La maggior parte dei microbi muore se esposta ai comuni prodotti per la pulizia, ma i residui di questi disinfettanti potrebbero spingere i batteri mortali a diventare resistenti agli antibiotici. Questo è il risultato allarmante di uno studio condotto dalla Macquarie University di Sydney e pubblicato sulla rivista Nature Microbiology. I biocidi, che comprendono disinfettanti e antisettici, sono sostanze chimiche ampiamente utilizzate nelle famiglie, negli ospedali e nell’industria manifatturiera per eliminare i microrganismi patogeni come i batteri.
Non si vedono, ma si sentono eccome. La vita delle vittime di INOCA, l’ischemia senza malattia coronarica ostruttiva, e di MINOCA, infarto del miocardio senza ostruzione, può essere un vero e proprio incubo. Questo è uno dei temi affrontati in occasione del 44esimo congresso nazionale della Società Italiana di Cardiologia Interventistica (GISE), che si è tenuto a Milano. Una recente ricerca pubblicata sull’International Journal of Cardiology, condotta su quasi 300 pazienti con INOCA, ha rivelato che il 34% ha convissuto con dolore toracico, oppressione o disagio per oltre 3 anni prima di ricevere una diagnosi.
Per una donna incinta perdere il lavoro può essere pericoloso per il suo bambino. Uno studio dell’Istituto per la ricerca sociale ed economica dell’Università dell’Essex, nel Regno Unito, ha collegato la perdita del lavoro a un maggior rischio di aborto spontaneo o di natimortalità. I risultati, pubblicati sulla rivista Human ReproductionHuman Reproduction, ha mostrato che perdere il lavoro raddoppia il rischio che la gravidanza finisca male. Lo studio si basa sui dati di 40.000 famiglie nel Regno Unito, riguardanti un periodo tra il 2009 e il 2022. Include 8.142 gravidanze per le quali erano disponibili informazioni complete sulla data del concepimento e sull’esito della gravidanza. Di queste gestazioni, l’11,6% ha avuto un aborto spontaneo. I casi di natimortalità sono stati 38, pari allo 0,5% dei concepimenti, in linea con le statistiche ufficiali del Regno Unito.
Trascorrere anche soli 5 giorni in una grande città inquinata può aumentare il rischio di subire un ictus. A scoprirlo è uno studio dell’Università di Giordania ad Amman basato sui dati di 110 studi che hanno coinvolto oltre 18 milioni di casi di ictus. I risultati, pubblicati sulla rivista Neurology, hanno rivelato una correlazione tra livelli più elevati di inquinanti, come il biossido di azoto, il monossido di carbonio, il biossido di zolfo e particolati, e un aumentato rischio di ictus.
Si chiama hrBMP4 la proteina ricombinante umana dimostratasi capace di agire sulle cellule staminali tumorali del glioblastoma, un grave tumore del cervello, bloccandone la crescita, senza tossicità a carico dell'organismo. A scoprirlo è un recente studio multicentrico internazionale di fase 1, pubblicato sulla rivista Molecular Cancer e realizzato da StemGen SpA, biotech italiana nata all’interno dell’Università di Milano-Bicocca. La ricerca è stata ideata e coordinata da Angelo Vescovi, direttore scientifico e docente presso il Dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze della Bicocca.
Mele, pere, prugne e kiwi; ma anche noci, pistacchi e arachidi; fagioli, ceci, lenticchie; carote, melanzane, carciofi; cereali e addirittura il cioccolato fondente: sono tutti alimenti ricchi di fibre in grado di “nutrire” il nostro microbioma - l’insieme dei microrganismi che ognuno di noi ospita nel proprio intestino - e di conseguenza possono aumentare l’efficacia dell’immunoterapia. Entro il prossimo anno, è in programma al San Raffaele di Milano un nuovo trial clinico che prevede la somministrazione di una dieta controllata ricca di fibre nei pazienti con mieloma indolente. A fare il punto sulle ultime novità sulla immunoterapia dei tumori e su come questa possa essere modulata dal microbioma intestinale sono stati gli scienziati che hanno partecipato alla CICON23 International Cancer Immunotherapy Conference, a Milano.
La malnutrizione peggiora la prognosi dei pazienti con tumore, anche quando non presentano inizialmente metastasi. Lo studio tutto italiano, ribattezzato “Nutrionco” e recentemente pubblicato sulla rivista Cancers ha infatti dimostrato che la probabilità di sopravvivenza per i pazienti malnutriti è significativamente inferiore rispetto a coloro i quali non presentano problematiche nutrizionali. Il lavoro è stato coordinato da Maurizio Muscaritoli, presidente della Società Italiana di Nutrizione Clinica e Metabolismo.
Il gene BPIFB4, nella sua variante LAV (Longevity Associated Variant), già noto come “gene della longevità”, sembra avere un ruolo chiave nel rendere più resistente il cuore, aiutandolo a tornare a funzionare in modo efficiente persino dopo un infarto. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Cell Death and Disease, il gene in questione sarebbe responsabile della produzione di una proteina che agisce direttamente sui cardiomiociti - le cellule che, con la loro attività contrattile, servono a far pulsare il cuore - rendendoli più performanti. In questo modo, l’organo reagisce meglio di fronte all’infarto, accusandone meno gli effetti e ripristinando più velocemente la sua funzionalità.
Un nuovo studio pubblicato sulla rivista Addiction ha rivelato che la proporzione di decessi per overdose da fentanyl, combinato a stimolanti negli Stati Uniti è aumentata più di 50 volte dal 2010, passando dallo 0,6% (235 decessi) nel 2010 al 32,3% (34.429 decessi) nel 2021. Questo aumento di morti da Fentanyl e stimolanti costituisce la “quarta ondata” nella lunga crisi di overdose da oppiacei negli Stati Uniti, la cui cifra dei decessi continua a salire in modo precipitoso.
La degenerazione dei neuroni dopaminergici è da sempre considerato il primo evento che porta al Parkinson, patologia che colpisce l’1% al 2% della popolazione ed è caratterizzato da tremore a riposo, rigidità e lentezza dei movimenti. Tuttavia, un nuovo studio condotto dai ricercatori della Northwestern University suggerisce che un disfunzionamento nelle sinapsi dei neuroni – i minuscoli spazi attraverso i quali un neurone può inviare un impulso a un altro neurone – provoca deficit di dopamina e precede la neurodegenerazione. Le scoperte, pubblicate su Neuron, aprono una nuova strada per lo sviluppi di terapie più efficaci.
Le alterazioni molecolari del gene TP53 che colpiscono le cellule staminali emopoietiche cooperano con l’infiammazione nel determinare l’evoluzione di tumori del sangue cronici a forme aggressive di leucemia mieloide acuta. Questi, in estrema sintesi, sono i risultati di un’innovativa scoperta dell'Università di Modena e Reggio Emilia e dell'Università di Oxford, pubblicata sulla rivista Nature Genetics. Il gene, TP53 è noto come il "custode del genoma", poiché garantisce che le cellule non accumulino errori genetici: in una condizione ottimale, se TP53 rileva un danno, la cellula mutata va incontro a morte cellulare programmata (apoptosi). Nei pazienti in cui TP53 è difettoso, le cellule staminali diventano più suscettibili ad acquisire mutazioni deleterie.
Un nuovo strumento di tracciamento oculare potrebbe aiutare i medici a diagnosticare l’autismo, con maggior certezza, nei bambini con appena 16 mesi di vita. Si chiama EarliPoint Evaluation ed è stato approvato dalla Food and Drug Administration. Due recenti studi, pubblicati su Jama e su Jama Network Open, ne hanno dimostrato l'efficacia.
L’esposizione all’inquinamento atmosferico durante la gravidanza può avere un impatto importante sulla salute dei cittadini sui nascituri. Uno studio dell’Università di Bergen, in Norvegia, ha dimostrato che se l’aria respirata dalle donne incinte è “cattiva” ci sono più probabilità che diano alla luce bambini più piccoli e meno sani. I risultati sono stati al centro del congresso internazionale della Società Europea di Pneumologia, che si è tenuto a Milano. La ricerca mostra che esiste una forte relazione tra il peso alla nascita e la salute dei polmoni, con i bambini a basso peso alla nascita che affrontano un rischio più elevato di asma e una maggiore incidenza di malattie polmonari ostruttive croniche durante il corso della vita.
Alcune molecole del bergamotto sono in grado di ridurre nel sangue i livelli del colesterolo LDL, quello cosiddetto “cattivo”, e dei trigliceridi. È quanto ha dimostrato ENEA in una ricerca condotta prima in laboratorio (in vitro) e poi su un campione di 50 persone (in vivo). I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Phytotherapy Research. “In laboratorio abbiamo sottoposto cellule di fegato umano a trattamenti differenziati per durata (4 e 24 ore) e quantità di estratto naturale somministrato”, spiega Barbara Benassi, responsabile del Laboratorio ENEA di Salute e ambiente e coautrice della ricerca. “È stata riscontrata una diminuzione del contenuto intracellulare di colesterolo e trigliceridi e, soprattutto, l’inibizione dell’espressione dei geni correlati alla sintesi lipidica, cioè del grasso”, aggiunge.
Un quinto delle persone è portatrice di una variante genetica che sembra proteggere dall’Alzheimer e dal Parkinson e che un giorno potrebbe portare a un vaccino. Queste, in estrema sintesi, le conclusioni di uno studio guidato dall’Università di Stanford, in California, pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences. L’analisi dei dati medici e genetici di centinaia di migliaia di persone ha rilevato che avere questa variante, chiamata DR4, riduce le possibilità di sviluppare entrambe le patologie di oltre il 10%.
La temperatura è un fattore fondamentale per il sonno degli anziani. Uno studio dell’Istituto di Ricerca sull’Invecchiamento dell’Harvard Medical School ha dimostrato che il sonno può essere più efficiente e riposante quando la temperatura non scende sotto i 20 °C e non supera i 25 °C. I risultati, pubblicati sulla rivista Science of The Total Environment, mostrano anche che, man mano che la temperatura ambientale notturna aumenta da 25 a 30 °C, la qualità del sonno scende del 5-10%.
Le procedure di chirurgia bariatrica diventano sempre più sofisticate e meno invasive. Si sta infatti facendo strada un nuovo intervento di riduzione dello stomaco che avviene totalmente in via trans-orale, come una gastroscopia, e che è in grado di far perdere tra il 15 e il 20% del peso corporeo. Si chiama “endosleeve” ed è una gastroplastica verticale endoscopica che avviene senza incisione e quindi senza cicatrici. Questa è una delle numerose novità discusse in occasione della 26esima edizione del congresso mondiale dell’International Federation for the Surgery of Obesity and Metabolic Disorders, che si è tenuto a Napoli.
A lungo considerato un “super alimento”, l’olio d’oliva si è ora dimostrato in grado di ridurre il rischio di demenza del 28%. Lo ha scoperto un gruppo di ricercatori dell'Harvard TH Chan School of Public Health in uno studio presentato al meeting annuale dell'American Society for Nutrition, a Boston. L’analisi giunge in un momento in cui molti paesi si trovano ad affrontare tassi crescenti della malattia di Alzheimer e altre forme di demenza, a causa dell'invecchiamento della popolazione. Secondo i ricercatori, l'uso dell'olio d'oliva al posto di grassi come la margarina e la maionese commerciale potrebbe aiutare sensibilmente nella prevenzione.
Nei funghi allucinogeni potrebbe celarsi un composto potenzialmente utile per il trattamento dell'anoressia, uno dei più comuni disturbi alimentari. Si tratta della psilocibina che sembra essere in grado di alterare la percezione del proprio corpo e, per questo, potrebbe aiutare le persone con anoressia. A scoprirlo è stato un gruppo di ricercatori dell’Università della California, a San Diego, in uno studio pubblicato sulla rivista Nature Medicine. Per verificare se la psilocibina è sicura e tollerabile tra le persone con anoressia, il team di ricerca ha riunito 10 donne di età compresa tra 18 e 40 anni con questa condizione e ha somministrato a ciascuna una singola dose di 25 mg di psilocibina.
Non basta fare semplicemente attenzione alle calorie ingerite e ai nutrienti contenuti nei vari alimenti. Le persone con il diabete di tipo 2, anche se seguono una dieta sana, devono evitare di consumare alimenti ultra-processati. Uno studio condotto dal Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli ha dimostrato che i cibi ultra-processati sono associati a un aumento sostanziale del rischio di mortalità, sia per malattie cardiovascolari che per tutte le altre cause. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista American Journal of Clinical Nutrition.