e a cercare aiuto, senza rifugiarsi nell'alcool o nel cibo".
Fonte: Adnkronos Salute
Prevengono e rallentano la progressione dell'Alzheimer. Non sono nuove molecole ma "vecchi" farmaci utilizzati contro la pressione alta, chiamati antagonisti del recettore dell'angiotensina. A svelare la loro nuova "veste" sono i ricercatori dell'Università di Boston (USA). I risultati delle loro ricerche sono stati presentati durante un convegno sul tema organizzato a Chicago. Questi prodotti vengono normalmente prescritti contro l'ipertensione ai pazienti che non tollerano gli ACE-inibitori, prima scelta per la terapia di questo disturbo. Gli scienziati americani hanno esaminato i dati di oltre sei milioni di ipertesi in cura farmacologica fra il 2001 e il 2006: quelli che assumevano antagonisti del recettore dell'angiotensina correvano un rischio del 40% inferiore di sviluppare Alzheimer o altre forme di demenza senile rispetto a chi era in terapia con altri antipertensivi. E se nel 2001 soffrivano già di malattie neurodegenerative, i pazienti in trattamento con questi medicinali avevano il 45% di chance in meno di vedere i propri sintomi peggiorare.
Fonte: Adnkronos Salute
L'obesità è contagiosa, stando almeno a uno studio dell'Università di Warwick, in Inghilterra. Se si è circondati da gente alle prese con i chili di troppo, si rischia di ingrassare a propria volta.Si tratta di un cambio di prospettiva: finora, infatti, il dito era stato puntato soprattutto verso mannequin e passerelle, rei di indurre le adolescenti a mettersi a stecchetto per conquistare una linea "pelle e ossa". Sul banco degli imputati, ora, finiscono invece anche le buone forchette: produrrebbero una sorta di effetto domino in chi sta loro intorno. Secondo gli studiosi, che hanno analizzato i dati di 27mila europei di 29 Paesi differenti, frequentare amici sovrappeso finirebbe per far perdere di vista la linea e a sottovalutare l'eventuale aumento di peso. Le donne, per esempio, non giudicano il loro peso limitandosi a considerare l'indice di massa corporea (BMI), ma confrontando il proprio BMI con quello delle coetanee del proprio Paese. Gli uomini, a loro volta, non si preoccupano del loro sovrappeso se hanno intorno un numero significativo di maschi con qualche chilo in più addosso. I ricercatori, pertanto, lanciano l'allarme: il rischio è che quella in atto sia una vera e propria epidemia di chili di troppo, con tutti i pericoli per la salute annessi. Meno a rischio - emerge poi dallo studio - le persone con un elevato livello di istruzione. La ricerca verrà presentata alla conferenza del National Bureau of Economic Research a Cambridge, nel Massachusetts.
Fonte: Adnkronos Salute
Secondo Roberto Ferrari, presidente della Società Europea di Cardiologia (ESC), la frequenza cardiaca elevata è un fattore di rischio per il cuore proprio come la pressione altae afferma: "Mi auguro che venga presto inserita nelle carte del rischio cardiovascolare". Gli esperti infatti sostengono che misurare i battiti cardiaci al polso debba diventare una prassi per tutti: "Se la frequenza cardiaca supera i 70 battiti al minuto - spiega il ricercatore - significa che il nostro organismo sta inviando un messaggio negativo, tanto più grave quanto più è compromesso il cuore". Dalle ricerche emerge, infatti, che quando il cuore pulsa a un ritmo uguale o superiore a 70 battiti al minuto anche nella popolazione generale la mortalità cardiovascolare ha un'incidenza dello 0,5%, che sale allo 0,9% nei cardiopatici stabili, all'1,9% nei cardiopatici ipertesi e arriva al 5,1% nei cardiopatici con disfunzione ventricolare sinistra.
Una ricerca pubblicata dal Journal of Child Psychology and Psychiatry ha verificato che in seguito a un parto naturale le mamme reagiscono più rapidamente al pianto del neonato.Il test è stato condotto sottoponendo a scanner cerebrale un gruppo di neomamme, da due a quattro settimane dopo il lieto evento. La capacità degli adulti di sviluppare pensieri e comportamenti necessari e prendersi cura con successo dei neonati è sostenuta da specifici circuiti cerebrali e ormoni. Durante il parto si verificano diversi meccanismi: il rilascio di ossitocina, le contrazioni uterine, la stimolazione della cervice. "I nostri risultati - dice James Swain del Child Study Centre dell'Università di Yale - sostengono la teoria che le variazioni nelle condizioni del parto, come per esempio il taglio cesareo, alterando l'esperienza neurormonale della nascita, possono ridurre la reattività del cervello materno nelle prime fasi del post-partum". I ricercatori hanno esaminato le aree cerebrali influenzate dalle diverse modalità del parto, scoprendo precise relazioni tra l'attività del cervello e l'umore. "Dal momento che molte donne rimandano nel tempo la gravidanza, diventano più a rischio di partorire con cesareo".
Fare esercizio fisico con regolarità, anche in casa, non aiuta solo il fisico ma anche la mente, rinforzando la memoria di adulti e anziani.Lo hanno confermato i ricercatori australiani dell'Università di Melbourne, autori di uno studio pubblicato su Jama. Il team di Nicola Lautenschlager ha condotto uno studio controllato e randomizzato per verificare se un programma di attività fisica fosse in grado di ridurre il tasso di declino cognitivo di 138 adulti con più di 50 anni con un aumentato rischio di demenza. I partecipanti, che riferivano problemi di memoria, ma non presentavano ancora demenza, sono stati divisi in due gruppi: uno ha seguito un programma educativo standard, l'altro un progetto di 24 settimane di attività fisica svolta in casa, per arrivare ad almeno 150 minuti di attività fisica di moderata intensità a settimana. I ricercatori hanno scoperto che, alla fine dello studio, il gruppo in attività fisica ha ottenuto il punteggio migliore al test cognitivo e un punteggio più basso al Clinical Dementia Rating rispetto agli altri.
Gli esperti concordano sull'influenza dell'alimentazione sulla salute, in particolare sul rischio di tumore al seno.Diversi studi dimostrano che è possibile fare prevenzione attraverso l'alimentazione e lo stile di vita. Per questo la Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, in collaborazione con l'Istituto Europeo di Oncologia e altri centri di eccellenza italiani, avviano uno studio che monitorerà il rischio di ricaduta in donne che hanno avuto un tumore alla mammella negli ultimi cinque anni, senza recidive. Nella dieta proposta alle pazienti verranno eliminate le farine raffinate, gli zuccheri, il latte e le uova per lasciare il posto ad alimenti più integrali e preparati secondo le regole della macrobiotica. Il presupposto, secondo gli oncologi, è che le donne che hanno livelli alti nel sangue di ormoni sessuali, di insulina e del fattore di crescita IGF-1 si ammalano di più e, se si sono già ammalate, hanno più frequentemente recidive della malattia, perchè l'abbondanza di questi fattori consente a eventuali cellule tumorali di moltiplicarsi. Con una dieta ricca di cereali integrali, legumi e oli vegetali è possibile riportare questi parametri entro livelli più corretti.
Basta un mese di sole e la pelle del viso invecchia di cinque anni. Dietro una tintarella da far invidia, infatti, si nascondono molti inestetismiche si manifestano già a pochi giorni dal rientro. Scatta così la corsa dal chirurgo plastico. "Nei mesi di settembre, ottobre e novembre le nostre pazienti sono soprattutto le tintarella-dipendenti - spiega Giulio Basoccu, chirurgo estetico e docente all'Università La Sapienza di Roma - Si tratta di donne, soprattutto dai 30 anni in su, che si sono esposte a lungo al sole durante le vacanze. Pazienti con una carnagione che tende ad abbronzarsi facilmente e che, proprio per questo, non hanno utilizzato le opportune protezioni per la pelle". L'80% delle richieste di interventi nel mese di settembre riguarda "problemi di macchie solari e di fotoinvecchiamento della pelle con presenza di rughe - aggiunge Basoccu. Macchie color caffelatte sul viso, sul decolletè e sulle mani, infatti, sono un'eredità frequente dell'estate dopo lunghe esposizioni al sole, causate anche da eritemi o scottature".
Bella da vedere e buona da mangiare, ma anche amica della salute. L'uva, frutto settembrino per antonomasia, nasconde virtù terapeutiche."L'uva ha notevoli qualità di cui può beneficiare il nostro organismo", spiega Chiara Trombetti, dietista dell'Istituto clinico Humanitas Gavazzeni di Bergamo. Per esempio, "la spremitura dei vinaccioli dà un olio ricco di acidi grassi polinsaturi che aiutano a tenere sotto controllo i livelli di colesterolo nel sangue". Via libera ai grappoli in tavola, dunque, sia per i bimbi affamati di energia sia per gli anziani col cuore stanco. E ovviamente per gli adulti che vogliono rallentare le lancette del tempo. L'uva, con "il complesso vitaminico (A, C, PP, B1, B2) che contiene, e i molti sali minerali come sodio, calcio, potassio, magnesio, manganese, iodio, fosforo, ferro e cromo, esercita una benefica azione sulla pelle e sui capelli, oltre agli effetti anti-invecchiamento e anti-radicali liberi". Rossa o bianca non fa differenza, assicura Trombetti, anche se il maggiore contenuto di ferro rende la variante scura preferibile negli anemici. Quanto ai semini, "non è vero che danno allergia, mentre è vero che possono disturbare il colon, soprattutto se è affetto da diverticolosi".
È nella dieta mediterranea il segreto di una vita longeva, senza Parkinson, Alzheimer nè tumori.La buona notizia per i golosi di pasta, pizza, pesce, frutta e verdure arriva da una metanalisi tutta italiana, condotta analizzando 12 studi internazionali su circa 1 milione e mezzo di persone, per un periodo massimo di 18 anni. Il lavoro, firmato dal team di Francesco Sofi, nutrizionista dell'Università di Firenze, è stato pubblicato sul British Medical Journal. "Ebbene, sembra proprio che una regolare adesione ai dettami della dieta mediterranea, ricca di olio d'oliva, carboidrati, frutta, verdura e pesce e con un moderato consumo di vino rosso ai pasti, protegga contro una serie di malattie croniche, dalle cardiopatie ai tumori, ma anche da mali tipici della vecchiaia come Parkinson e Alzheimer", spiega Sofi. I ricercatori dell'Università di Firenze hanno realizzato una tabella, per quantificare il grado di adesione al regime alimentare di tipo mediterraneo, poi l'hanno applicata a 12 ricerche internazionali. I risultati hanno mostrato che aumentando l'aderenza, cioè con un regime povero di carne, formaggi e latticini, i vantaggi per la salute aumentano.
Scale sotto cui non passare, o gatti neri che attraversano la strada. La superstizione sopravvive ancora oggi, a dispetto della maggiore istruzionee dei progressi della scienza. Ma c'è una ragione, e per di più scientifica, frutto addirittura della teoria evoluzionistica di Darwin. "Le credenze che hanno accompagnato la storia dell'uomo sin dai suoi inizi - spiegano i biologi evoluzionisti dell'università di Harvard e dell'ateneo di Helsinki (in Finlandia) - ancorchè non certificate dalle evidenze scientifiche hanno offerto sempre una via di fuga verso una presunta maggiore sicurezza. Dando l'illusione di poter scansare un avvenimento nefasto semplicemente comportandosi in un modo piuttosto che in un altro".
Per dare un senso alle credenze e poi smontarle del loro significato, gli scienziati hanno utilizzato un modello matematico. In questo modo sono riusciti a dimostrare che ogni superstizione si tramanda e permane nella cultura popolare fintanto che il rapporto costi-benefici resta favorevole. Ossia finchè credere conviene rispetto ad accettare i rischi che l'eventuale rapporto causa-effetto comporta. "Certo la situazione si complica - ammettono le due èquipe - quando un certo risultato può avere numerose cause".
A rivoluzionare l'immaginario comune, che dipinge gli amanti dei videogiochi come lo stereotipo della sedentarietà, è uno studio statunitense che rivela come l'indice di massa corporea di chi schiaccia frenetico i tasti di un joypad sia inferiore a quello della media dei cittadini.Per arrivare a queste conclusioni, i ricercatori di diversi atenei USA hanno studiato le abitudini di 7000 giocatori esperti di EverQuest II. Così è emerso che gli adulti avevano un indice di massa corporea pari a 25,2, meno della media nazionale fissata a 28. In più, una o due volte a settimana gli esperti di videogiochi si dedicano a un'intensa attività sportiva. "Ben più di quanto non facciano molti statunitensi", commentano gli autori dell'indagine sul New Scientist. La spiegazione, azzardano, deriverebbe "dal maggiore grado di istruzione di queste persone, che coincide anche con abitudini di vita più sane". Seppure i videogamer siano più sportivi, però, è anche vero che "più spesso rispetto alla popolazione generale soffrono di depressione o hanno problemi di abuso di sostanze stupefacenti". Anche in questo caso gli scienziati ipotizzano una spiegazione, che potrebbe ritrovarsi "nell'uso dei videogiochi come antidoto o cura alla depressione o al disagio".
Tatuaggi e piercing sotto accusa per 2 casi su 10 di nuove infezioni da epatite C. Disegni e anellini sulla pelle, infatti, sono responsabili del 20% dei casi acuti di epatite C, ovvero delle infezioni contratte nei 6 mesi precedenti alla diagnosi. E la colpa non è solo degli aghi e degli ornamenti di metallo, spesso monouso o correttamente sterilizzati sotto l'occhio dei clienti più esigenti. Il pericolo arriva, per quanto riguarda i tattoo, dalle boccette di inchiostro, che vengono a contatto con gli aghi e che difficilmente sono sostituite per ciascuna seduta, anche perchè i costi sarebbero molti elevati. La conseguenza è che i virus delle epatiti, molto resistenti, passano direttamente sotto la pelle. A lanciare l'allarme Antonio Craxì, professore di gastroenterologia e direttore dell'unità operativa di Gastroenterologia dell'Università di Palermo, a margine di una conferenza stampa a Roma.
Secondo uno studio commissionato dalla Rac Foundation for Motoring, autorità indipendente britannica per la difesa dei diritti dei guidatori, il pericolo incidenti è molto maggiore se si inviano SMS piuttosto che se si guida ubriachi.Una cattiva notizia per il 50% dei giovani fra i 18 e i 24, che confessa di non rinunciare a comunicare con frasi brevi attraverso il telefonino nemmeno quando sono al volante. Mentre i più anziani rinunciano a farlo, forse consapevoli della loro scarsa dimestichezza con i tasti. Naturalmente l'esperimento, portato avanti dal Transport Research Laboratory (TRL) è stato effettuato attraverso un simulatore, ma ha comunque rilevato che la capacità di reazione diminuisce del 35% quando si inviano SMS durante la guida, mentre studi precedenti fissavano al 12% il calo dell'attenzione in chi beve alcolici fino al limite consentito.