Negli ormoni delle donne in gravidanza è possibile individuare il profilo di rischio di depressione post-partoche colpisce il 10-15% delle puerpere, e spesso colpisce donne che hanno subito eventi stressanti o luttuosi nei nove mesi, o sperimentano una bassa autostima, ansia o stress in gravidanza. Secondo gli autori di una ricerca, condotta su 100 future mamme, i livelli di CRH, ormone di liberazione della corticotropina, misurati a 25 settimane di gravidanza possono predire fino a tre quarti dei casi. Dopo il parto i livelli di CRH crollano drammaticamente portando di conseguenza anche a un calo del cortisolo, l'ormone che aiuta l'organismo a fronteggiare lo stress. Nelle donne in cui in gravidanza i livelli del CRH sono più alti, il crollo del cortisolo sarà più pronunciato e difficile da gestire senza contraccolpi. Se la scoperta verrà confermata permetterebbe, con un semplice test di dosaggio ormonale, di fare uno screening della depressione post-parto.
La quantità di vitamina D che si produce, durante la gravidanza, grazie all'esposizione alla luce del sole migliora lo sviluppo del nascituro.Secondo gli autori di uno studio condotto presso l'Università di Bristol, in Gran Bretagna, partorire a fine estate o all'inizio dell'autunno garantisce una maggior esposizione della mamma al sole durante le ultime fasi della gravidanza e quindi un aumento dei livelli di vitamina D. Il riscontro è stato ottenuto valutando la corporatura fisica e la data di nascita su un campione di circa 7mila giovani: i soggetti venuti alla luce in quel periodo dell'anno erano di maggior statura e di maggior robustezza nella struttura ossea, rispetto a coloro che erano nati durante l'inverno o in primavera.
L'eccesso di sonno e la sua mancanza (insonnia) sono accomunati dallo stesso meccanismo d'azione tramite cui diventano fattori di rischio di malattie.In entrambi i casi aumentano i livelli ematici di citochine, sostanze pro-infiammatorie. Lo hanno verificato i ricercatori della Case Western Reserve University di Cleveland, in Ohio, monitorando 614 persone già reclutate nel Cleveland Family Study. Oltre alla compilazione di un questionario sulle proprie abitudini di sonno, i soggetti sono stati sottoposti al controllo del sonno mediante polisonnografia. È stato osservato che ogni ora in più di sonno dichiarata si traduceva in un aumento dell'8% nei livelli ematici di proteina C-reattiva e in un +7% nei livelli di interleuchina-6 (entrambe legate al rischio di problemi cardiaci e diabete). Inoltre, ogni ora di sonno in meno registrata tramite polisonnografia si associava a un aumento dell'8% nei livelli di tumor necrosis factor-alfa, un'altra citochina pro-infiammatoria. Secondo gli autori, i due metodi di misurazione della durata del sonno potrebbero essere influenzati in modo diverso dallo stress e dall'umore, che hanno un effetto diretto sui livelli di citochine.
Nei pazienti che presentano diabete di tipo 2 e altri fattori di rischio cardiovascolare, l'aumento dei livelli di emoglobina glicata (HbA1c) può comportare una caduta della funzionalità cognitiva.Non è ancora chiaro se la diminuzione della glicemia possa o meno migliorare la funzionalità cognitiva, ma non è la prima volta che il diabete viene messo in correlazione con il declino cognitivo e la demenza. Tuttavia finora non era chiara la misura in cui l'aumento della glicemia avesse un impatto sulla sfera cognitiva. I risultati ottenuti portano anche a sollevare un'ipotesi secondo cui strategie volte a diminuire i livelli di HbA1c o prevenire il loro aumento possano influenzare favorevolmente la funzionalità cognitiva.
Alcuni ricercatori statunitensi hanno analizzato parti del codice genetico dei diversi ceppi conosciuti di Rhinovirus, il responsabile di infezioni respiratorie soprattutto stagionali. Sono riusciti così a completare le sequenze genetiche dei virus, costituendo una sorta di albero genealogico che svela i legami e le differenze tra i diversi ceppi. La scoperta, pubblicata su Science, è firmata dai ricercatori dell'Università del Maryland a Baltimora e dell'ateneo del Wesconsin-Madison. Il quadro tracciato dalle èquipe contribuirà allo sviluppo di trattamenti davvero mirati ed efficaci contro il raffreddore. I Rhinovirus umani sono organizzati in 15 piccoli gruppi che provengono da lontani antenati. E anche questi virus, a differenza di quanto si riteneva, si combinano fra loro dando vita a nuovi ceppi. Questo processo avviene rapidamente durante l'inverno, quando differenti tipi di Rhinovirus aggrediscono la stessa persona causando infezioni, ma ricombinandosi anche in nuovi agenti infettivi.
Secondo due studi nazionali, in Italia l'ipercolesterolemia non è controllata in modo adeguato e ne soffre circa un italiano su quattrotra i 37 e i 74 anni. Eppure, molti non seguono alcuna terapia con farmaci. Lo sostengono gli esperti che, sulla base dei dati raccolti, segnalano che il 25% degli italiani con più di 37 anni ha livelli di colesterolo alti, con una maggiore prevalenza nelle donne. Tuttavia l'84% delle donne e l'81% degli uomini non si curano con appropriatezza e, rispettivamente, il 10% e il 14% non affrontano il problema come dovrebbero. Inoltre, estendendo l'analisi anche a chi presenta livelli al limite della norma, la quota di italiani a rischio di ipercolesterolemia sale al 36% tra le donne e al 33% tra gli uomini. "La malattia - sottolinea Carlo Maria Rotella, ordinario di endocrinologia all'Università di Firenze - può diventare ancora più pericolosa quando si allea con altri fattori di rischio o con patologie cardiovascolari". L'ipercolesterolemia, ad esempio, assume contorni drammatici quando non è controllata in pazienti che hanno avuto un infarto o che sono cardiopatici.
Un'indagine condotta da Gfk Eurisko ha verificato che i pazienti colpiti da diabete vengono curati meglio se vivono in coppia e se ad assisterli è un familiare, donna in 6 casi su 10. Insieme, infatti, riescono a gestire meglio la terapia con benefici dichiarati dal 90% dei pazienti. L'indagine ha coinvolto 900 malati di diabete e 100 caregiver che li assistono, rilevando che, quando ha accanto il proprio partner, il paziente sta meglio clinicamente e psicologicamente: è più soddisfatto di se stesso e della sua vita (il doppio rispetto a chi lotta da solo), è meno ansioso (68% degli accoppiati contro il 64% dei single) ed è più attivo (63% contro 56%). Il 76% dei malati fiancheggiati da un caregiver si ricorda sempre di assumere i farmaci; il 72% segue una dieta che nel 74% dei casi viene adottata anche da tutta la famiglia; il 55% pratica attività fisica e il 50% viene accompagnato dal suo assistente alle visite di controllo. In generale, combattere la malattia in due permette al paziente di trovare risposte ai suoi bisogni. Fra le necessità più urgenti degli intervistati c'è quella di avere un sostegno nell'elaborazione della diagnosi e di essere motivati in modo da poter guardare al futuro con ottimismo.
Una ricerca americana ha dimostrato che soldati che agiscono correttamente in situazioni di forte stress hanno nel sangue una quantità maggiore di un neurotrasmettitore che riduce la paura.La scoperta, presentata al congresso dell'American Association for the Advancement of Science, apre prospettive verso farmaci o terapie in grado di diminuire l'ansia nelle persone che ne soffrono in condizioni di forte pressione psicologica. "Ci sono alcune persone che semplicemente non si stressano - assicura Deane Aikins, della Yale University di New Haven, Connecticut - e questo perchè il loro ormone dello stress, il cortisolo, è presente in quantità minore". Ma studiando un gruppo di soldati impegnati in esercitazioni e prove di sopravvivenza, gli esperti si sono resi conto che, oltre ad avere meno cortisolo nel sangue, gli uomini più coraggiosi avevano anche quantità maggiori di un neuropeptide detto y, che impedisce loro di cadere nel panico. Aikins e i suoi colleghi stanno ora studiando come poter applicare questa scoperta alla gente comune, e questo potrebbe avvenire non solo sviluppando un farmaco ad hoc, ma anche elaborando speciali metodi di training autogeno, come la meditazione.
Sono state scoperte le varianti genetiche che influenzano la pressione sanguigna e aumentano il rischio di ipertensione, disturbo che può essere la causa di infarto, ictus e insufficienza renale. Nella ricerca, pubblicata su Nature Genetics, sono state isolate due varianti genetiche che influenzano la pressione sanguigna, localizzate nei geni che codificano una famiglia di proteine (peptidi natriuretici) prodotte dal cuore, quando è sotto stress, e dai vasi sanguigni. Le varianti sono state trovate dai ricercatori nel 90% delle persone analizzate e sono risultate associate a un aumento del 18% dell'incidenza di ipertensione. "Probabilmente verranno scoperti altri geni con un ruolo chiave sulla pressione sanguigna, ma le varianti genetiche individuate - spiega Christopher Newton-Cheh, autore dello studio - agiscono influenzando un meccanismo già studiato, che può essere modificato con farmaci già in fase di sviluppo. Un vantaggio non da poco".
Recenti ricerche hanno gettato nuova luce sul ruolo della vitamina D, solitamente collegata con la salute delle ossa, nel difendere da raffreddore e influenza.Lo sostiene un ampio studio effettuato negli Stati Uniti, e pubblicato sulla rivista Archives of Internal Medicine, che ha esplorato il legame fra vitamina D e infezioni delle vie respiratorie: fra i 19mila arruolati, i pazienti con i livelli più bassi risultavano avere il 40% di probabilità in più di aver subito recenti malanni di stagione. Il rischio, naturalmente, aumenta quando il paziente ha già una malattia respiratoria cronica come l'asma o l'enfisema polmonare ed è proprio per prevenire disturbi in questi malati che lo studio sarà utile. Anche se, precisano gli autori, trial clinici dovranno comunque confermare l'opportunità di raccomandare integratori di vitamina D contro i disturbi stagionali.
Le donne, in genere, sono più attente ai problemi di salute, eppure i dati dell'Istituto Superiore di Sanità e quelli della recente indagine demoscopica mostrano una preoccupante disattenzione ai problemi cardiaci. Le cardiopatie sono in aumento e rappresentano ormai la principale causa di morte anche per il sesso femminile: in Italia l'infarto del miocardio uccide 33.000 donne l'anno - il triplo dei decessi causati dal tumore al seno. Il 49% delle donne in menopausa presenta ipertensione, il 38% ha ipercolesterolemia, il 48% non fa attività fisica, il 14% fuma più di 12 sigarette al giorno, il 30% è anche obeso, il 40% è in soprappeso e il 10% soffre di diabete. Questa la fotografia dell'ISS. Inoltre, sono state rilevate alcune carenze importanti: l'80% non ha mai misurato il proprio girovita, solo il 23% misura frequentemente la pressione arteriosa, il 33% non ne conosce i livelli normali. Circa il 40% delle donne non controlla regolarmente i propri livelli di colesterolo nè quelli di glicemia a digiuno e, soprattutto, il 51% non conosce quali dovrebbero essere i valori normali di colesterolo e glicemia.
Crisi economica, stress e insonnia mettono a rischio la salute del cuore e possono diventare fattori di rischio di fibrillazione atriale."In genere, la fibrillazione atriale colpisce il 10% degli ultra 70enni. È causata da una fibrosi atriale legata all'età, ma anche all'ipertensione e agli stili di vita", spiega Alessandro Capucci, direttore della Clinica di cardiologia dell'ospedale regionale Le Torrette di Ancona. "Rappresenta l'aritimia a più alto tasso di ricoveri in ospedale per anno". Lo specialista sottolinea il peso della carenza cronica di sonno: "In generale - riflette Capucci - i ritmi della vita moderna sono diventati insostenibili per tutti. Siamo fatti per muoverci, per usare tutti i muscoli, invece siamo inchiodati alle scrivanie o alle poltroncine dei meeting. Le uniche distrazioni sono le pause caffè, troppi se sono più di cinque al giorno". Infatti, nel 15% dei casi la fibrillazione atriale non ha rapporti con alcuna cardiopatia e il 2% dei pazienti è costituito da giovani under 30 che spesso hanno una familiarità per la patologia.
Un terzo degli americani ha perso il sonno a causa della crisi economica. Lo dimostra un'indagine condotta dalla National Sleep Foundation(NSF): il numero di chi soffre di insonnia è aumentato del 13% dal 2001 e negli ultimi otto anni la percentuale di americani che dorme meno di sei ore a notte è cresciuta dal 13% al 20% e quella di coloro che riposano almeno otto ore è diminuita dal 38% al 28%. "È facile capire perchè molte persone hanno problemi a cadere nelle braccia di Morfeo - sottolinea David Cloud, direttore della NSF - dato che attualmente i problemi legati al lavoro e al proprio conto in banca stanno aumentando. Ma il sonno è essenziale per la produttività e l'attenzione quando si è in ufficio e un elemento chiave per restare in salute e, quindi, portare lo stipendio a casa". Dormire la giusta quantità di ore ogni notte consente di fare attività fisica, di adottare stili di vita sani e dunque di lavorare con regolarità e al massimo delle proprie potenzialità. Tuttavia, solo il 32% di chi soffre di insonnia si rende conto di quanto questo possa influire sulla salute e ne parla con il proprio medico. Pare che la mancanza di sonno stia creando in America un vero e proprio problema di salute pubblica: il 54% degli adulti, cioè circa 110 milioni di persone munite di patente di guida, ha dichiarato di aver guidato in carenza di sonno almeno una volta nell'ultimo anno.
È stato individuato in un gene un ulteriore fattore di rischio per l'insorgenza di patologie come l'aterosclerosi o l'ipertensione.Uno studio condotto dall'Istituto di Neurogenetica e Neurofarmacologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Cagliari, in collaborazione con vari gruppi internazionali, ha scoperto che il gene COL4A1 è implicato nello sviluppo di rigidità arteriosa. I volontari coinvolti nello studio sono stati sottoposti alla misurazione della velocità dell'onda di polso (Pwv), un parametro usato per approfondire lo studio della rigidità o elasticità arteriosa. "Questo ci ha permesso di identificare varianti del gene COL4A1 in associazione con la Pwv, suggerendo, per la prima volta, che l'interazione tra cellula e matrice cellulare possa esercitare un ruolo importante nella regolazione della rigidità arteriosa" spiega Serena Sann, uno degli autori della ricerca. Ulteriori e approfonditi studi saranno necessari per comprendere il meccanismo d'azione di questo gene e poter così sviluppare nuovi interventi mirati a ritardare o prevenire i rischi associati a un'accelerata rigidità delle arterie.
Il matrimonio in crisi nuoce gravemente alla salute di entrambi i coniugi, ma soprattutto della moglie, che ha maggiori probabilità di sviluppare diabete, ictus, infarto o altre malattie cardiovascolari. Lo rivela uno studio condotto da psicologi dell'Università dello Utah (USA), su un campione di 276 coppie sposate in media da 20 anni, che hanno compilato un questionario relativo agli aspetti positivi e negativi dell'essersi uniti in matrimonio. Tutti sono stati sottoposti a una valutazione dello stato di salute ed è emerso che le donne con unioni in crisi erano più depresse e con un numero molto più alto di sintomi riconducibili, per esempio, alla sindrome metabolica. Al contrario, la salute dei mariti, anche in presenza di sintomi depressivi, non sembrava risentire delle difficoltà della vita matrimoniale. "Queste differenze di genere - sottolinea Tim Smith, uno degli autori della ricerca - sono interessanti perchè riguardano malattie che sono fra i principali killer del nostro tempo. Comprendere la relazione fra i fattori emozionali e questi disturbi è essenziale per prevenirli".
Sono almeno 200mila le ragazze italiane, a volte giovanissime, che soffrono di anoressia o bulimia nervosa."Si tratta di patologie in continuo aumento - evidenzia Roberto Ostuzzi, presidente della Società italiana per lo studio dei disturbi del comportamento alimentare - tanto da rappresentare ormai un vero allarme sociosanitario. Far accettare una terapia a queste pazienti è particolarmente difficile, e per questo spesso i problemi diventano cronici". Il rischio è molto alto: nel 30% dei casi si parla di malattia molto resistente alle cure e di cronicità, con il manifestarsi di complicanze mediche o psichiatriche e rischi fatali. Così la mortalità per suicidio o per complicanze da malnutrizione è del 10% a 10 anni dall'inizio della malattia e del 20% a 20 anni. "Sono ragazze lucide, intelligenti, studiano con profitto o lavorano bene. Sono capaci di spiegare la propria situazione, ma continuano a negare il consenso alle cure. Certo - prosegue Ostuzzi - nelle situazioni più gravi è a volte necessario ricorrere a trattamenti salvavita coercitivi, ma si tratta di un'operazione molto difficile nella pratica, in base alla norme attuali che regolano il TSO (trattamento sanitario obbligatorio)".
Se troppo sale può portare all'ipertensione e aumentare il rischio di cardiopatie, non consumarne a sufficienza potrebbe scatenare depressione, spiegano i ricercatori dell'Università dell'Iowa (USA) su Physiology and Behaviour. Gli studiosi hanno scoperto che, in modelli animali, quando viene eliminato il sale dall'alimentazione si verificano comportamenti stravaganti, si evitano cibi e le attività preferite. "Cose che normalmente sarebbero piacevoli per questi animali - ha commentato Kim Johnson, psicologa e responsabile della ricerca - all'improvviso non lo sono più allo stesso modo. Questo ci ha portati a credere che un'assenza di sale, e di conseguenza il suo desiderio, possano indurre uno dei sintomi chiave associati alla depressione". La dose quotidiana raccomandata per gli adulti è di 4 grammi, anche se gli esperti spiegano che il corpo umano avrebbe bisogno solo della metà. "Lo studio ci suggerisce - conclude la psicologa - che il desiderio e il bisogno di sale possono essere collegati allo stesso sistema cerebrale dell'abuso e della dipendenza da droghe".
Un'indagine ha verificato che i telefoni cellulari utilizzati dal personale ospedaliero sono spesso contaminati da batteri e funghi, tra i quali patogeni tipicamente nosocomiali. La contaminazione si ha nel 95% dei casi, spesso con più di una specie e con ceppi resistenti. In effetti il 90% del personale ospedaliero non pulisce mai i propri telefoni e dunque possono facilitare la trasmissione di isolati batterici o di micosi da un paziente all'altro negli ambulatori e negli ospedali. La decontaminazione di routine dei telefoni cellulari con disinfettanti a base di alcool dovrebbe essere raccomandata.
I bambini allattati al seno vantano uno scheletro in media più grande e robusto a 4 anni di età rispetto ai coetanei nutriti solo con latte artificiale.Il dato emerge da uno studio condotto dai ricercatori dell'MRC Epidemiology Resource Centre di Southampton (GB), presentato ad Atene all'ECCEO 2009, il congresso europeo sull'osteoporosi. I ricercatori hanno analizzato lo stile di vita e le abitudini alimentari di 645 coppie mamma-bambino fin dalla nascita dei piccoli, per poi esaminare e confrontare la salute delle ossa dei bimbi a 4 anni. In questo modo hanno notato "un'associazione tra il consumo di latte materno e le dimensioni e la densità ossea dello scheletro del bambini a 4 anni". La quantità di latte consumato in generale dai piccolissimi (materno o artificiale) non sembra influire sulla salute delle ossa nell'età della scuola materna, e un elevato consumo di latte vaccino a 4 anni non trova corrispondenza nella solidità scheletrica. Secondo gli studiosi britannici, l'effetto benefico del latte materno è concentrato in una fase di vita molto precoce ed è a breve termine.
Gli effetti della carenza di sonno (vale a dire dormire meno di 6 ore, rispetto alle 6-8 considerate la quantità moderata) sulla salute spaziano dal rischio di depressione, alla regolazione dell'appetito e del consumo di cibo, dalla mancanza di concentrazione alle patologie di natura infiammatoria.Ma non risparmiano nemmeno il cuore, o quanto meno i maggiori fattori di rischio cardiovascolare: diabete, ipertensione e obesità. Le ricerche presentate alla 49esima Cardiovascular Disease Epidemiology and Prevention Conference, dell'American Heart Associatione (AHA), sostengono infatti che chi dorme meno di sei ore ha 4,5 volte di più la probabilità di sviluppare alterazioni della glicemia a digiuno (fasting gluscose), condizione che può evolvere in diabete di tipo 2. Inoltre, è stato osservato che tra i bambini che avevano spesso problemi con il sonno, il 62% aveva maggiori probabilità di essere obeso. E, infine, tra le donne che dormivano meno di 6 ore, si verificava un significativo aumento della probabilità di avere ipertensione.